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Avvocato deve risarcire il cliente se .. (Cass. 28629/19)

9 novembre 2019, Cassazione civile

Le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo.

Ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione.

Rientra nell’ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Mentre non ricorre tale ipotesi allorché l’incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, dovendosi se del caso tutelare la parte in ragione del termine più breve ipotizzabile.

L’obbligo informativo a tutela della posizione giuridica dell’assistito, qui tanto più evidente se si pensa al già avvenuto ristoro dei danni materiali, è consustanziale alla responsabilità professionale del legale, sia al momento del conferimento dell’incarico che nel corso del suo svolgimento, e lo stesso, in quanto funzionale alla tutela della parte, persiste anche in ipotesi di revoca o rinuncia al mandato difensivo.

Corte di Cassazione

sez. III Civile

ordinanza 26 settembre – 7 novembre 2019, n. 28629
Presidente Scoditti – Relatore Porreca

Fatti di causa

S.F. evocava in giudizio l’avvocato Z.C. chiedendo il risarcimento dei danni per responsabilità del professionista convenuto al quale deduceva di aver conferito mandato per ottenere la rifusione di danni, materiali e alla persona, subiti a seguito di un incidente stradale e che, invece, indicava aver fatto prescrivere il diritto inerente al ristoro relativo alle lesioni fisiche patite.
Il Tribunale, davanti al quale resistevano il convenuto e le compagnie assicurative chiamate da quest’ultimo, respingeva la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, una volta ottenuto il risarcimento dei danni materiali e ricevuta un’offerta transattiva per il ristoro delle lesioni fisiche rifiutata, quest’ultima, dall’assistito, l’avvocato aveva suggerito di procedere a un’iniziativa giudiziale senza però ricevere la necessaria procura e, pertanto, senza che potesse individuarsi alcuna colpa professionale.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione S.F. articolando cinque motivi e depositando memoria.
Resiste con controricorso Z.C. .

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poiché la Corte di appello avrebbe errato ammettendo e fondando la propria decisione su una prova testimoniale avente ad oggetto circostanze di fatto non allegate nei termini perentori per l’esercizio delle facoltà assertive. In particolare, si afferma che fino alla capitolazione della prova orale l’originario convenuto non aveva affermato di aver ricevuto una proposta transattiva afferente alle lesioni fisiche, rifiutata dall’assistito che, nonostante le richieste di conferimento di un mandato difensivo per la conseguente iniziativa giudiziale, non si sarebbe mai risolto in tal senso.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., perché la Corte di appello avrebbe omesso l’esame di documentazione tempestivamente prodotta da cui emergeva che:
- la compagnia di assicurazioni interessata aveva sconfessato le affermazioni della testimone indicata dall’originario convenuto, negando di aver formulato alcuna proposta transattiva per il risarcimento dei danni alla persona;
- il deducente e l’avvocato si erano accordati per far stimare i danni alla persona da un medico legale scelto di comune accordo, con valore di riconoscimento di debito, circostanza mai oggetto di specifica contestazione.
Al contempo, nella medesima censura, si critica l’omesso esame della circostanza per cui la teste indicatà dall’originario convenuto, sopra ricordata, non aveva mai dichiarato che l’avvocato aveva rappresentato la necessità di un’azione legale e che questa opzione era stata rifiutata dal deducente.
Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2236, 1710, 2697 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’interruzione della prescrizione, nel dubbio secondo il termine più breve ipotizzabile, rientrava nell’ordinaria diligenza del legale comunque globalmente investito della questione, così come che l’avvocato aveva al contempo violato l’obbligo informativo concernente la possibile prescrizione del diritto al risarcimento dei danni alla persona, sussistente anche in ipotesi di cessazione dello mandato ricevuto, per la necessaria completezza della tutela dell’assistito.
Con il quarto motivo si prospetta la violazione degli artt. 112, 156, 329, 333, 343 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato nel condannare alle spese processuali del primo grado il deducente mentre non vi era stata apposita richiesta, con appello incidentale del capo della sentenza di prime cure che aveva disposto la compensazione dei costi legali, laddove, in motivazione, la decisione riportava la conferma della statuizione di prime cure, con conseguente irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili.
Con il quinto motivo si prospetta la violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato, qualora la statuizione di condanna alle spese processuali di secondo grado in favore degli appellati avesse dovuto intendersi disposta non solo in favore di Z. e Generali Italia s.p.a. ma anche in favore della Compagnia Italiana di Previdenza Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. che, al contrario, aveva domandato la compensazione delle spese relative all’appello. Inoltre, la censura critica la liquidazione delle spese nella parte riferita alla somma di 1.142,00 Euro, in tesi per costi vivi, essendo incomprensibile come e sulla base di cosa la stessa era stata determinata.
2. Il primo motivo è infondato.
Le facoltà istruttorie inerenti alla prova sono sicuramente da iscrivere nella cornice definita dall’esercizio delle facoltà assertive, entrambe presidiate da termini perentori, ma questo non implica, per logica, che non siano proponibili istanze probatorie relative a circostanze di fatto (secondarie) da cui, indirettamente, desumere la conferma ai fatti (principali) nel caso negatori di quelli affermati da parte attrice.
Così, le circostanze per cui lo S. avrebbe rifiutato un’offerta (di 20 milioni di vecchie Lire) relativa ai danni fisici patiti e non avrebbe dato seguito alla successiva sollecitazione di conferire mandato per un’iniziativa giudiziale al riguardo, sono fatti secondari diretti a provare, nella logica della posizione difensiva assunta, il fatto principale affermato dal convenuto, ossia il difetto d’incarico, quanto meno specificatamente concernente la pretesa afferente al ristoro delle lesioni alla persona.
2.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Nell’ipotesi di "doppia conforme", prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione - per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3 e applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) - deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Cosa che non risulta essere stata fatta nell’ipotesi in scrutinio.
Quanto alla violazione dell’art. 115 c.p.c., essa è iscritta nella censura di omesso esame, proprio perché quest’ultimo avrebbe avuto ad oggetto circostanza non contestata.
Al contempo, il principio del libero convincimento, posto a fondamento dell’art. 116 c.p.c., così come dell’art. 115 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questà chiave, la denunda della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940), salva l’inammissibilità di cui all’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.
In contigua e complementare prospettiva, la violazione dell’art. 116 c.p.c. - quale norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale - è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33). Il che non è quanto dedotto nè avvenuto nella fattispecie in esame, con conseguente profilo, autonomo e concorrente, d’inammissibilità, anche ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
2.2. Il terzo motivo è fondato.
È fatto accertato e qui non riesaminabile che la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni alla persona è stata fatta maturare.
Ciò posto, deve ribadirsi che le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione. Sotto tale profilo, rientra nell’ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine. Mentre non ricorre tale ipotesi allorché l’incertezza riguardi non già gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, dovendosi se del caso tutelare la parte in ragione del termine più breve ipotizzabile (Cass., 14/02/2017, n. 3765).
È pertanto del tutto evidente l’erroneità dell’affermazione della Corte territoriale in ordine al fatto che l’avvocato non avrebbe dovuto compiere atti interruttivi della prescrizione e neppure avrebbe potuto se non ricevendo procura alle liti, essendo appena il caso di osservare che l’interruzione in parola può essere anche stragiudiziale.
Parallelamente, è fatto accertato che non vi fu specifica informazione dell’avvocato al cliente in ordine alla possibile prescrizione del diritto.
Sul punto deve rimarcarsi che l’obbligo informativo a tutela della posizione giuridica dell’assistito, qui tanto più evidente se si pensa al già avvenuto ristoro dei danni materiali, è consustanziale alla responsabilità professionale del legale, sia al momento del conferimento dell’incarico che nel corso del suo svolgimento (Cass., 30/07/2004, n. 14597), e lo stesso, in quanto funzionale alla tutela della parte, persiste anche in ipotesi di revoca o rinuncia al mandato difensivo (Cass., Sez. U., 30/01/2019, n. 2755), e quindi in caso di estinzione dello stesso, come ritenuto dalla Corte territoriale all’esito del ristoro dei danni materiali e del mancato rilascio della procura alle liti pur sollecitato per la tutela di quelli fisici, quindi presi in carico di complessiva tutela dal legale, investito delle conseguenze del sinistro in pregiudizio del proprio assistito.
Quest’ultima precisazione supera, dunque, l’obiezione di parte controricorrente che sostiene l’inammissibilità della censura in quanto presupponente la sussistenza dell’incarico negato sul punto, in fatto, nei termini della procura giudiziale, dalla Corte di appello.
2.3. Il quarto motivo è logicamente assorbito, e così deve dirsi del quinto, con superamento della rinuncia effettuata a pag. 13 del controricorso. Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, accoglie il terzo e dichiara assorbiti il quarto e il quinto, cassa in relazione a quanto accolto e rinvia alla Corte di appello di Venezia perché pronunci anche sulle spese di legittimità.