Censurabile disciplinarmente ed affatto di scarsa rilevanza è la condotta del pubblico ministero che ha formalizzato l’azione penale in un momento in cui era venuta meno la pretesa punitiva dello Stato: è intuibile il pregiudizio alla sfera personale degli imputati, costretti ad affrontare inutilmente un processo sopportandone, oltre ai patemi, anche i relativi costi, e fonte di compromissione dell’immagine del pubblico ministero in presenza dell’esaurimento della pretesa punitiva da parte dello Stato.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 19 luglio 2016, n. 14800
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato - Primo Presidente f.f. -
Dott. AMOROSO Giovanni - Presidente di Sez. -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente di Sez. -
Dott. CURZIO Pietro - Presidente di Sez. -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente di Sez. -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Presidente di Sez. -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11020-2016 proposto da:
C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VI***6, presso lo studio dell’Avvocato RP, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
- intimato -
avverso la sentenza n. 51/2016 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 24/03/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2016 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;
udito l’Avvocato RP;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, limitatamente all’applicabilità dell’art. 3-bis.
Svolgimento del processo
1. - La dott.ssa C.M. è stata incolpata dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) e m), perché, mancando gravemente ai doveri di diligenza e correttezza e provocando con tale comportamento un danno ingiusto alle parti processuali, nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste assegnatario del procedimento penale n. 2897/2012 R.G.N.R. a carico di T.P. e V.P., chiedeva il 19 giugno 2013 l’emissione del decreto di rinvio a giudizio, sebbene il reato ascritto alle due imputate ( artt. 113 e 589 cod. pen. ) fosse ampiamente prescritto, come poi accertato dal giudice dell’udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere del 18/22 ottobre 2013.
2. - La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con sentenza depositata in data 24 marzo 2016, ha dichiarato la dott.ssa C. responsabile dell’illecito disciplinare a lei ascritto, condannandola alla sanzione disciplinare della censura.
2.1. - Il giudice a quo ha rilevato che il reato contestato alle imputate nel procedimento penale si era consumato in data 18 febbraio 2007 e che l’invito a rendere l’interrogatorio davanti al pubblico ministero era del 12 marzo 2007 con incombente fissato per il successivo 20 marzo 2007, sicché il termine prescrizionale di sei anni era decorso al più tardi alla data del 20 marzo 2013. Secondo la Sezione disciplinare, la condotta del pubblico ministero che ha formalizzato l’azione penale in un momento in cui era venuta meno la pretesa punitiva dello Stato integra l’illecito contestato, essendo del tutto intuibile il pregiudizio alla sfera personale delle due imputate, costrette ad affrontare inutilmente un processo sopportandone, oltre ai patemi, anche i relativi costi. La sentenza sottolinea inoltre che il pubblico ministero procedente disponeva da tempo di tutti gli elementi di valutazione che avrebbero consentito ai due medici indagati di evitare la fase dell’udienza preliminare.
Il giudice a quo, infine, ha escluso che il fatto sia di scarsa rilevanza ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, e cio’ alla luce della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato nonche’ del danno arrecato alla parte dall’inutile celebrazione del processo.
3. - Per la cassazione della sentenza della Sezione disciplinare la dott.ssa C. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi.
Non ha resistito il Ministero della giustizia.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo ( art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e: mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto l’irrilevanza della condotta contestata) la ricorrente si duole che sia stata esclusa la scarsa rilevanza del fatto. Nel dare atto che la richiesta di rinvio a giudizio è stata egualmente formulata pur dopo l’intervenuta prescrizione del reato, la ricorrente lamenta tuttavia che la Sezione disciplinare non si sia confrontata con la peculiarità della vicenda. Espone che si è trattato di un sofferto procedimento per il caso del decesso di un bambino di appena quattordici mesi, intervenuto nel corso di un intervento di broncoscopia per l’asportazione di un residuo di cibo aspirato durante il pasto del giorno precedente, nel quale l’indagine è stata condotta a carico di una endoscopista e di una anestesista. L’indagine - riferisce la ricorrente - si è in un primo tempo conclusa, sulla base dell’allora espletato incidente probatorio, con l’archiviazione del procedimento, e poi è stata riaperta, a distanza di tre anni, alla luce di una seconda consulenza tecnica, espletata dietro richiesta dei parenti del minore. Si assume nel ricorso che, avendo la dott.ssa C. depositato in data 19 aprile 2013, e quindi a reato già prescritto, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’ art. 415-bis cod. proc. pen., i difensori delle due indagate erano stati messi nelle condizioni o di eccepire l’intervenuta prescrizione del reato, ovvero di riservarsi di rinunciare alla prescrizione in sede di udienza preliminare. Ad avviso della ricorrente, la motivazione della sentenza sarebbe carente là dove "non ha minimamente considerato che prima la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, effettuata nonostante si fossero maturati i termini di prescrizione del reato, e poi la stessa richiesta di rinvio a giudizio non solo non hanno recato danno alcuno alle due sanitarie, ma anzi le hanno messe in grado di esercitare la facoltà di rinunciare alla prescrizione e, una volta che hanno ritenuto di non esercitarla prima dell’udienza preliminare, di esercitarla in tale sede e, non avendolo fatto, di, quindi, giocarsi davanti al GIP la chance di potergli dimostrare che sussistevano gli estremi per un proscioglimento nel merito più favorevole della dichiarazione di estinzione del reato". Pertanto - si osserva - sarebbe errata l’affermazione utilizzata dalla Sezione disciplinare per respingere la richiesta di ritenere il fatto di scarsa rilevanza, per la quale la celebrazione del processo sarebbe stata "inutile" ed avrebbe arrecato danno alle parti. La celebrazione dell’udienza preliminare non avrebbe recato danno alle due imputate, avendo esse avuto la possibilità di dimostrare al GIP, come tentato, che non vi erano a loro carico elementi di prova adeguati per sottoporli al vaglio dibattimentale. Sarebbe altresì "apodittica" ed "infondata" l’affermazione secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio dopo la prescrizione del reato avrebbe causato "evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato".
Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, in relazione all’ art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b). Ad avviso della ricorrente, sarebbero assenti sia il predicato danno alle imputate, sia la compromissione dell’immagine del magistrato.
2. - I due motivi - da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione - sono infondati.
2.1. - Il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, sotto la rubrica "Condotta disciplinare irrilevante", esclude la configurabilità dell’illecito disciplinare "quando il fatto è di scarsa rilevanza".
La norma - ispirata ad un criterio di ragionevolezza e di proporzione, in un sistema che prevede un regime di stretta tipizzazione degli illeciti - introduce nella materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto penale, secondo il quale la sussistenza dell’illecito va comunque riscontrata alla luce della lesione o della messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto effettuato ex post (Sez. Un. 13 dicembre 2010, n. 25091; Sez. Un., 31 marzo 2015, n. 6468). Essa tende ad attenuare la rigidità di quella tipizzazione: in riferimento a tutte le ipotesi previste dal D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 2 e 3, la condotta, pur astrattamente rientrante in una delle fattispecie astratte colà individuate, costituisce, in concreto, fatto disciplinarmente rilevante soltanto se supera la soglia della non scarsa rilevanza (Sez. Un., 31 maggio 2016, n. 11372).
2.2. - La valutazione, in concreto, dell’idoneità di un determinato comportamento a ledere il bene giuridico protetto dalla norma violata, e perciò ad assumere rilevanza disciplinare, è compito esclusivo della Sezione disciplinare, e tale valutazione, implicante un apprezzamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità ove risulti assistita da una motivazione sufficiente e non contraddittoria.
2.3. - Nel caso di specie, la Sezione disciplinare ha escluso l’applicabilità dell’art. 3-bis in considerazione "della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato nonché del danno arrecato alla parte dall’inutile celebrazione del processo".
Tale valutazione è logicamente correlata al rilievo che la consapevolezza dell’intervenuta prescrizione del reato imponeva al pubblico ministero di chiedere l’emissione del provvedimento di archiviazione, sulla base di un principio generale regolatore del processo penale, espresso negli artt. 129 e 411 cod. proc. pen. , che esige l’immediata declaratoria delle evidenti ragioni di proscioglimento, ancorché per motivi di estinzione del reato (Sez. Un., 11 marzo 2013, n. 5941). Proprio l’esercizio dell’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio delle imputate, laddove il pubblico ministero avrebbe dovuto presentare al giudice la richiesta di archiviazione per essere il reato ipotizzato già estinto per intervenuta prescrizione, ed il successivo svolgimento di un’udienza preliminare inutile e dispendiosa, sono apparsi al giudice disciplinare non solo espressione di una inescusabile trasgressione, da parte dell’incolpata, di un inderogabile obbligo di legge, ma anche causa di un danno per le parti, costrette ad affrontare l’udienza preliminare, e fonte di compromissione dell’immagine del pubblico ministero in presenza dell’esaurimento della pretesa punitiva da parte dello Stato.
Con una valutazione del carattere di offensività in concreto che è additiva rispetto al mero riscontro degli estremi della fattispecie tipica disciplinarmente rilevante, l’impugnata sentenza è giunta alla conclusione che il fatto contestato, nella sua oggettività, supera il limite della scarsa rilevanza.
Il Collegio deve riconoscere che la motivazione resa sul punto, tutta calibrata sul riscontro di un disvalore deontologico della condotta accertata superiore alla soglia minima della rilevanza disciplinare, è sufficiente, coerente e priva di mende logiche e giuridiche. In definitiva, le censure articolate dalla ricorrente, anche là dove prospettano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolvono in una doglianza avverso una valutazione tipicamente di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti, indicati dalla ricorrente come maggiormente plausibili e dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dalla Sezione disciplinare.
3. - Il ricorso è rigettato.
Nessuna statuizione deve essere adottata in punto di spese, non essendovi stata attività difensiva da parte del Ministero intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016