I messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicchè è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione nè la disciplina delle intercettazioni, nè quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p., non versandosi nel caso della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì nella mera documentazione "ex post" di detti flussi
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 10/03/2021) 06-05-2021, n. 17552
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo - Presidente -
Dott. SCARLINI Enrico V. S. - rel. Consigliere -
Dott. SESSA Renata - Consigliere -
Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere -
Dott. BORRELLI Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/04/2019 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO;
letto il parere del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PICARDI ANTONIETTA, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell'11 aprile 2019, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto B.F. colpevole dei delitti di cui agli art. 424 c.p., comma 1, (capo A) e art. 612 bis c.p., commi 1 e 2, (capo B), condannandolo alla pena indicata in dispositivo ed al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile, l'ex compagna M.A..
1.1. In risposta i motivi di appello, la Corte territoriale considerava che:
- non vi erano ragioni per disporre la richiesta perizia in relazione all'autenticità dei messaggi che la persona offesa aveva prodotto in foto affermando che le erano stati inviati dall'imputato, avendone costui il prevenuto confermato il contenuto, in sede di interrogatorio;
- le registrazioni foniche parimenti prodotte dalla persona offesa, di conversazioni intrattenute con l'imputato, non erano state, dalla medesima, raccolte per precostituirsi una prova a carico del prevenuto - così minandone la genuinità - ma solo per attestare quanto l'imputato le andava promettendo al fine di ricostituire il loro rapporto sentimentale;
- da tali registrazioni era, invero, emersa, in più occasioni, la minaccia del prevenuto di dare fuoco all'autovettura della M.;
- i messaggi inviati la notte dell'incendio costituivano una ulteriore prova logica della responsabilità del prevenuto per tale addebito;
- le condotte costituenti il delitto di atti persecutori si erano protratte per un ampio arco di tempo, dall'ottobre del 2017 al gennaio 2018, culminando nella rottura del fanale dell'autovettura (confessata dal prevenuto alla persona offesa) e nell'incendio della medesima, condotte che avevano determinato un comprensibile stato d'ansia e di timore nella persona offesa che, dopo tali episodi, aveva, seppur temporaneamente, mutato le proprie abitudini di vita andando a vivere per qualche tempo, presso un suo conoscente.
2. Propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce l'inosservanza della legge processuale determinata dalla pronuncia, da parte del Tribunale, dell'ordinanza del 24 maggio 2017, con la quale si era rigettata l'istanza di procedere ad accertamenti tecnici atti a dimostrare l'autenticità dei messaggi telefonici prodotti dalla persona offesa nella mera forma fotografica.
Una forma non consentita, come aveva precisato la Corte suprema nella sentenza n. 49016/2017.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge in riferimento alla ritenuta persuasività del compendio probatorio relativo al delitto di cui al capo A della rubrica, il danneggiamento seguito da incendio.
Non era, infatti, credibile che la persona offesa avesse tolto dalla vettura, proprio prima del fatto, i documenti della medesima.
Nè era attendibile la confessione stragiudiziale del prevenuto, registrata dalla persona offesa.
Vi erano invece ragioni per dare ascolto alla contraria versione dei fatti offerta dall'imputato, circa la sua estraneità all'accaduto.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge in ordine alla mancata riqualificazione del fatto contestato ai sensi dell'art. 612 bis c.p., nell'ipotesi gradata punita dall'art. 660 c.p..
Non vi era infatti prova della sussistenza di quegli eventi, provocati dalle condotte vessatorie del prevenuto, che avrebbero costituito uno degli elementi essenziali del reato. Lo stato d'ansia e di timore, infatti, era stato solo riferito dalla persona offesa e non vi era stato alcun concreto mutamento delle sue abitudini di vita.
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Picardi Antonietta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
4. Il difensore della parte civile, M.A., ha depositato una memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente a rifondere le spese del grado alla medesima, ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Quanto al primo motivo di ricorso, ricordava come le riprese fotografiche dei messaggi pervenuti sul cellulare della persona offesa fossero state effettuate dalla polizia giudiziaria e fossero pertanto ammissibili.
Quanto al secondo motivo, rilevava come si fosse raggiunta la prova della riconducibilità dell'incendio ad un atto doloso dell'imputato posto che, nei pressi della vettura, erano stati individuati tre inneschi e che si era provato come costui, più volte, avesse minacciato la parte civile di incendiarle l'autovettura.
Quanto al terzo motivo, osservava come fossero stati raccolti elementi di prova tali da rendere certa la penale responsabilità del prevenuto per il delitto di atti persecutori ascrittogli.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato posto che questa Corte ha precisato come:
- i messaggi "whatsapp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 c.p.p., sicchè è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione nè la disciplina delle intercettazioni, nè quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art. 254 c.p.p., non versandosi nel caso della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì nella mera documentazione "ex post" di detti flussi (Sez, 6, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 17/01/2020, Tacchi, Rv. 278124);
- è legittima l'acquisizione come documento di messaggi sms (nel caso di specie, inviati dell'imputato sul telefono cellulare della madre della persona offesa e da questa fotografati e consegnati alla polizia giudiziaria) mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili (Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019, dep. 02/03/2020, Rv. 278635), sempre considerando che si trattava di un'attività di mera documentazione, ancorchè per immagini, dei medesimi.
Nè costituisce una smentita di tale orientamento la pronuncia citata nel ricorso - Sez. 5, n. 49016 del 19/06/2017, Rv. 271856 - avendo la medesima deciso su una diversa questione, la legittimità del provvedimento con cui il giudice di merito aveva rigettato l'istanza di acquisizione della trascrizione di conversazioni, effettuate via "whatsapp" e registrate da uno degli interlocutori - considerando la sua utilizzabilità condizionata all'acquisizione del supporto telematico che li conteneva - avendo, in quel caso, il giudice del merito, considerato tale ulteriore verifica necessaria per valutare, compiutamente, l'attendibilità dei messaggi prodotti.
Si deve inoltre considerare che, nell'odierna fattispecie, l'imputato aveva anche ammesso l'autenticità dei messaggi, un argomento speso dalla Corte territoriale, che nel ricorso si affronta solo con argomentazioni del tutto generiche, quale quella del non essere più certo, il prevenuto, del contenuto dei messaggi non avendone conservata copia sul proprio telefono.
2. Il secondo motivo, sulla prova della responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 424 c.p., è inammissibile perchè è interamente versato in fatto e non tiene così conto dei limiti del sindacato di legittimità dal quale esula la riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, dovendo limitarsi a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte territoriale, sul punto, aveva osservato, con motivazione priva di manifesti vizi logici, come le minacce proferite dal prevenuto, si fossero saldate con la sicura volontarietà dell'incendio dell'autovettura e con il numero ed il contenuto dei messaggi inviati in quella medesima serata dal prevenuto alla persona offesa.
3. Il terzo motivo è inammissibile perchè è anch'esso versato in fatto e non considera che lo stato d'ansia e di timore riferito dalla persona offesa aveva trovato logico fondamento proprio nella gravità delle condotte, e delle minacce, consumate a suo danno dal prevenuto e che era stato provato anche il mutamento, seppure transitorio ma non occasionale, delle abitudini di vita della stessa, che proprio per il timore ingeneratole dai comportamenti dell'imputato, si era trasferita, per qualche tempo (per alcuni giorni), nell'abitazione di un amico.
4. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato nella misura che sarà fissata dalla competente Corte d'appello.
In considerazione del rapporto personale già intercorrente fra le parti si dispone l'oscuramento dei dati identificativi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Trieste con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento a favore delle Stato.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano oscurate le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2021