Il principio ne bis in idem rispetto alle sentenze straniere non è principio generale di diritto riconducibile alla categoria delle norme dei diritto internazionale generalmente riconosciuto, oggetto di ricezione automatica ai sensi dell'art. 10 della Costituzione.
Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 12 giugno - 8 luglio 2014, n. 29664
Presidente Chieffi - Relatore Cavallo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza deliberata il 9 novembre 2012, la Corte d'Assise di Trieste dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.S., cittadino della Repubblica di Montenegro, imputato dell'omicidio aggravato in danno della connazionale K.M.V. commesso in Gorizia il 25 giugno 1995 nonché del connesso reato di rapina aggravata consumata in danno della stessa K. nelle medesime condizioni di luogo e di tempo: quanto al primo reato (l'omicidio), per divieto di un secondo giudizio, essendo stato il K. già condannato dal Tribunale di Podgorica, con sentenza del 30 dicembre 2009, alla pena di anni 14 di detenzione già interamente espiata; quanto ai secondo (la rapina, reato che il tribunale montenegrino aveva ritenuto assorbito in quello di omicidio per finalità di guadagno), perché estinto per intervenuta prescrizione.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Trieste denunziandone l'illegittimità per violazione di legge - sostanziale (artt. 3, 6 e 11 primo comma) e processuale (artt. 649 e 696 cod. proc. pen.) - argomentando, a sostegno della richiesta di annullamento della sentenza impugnata:
(1) che secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 621 del 03/03/1993 - dep. 08/05/1993, Palazzolo, Rv. 195630; Sez. 6, n. 44830 del 22/09/2004 - dep. 18/11/2004, Cuomo ed altri, Rv. 230595; Sez. 2, n. 40553 del 21/05/2013 - dep. 01/10/2013, Tropeano, Rv. 256469) il processo celebrato all'estero nei confronti dell'imputato (cittadino o straniero) "non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem internazionale", prevedendo l'art. 11, comma primo, cod. pen. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall'art. 6 cod. pen., cioè quando l'azione o l'omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato";
(2) che nel presente giudizio, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale non possono trovare applicazione né l'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) né l'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (CAAS), essendo stata la condanna emessa in Montenegro, paese che non ha sottoscritto il trattato di adesione all'Unione Europea e che non fa parte della così detta Area Scenghen, fermo restando, ben inteso, l'obbligo di computare, ai fini delle durata della pena da eseguire dopo la rinnovazione del giudizio, il periodo di privazione della libertà sofferto all'estero, secondo quanto stabilito nel nostro ordinamento dall'art. 138 cod. pen. e dalle citate norme sovranazionali (art. 50 CDFUE e art. 54 CAAS).
Considerato in diritto
1. L'impugnazione proposta dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Trieste è fondata per le ragioni di seguito esposte.
1.1 Ritiene invero il Collegio che anche con riferimento al presente procedimento va ribadito il principio, già più volte affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui il processo celebrato all'estero nei confronti del cittadino ovvero, come nel caso de quo, di imputato straniero, «non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem" internazionale, prevedendo l'art. 11 cod. pen., comma primo, la rinnovazione dei giudizio nei casi indicati dall'art. 6 cod. pen., cioè quando l'azione o l'omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (in termini, ex multis, Cass., Sez. 6, 22/09/2004, n. 44830).
In particolare, se pure deve riconoscersi, come diffusamente argomentato dalla Corte territoriale, che il principio dei ne bis in idem costituisce in effetti «un principio tendenziale cui si ispira oggi l'ordinamento internazionale, e risponde dei resto a evidenti ragioni di garanzia del singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati» (in termini Corte Cost. sentenza n. 58/1997) e che si assiste effettivamente ad una evoluzione legislativa che va nel senso di riconoscere efficacia preclusiva ad una sentenza straniera che abbia irrevocabilmente giudicato di un reato commesso in Italia da un cittadino straniero (processo che vede quali tappe significative, prima, la Convenzione di Bruxelles dei dei 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 350, e poi, soprattutto, la legge 30 settembre 1993, n. 388 che ha segnato il recepimento da parte dell'Italia dell'Accordo di Schengen dei 14 giugno 1985) ciò non significa ancora che per effetto di tale evoluzione normativa il principio ne bis in idem, possa considerarsi, rispetto alle sentenze straniere, come principio generale di diritto riconducibile alla categoria delle norme dei diritto internazionale generalmente riconosciuto, oggetto di ricezione automatica ai sensi dell'art. 10 della Costituzione.
Ritiene in altri termini questo Collegio, in adesione all'opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza (Sez. 1, n. 13558 del 02/12/1998 - dep. 22/12/1998, Nocera, Rv. 212060; Sez. 1, n. 28299 del 03/06/2004 - dep. 23/06/2004, Desiderio, Rv. 228779), che se pure in forza dell'articolo 54 della Convenzione applicativa dell'accordo di Schengen, non si può più procedere in Italia, anche con riguardo a reati quivi commessi, nei confronti di una persona che sia stata definitivamente condannata o assolta per lo stesso fatto in uno Stato dell'area Schengen, resta tuttavia ferma l'irrilevanza dei bis in idem internazionale con riguardo a sentenza penale deliberata in un paese, quale il Montenegro, che non è ancora membro dell'Unione Europea né quindi contraente del Trattato di Schenghen.
Come affermato anche di recente da questa Corte, in altri termini, «un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell'art.11 cod. pen. non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio dei "ne bis in idem" principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell'ordinamento interno (Sez. 1, n. 20464 del 05/04/2013 - dep. 13/05/2013, N, Rv. 256162).
Se pure deve riconoscersi, quindi, come già affermato del resto dai giudici delle leggi in una pur risalente decisione (la n. 48 del 1967) che «ponendosi in una prospettiva ideale, che già trova fervide iniziative e convinti sostenitori, si può auspicare per il futuro l'avvento di una forma talmente progredita di società di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità e una comune efficacia di decisioni giudiziarie», ben diversa tuttavia, pur nel suo continuo evolversi, si presenta la realtà attuale, «dove la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato. E ciò in conformità dei diversi interessi e dei variabili effetti riflessi della condotta degli uomini in ciascuno di essi, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell'autonomia dei singoli ordinamenti, il principio della territorialità».
2. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso dei Procuratore Generale presso la Corte dì appello di Trieste deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al delitto di omicidio volontario e va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Trieste per il giudizio.
P.Q.M.
Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 21 maggio 2014, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di omicidio volontario e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Trieste per il giudizio.