Non si può dar seguito alla consegna quando sussista un rischio concreto di violazioni dei diritti fondamentali (qui: condizioni di detenzione, tutela di madri di minori in tenera e e condanna in contumacia).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
SENTENZA n 15661/24
7 febbraio 2024 – 16 aprile 2024
sul ricorso proposto da
APD, nata in Brasile il **/1986
avverso la sentenza del 03/10/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Silvia Salvadori, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore della ricorrente, avv. ML, in sostituzione dell'avv. Nicola Canestrini, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. APD, con atto dei propri difensori, impugna la sentenza della Corte di appello di Roma del 3 ottobre scorso, che ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata nei suoi confronti dalla Repubblica federale del Brasile, per l'esecuzione della sentenza del 3 febbraio 2015 del Tribunale distrettuale di **, nello Stato di San Paolo, divenuta irrevocabile il 19 aprile 2016, con la quale ella è stata condannata alla pena di sei anni e cinque mesi di reclusione per il delitto di rapina aggravata.
2. Il ricorso è sostenuto da tre motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione dell'art. 705, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., e degli artt. 3, CEDU, e 4, CDFUE, nonché nel vizio della motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso il rischio concreto che la ricorrente sia sottoposta a trattamenti inumani e degradanti, in relazione alle condizioni delle carceri brasiliane.
Con ampio richiamo di documenti provenienti da associazioni ed organismi brasiliani ed anche internazionali nonché di precedenti pronunce giudiziarie, il ricorso denuncia il grave sovraffollamento esistente in generale negli istituti penitenziari di quello Stato, il clima di violenza tra i detenuti e verso questi ultimi da parte del personale di custodia, l'assenza di cibo sano e delle condizioni minime d'igiene e di tutela della salute, aggravatesi dopo la pandemia da "covid 19", ed altresì i frequenti soprusi verso le detenute; evidenzia, inoltre, l'inadeguatezza dei protocolli, pur esistenti, destinati a scongiurare tali fenomeni e la diffusa inerzia delle istituzioni deputate alla loro attuazione.
Censura, quindi, la motivazione resa in proposito dalla Corte d'appello, nella parte in cui ha rilevato: che la difesa non ha documentato l'esistenza di tali condizioni di pericolo e/o di degrado nella specifica struttura in cui - secondo le informazioni dell'autorità brasiliana - verrebbe alloggiata la ricorrente; e che, inoltre, la disposizione dell'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., rappresenti una
«norma di cortesia internazionale», destinata a trovare applicazione solo nei casi in cui non vi sia un trattato estradizionale tra i Paesi interessati, invece esistente con il Brasile.
Obietta la difesa, con richiami di giurisprudenza di legittimità: che non spetta all'estradando offrire la dimostrazione delle condizioni detentive specifiche, bensì al giudice accertarle, anche in assenza di allegazioni difensive al riguardo, essendo questi tenuto, ove necessario, a richiedere le opportune informazioni integrative; e, quanto all'àmbito applicativo dell'art. 705, comma 2, cit., che esso riguarda tutti i casi di estradizione, anche in presenza di trattati fra gli Stati interessati.
Con particolare riferimento, poi, alle informazioni integrative rese nel presente procedimento e riguardanti la struttura in cui la ricorrente verrebbe ristretta, la difesa evidenzia comunque l'assenza di indicazioni in ordine alle eventuali condizioni di sovraffollamento, alla disponibilità dello spazio minimo di tre metri quadrati all'interno della cella, al regime aperto o chiuso della detenzione, alla presenza di ventilazione e luce naturale in cella, all'adeguata tutela della salute dei detenuti.
Inoltre, citando uno specifico caso accertato dalla locale ambasciata italiana, rileva come le rassicurazioni diplomatiche rese dalle autorità brasiliane nell'àmbito delle procedure estradizionali rimangano per lo più disattese, evidenziando il silenzio della sentenza su tale specifico aspetto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso riguarda la violazione dell'art. 705, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., e degli artt. 6, CEDU, e 47, 48, CDFUE, nonché il vizio della motivazione, in relazione al diritto dell'interessata ad un processo equo, che assicuri, cioè, il rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Il processo in Brasile si è svolto nella contumacia della ricorrente, che non ne ha mai ricevuto notizia, mancando perciò la prova che ella abbia avuto effettiva conoscenza dello stesso. La richiesta estradizionale, tuttavia, non garantisce la rinnovazione del giudizio a seguito della consegna, con un completo esame del merito della causa in presenza dell'imputata, in contrasto con quello che le convenzioni internazionali, la Corte EDU e la giurisprudenza di questa Corte, specificamente richiamate in ricorso, considerano essere il requisito minimo per l'estradizione finalizzata all'esecuzione di condanne pronunciate in absentia.
Sul punto, il ricorso denuncia la completa omissione di motivazione da parte della Corte d'appello.
2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 705, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., degli artt. 2 e 29, Cost., dell'art. 8, CEDU, degli artt. 7, 24 e 33, CDFUE, e degli artt. 3, 8 e 9, Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, nonché vizi cumulativi di motivazione, in relazione al diritto alla tutela del legame genitoriale tra la ricorrente e la propria figlia di sei anni d'età.
Tale diritto viene espressamente riconosciuto da quelle disposizioni normative, sia per il genitore, che, soprattutto, per il figlio minore, essendo ormai costante l'affermazione, tanto nella giurisprudenza sovranazionale, quanto in quella interna (anche sotto questo aspetto citate in gran copia nel ricorso), dell'interesse superiore del minore e del carattere preminente dello stesso: con la conseguenza che l'estradizione può essere concessa soltanto ove si accerti che lo specifico trattamento penitenziario riservato all'estradanda assicuri l'integrità psico-fisica del figlio minore.
Nello specifico, però, vi sarebbe il concreto pericolo che ciò non avvenga. Il ricorso richiama, in proposito, alcuni documenti prodotti da organizzazioni umanitarie ("Human rights", 2018; "Prison insider'', 2021) ed una sentenza della Corte Suprema del Brasile del 2018, da cui risulterebbero la sistematica inattuazione, da parte della magistratura brasiliana, delle disposizioni normative varate a tutela delle detenute madri di prole di età inferiore ai dodici anni, nonché la totale inadeguatezza delle strutture penitenziarie rispetto alle esigenze dei minori.
Quanto, poi, alle informazioni rese nel presente procedimento, al di là della dubbia affidabilità delle autorità brasiliane circa l'effettiva osservanza di quanto ivi indicato, rileva la difesa che, nell'istituto dove verrebbe ristretta la ricorrente, il contatto delle madri detenute con i figli è garantito solo fino all'età di sei mesi di questi ultimi, e quindi non lo sarebbe per costei e per sua figlia.
Anche su tale specifico punto la decisione impugnata presenta plurimi vizi, ovvero: è intrinsecamente contraddittoria, là dove ha rinviato il procedimento per acquisire informazioni dai servizi sociali sulla situazione familiare dell'estradanda, ma poi ha deciso senza averne ricevuto risposta; è giuridicamente errata, allorché pone a carico dell'interessato l'onere dimostrativo dell'incapacità del padre della minore di occuparsene anche in assenza della madre; non affronta, infine, il tema del pregiudizio per l'integrità psico-fisica del minore a prescindere dalla presenza di uno dei genitori.
3. Il Procuratore generale ha trasmesso memoria scritta, concludendo per la complessiva infondatezza del ricorso e perciò chiedendone il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso merita di essere accolto, dovendo la sentenza impugnata essere annullata, con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio sui temi e secondo i princìpi di diritto di seguito indicati.
2. Quanto al pericolo di trattamenti inumani o degradanti, la sentenza impugnata esclude che possa essere d'ostacolo all'estradizione la situazione di diffuso degrado esistente all'interno delle strutture penitenziarie brasiliane, quale denunciata dalla difesa.
2.1. Tale assunto poggia anzitutto sulla considerazione per cui l'art. 3, lett. f), del trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile del 17 ottobre 1989, ratificato in Italia con legge n. 144 del 1991, vieta l'estradizione soltanto nel caso di pericolo di sottoposizione della persona richiesta ad atti «persecutori o discriminatori», quindi a trattamenti pregiudizievoli in ragione delle caratteristiche individuali della stessa (sesso, razza, religione e così via), non, invece, in conseguenza di una situazione che sarebbe diffusa nel contesto penitenziario.
L'osservazione non è pertinente, perché il successivo art. 5, lett. b), del trattato prevede espressamente che l'estradizione non venga concessa anche nel caso in cui vi sia «fondato motivo di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta a pene o trattamenti che comunque configurano violazione dei diritti fondamentali», senza distinguere, cioè, se ciò dipenda da discriminazioni individuali o da condizioni più o meno generalizzate.
2.2. Il tema controverso risulta, piuttosto, quello dell'esistenza o meno di tale rischio all'interno della specifica struttura designata dall'autorità brasiliana per l'allocazione della Praxedes e del relativo onere probatorio.
Anche qui la Corte d'appello erra, allorché sembra porre quest'ultimo a carico dell'interessata, rilevando l'assenza di precise informazioni fornite dalla difesa. In tema di estradizione per l'estero, infatti, in presenza di una situazione di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti attestata da fonti internazionali affidabili, è onere della Corte di appello, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma 1, cod. proc. pen., richiedere informazioni integrative tese a conoscere il trattamento penitenziario cui sarà in concreto sottoposto !'estradando, anche in mancanza di allegazioni difensive al riguardo (tra varie altre, Sez. 6, n. 18044 del 30/03/2022, Akritidis, Rv. 283157; Sez. 6, n. 22818 del 23/07/2020, Balcan, Rv. 279567). Del resto, l'art. 704, comma 2, cod. proc. pen., nel momento in cui prevede che la Corte d'appello «decide... dopo aver assunto le informazioni e disposto gli accertamenti ritenuti necessari», è chiaro nell'assegnare al giudice di merito, in questa materia, un potere d'iniziativa istruttoria officiosa, potendosi perciò far carico all'estradando, al più, di un onere di allegazione, ma comunque non di prova.
Né, ovviamente, l'onere informativo del giudice può ritenersi adempiuto per il sol fatto di aver chiesto ed ottenuto dall'autorità dello Stato richiedente delle informazioni integrative, anche quando queste non siano soddisfacenti rispetto al pericolo temuto.
Questo, però, stando alle carte processuali, è quanto risulta essere accaduto nel caso in rassegna, in cui, a fronte di gravi violazioni sistemiche dei diritti umani all'interno del sistema penitenziario brasiliano, addotte dalla difesa sulla base di documenti provenienti da accreditate fonti internazionali, la competente autorità penitenziaria dello Stato federale di San Paolo ha attestato essenzialmente l'esistenza di uno speciale trattamento di favore per le detenute madri di prole inferiore a sei mesi d'età e di un organo ministeriale per la prevenzione della tortura e di altre pene o trattamenti disumani o degradanti, con il compito di effettuare visite periodiche presso gli istituti di pena per le necessarie verifiche a tal fine.
Ha, dunque, ragione la ricorrente ad obiettare che si tratta di informazioni non conferenti al suo caso, essendo ella madre di prole di età superiore ai sei mesi e, perciò, destinata al trattamento penitenziario ordinario, sulle cui condizioni l'anzidetta nota informativa tace del tutto. Né può reputarsi rassicurante la semplice indicazione dell'esistenza del predetto organismo governativo, di cui non si conoscono composizione, autonomia, poteri ed effettivo funzionamento.
Il Collegio, allora, non può che richiamare, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, espresso anche in pronunce riguardanti procedure estradizionali verso il Brasile: ovvero che, in presenza di informazioni circa la violazione di diritti fondamentali derivante da una diffusa e grave situazione di endemica violenza all'interno del sistema carcerario del Paese richiedente, l'estradizione possa essere concessa se quest'ultimo offra, al più alto livello governativo, specifiche assicurazioni in ordine alla sottoposizione dell'estradando ad un trattamento diverso da quello previsto nell'ordinario circuito penitenziario, tale da escludere radicalmente la possibilità di assoggettamento a maltrattamenti di qualsiasi natura (Sez. 6, n. 10965 del 11/02/2015, Pizzolato, Rv. 262934; Sez. 6, n. 24475 del 04/05/2016, Cernobrovciuc, Rv. 268703), come, ad esempio, nel caso di destinazione dell'estradando ad un istituto penitenziario già positivamente valutato quanto al rispetto dei diritti fondamentali (Sez. 2, Sentenza n. 2282 del 06/10/2015, dep. 2016, Rep. Fed. Brasile, Rv. 266253). E, a tal fine, non è sufficiente aver riguardo al regime normativo penitenziario dello Stato richiedente, dovendosi considerare anche la "scelta di fatto" delle sue Autorità, le quali si limitino ad assumere l'impegno di intraprendere le dovute iniziative per assicurare ai detenuti le condizioni necessarie a salvaguardare le minime esigenze di rispetto della dignità umana, senza però approntare in concreto misure idonee, nonostante l'ufficiale conoscenza dello stato di degrado in cui versano le strutture carcerarie del Paese (Sez. 6, n. 46212 del 15/10/2013, Van Coolwijk, Rv. 258082).
Sono queste, dunque, le direttrici dell'indagine cui è chiamata la Corte d'appello nel giudizio di rinvio.
3. È fondato anche il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione dell'art. 705, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., oltre che della disciplina sovranazionale europea, per l'assenza di un processo equo, in ragione del fatto che il trattato di estradizione non assicura la rinnovazione del giudizio in caso di condanna pronunciata in contumacia.
Sul punto, si rendono necessarie due precisazioni.
3.1. La prima, di ordine generale, riguarda l'applicabilità dell'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., e delle cause ostative all'estradizione ivi previste, solamente in assenza di un regolamento convenzionale tra i Paesi interessati dall'estradizione. In questi termini, infatti, parrebbe essersi orientata la Corte d'appello (sebbene trattando di una causa ostativa diversa da quella in esame).
Così, però, non è.
Se il comma 1 di tale articolo esordisce indicando le condizioni necessarie per concedere l'estradizione «quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente», il comma 2 tipizza i casi in cui «la Corte di appello pronuncia comunque sentenza contraria all'estradizione».
Tra le due norme, però, non può ravvisarsi un rapporto di regola-eccezione, così da intendere la seconda come una specificazione della precedente e, perciò, destinata ad operare solo nei casi di inesistenza di una convenzione o di una disposizione convenzionale differente. Basti pensare che le diverse ipotesi ostative all'estradizione secondo il predetto comma 2 riguardano tutte indistintamente la violazione, sotto diversi profili, di diritti fondamentali della persona, come tali, protetti dalla più elevata copertura costituzionale. Se, dunque, tale disposizione non potesse operare in caso di esistenza di un trattato di estradizione che disponesse diversamente, non assicurando perciò la tutela di tali diritti, la legge interna di ratifica di tale trattato non potrebbe che essere censurata come incostituzionale, di conseguenza divenendo inoperante quello strumento pattizio nel nostro ordinamento.
3.2. La seconda osservazione riguarda specificamente il tema in questione, sul quale è sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimità già sedimentatasi: la quale, in conformità ad un principio ormai ripetutamente enunciato dalla Corti sovranazionali, ha statuito che, in tema di estradizione esecutiva, sussistono le condizioni per l'accoglimento dell'istanza relativa ad una persona condannata in contumacia, quando l'ordinamento dello Stato richiedente consenta al condannato in absentia di chiedere la rinnovazione del giudizio (Sez. 6, n. 19226 del 30/03/2017, Locorotondo, Rv. 269833; Sez. 6, n. 24707 del 24/05/2007, Lupan, Rv. 237111; Sez. 6, n. 33703 del 24/06/2005, Kamarashev, Rv. 232052).
Sul punto, la sentenza impugnata non si è espressa.
Va rilevato, in proposito, che il Procuratore generale, nelle sue conclusioni, ha concluso per l'inammissibilità del motivo, in quanto proposto per la prima volta solo con il presente ricorso; tuttavia, a quest'ultimo è allegata in copia memoria scritta destinata alla Corte di appello, con la quale la doglianza viene specificamente enunciata. Sarà compito del giudice di merito, considerando che il processo dev'essere comunque ad esso rinviato, compiere i necessari accertamenti.
Quanto, infine, al tema della tutela dell'integrità psico-fisica del minore, oggetto del terzo motivo di ricorso, erra la difesa là dove sostiene - almeno così parrebbe - che essa debba essere pregiudizialmente salvaguardata, peraltro con riferimento ad entrambi i genitori e non solo, dunque, a quello dei due richiesto in consegna. Ove mai così fosse, infatti, non si potrebbe mai dar luogo ad estradizione di un genitore fin quando il figlio non raggiunga la maggiore età, con conseguente pregiudizio evidente ed ingiustificato di altre esigenze di primario rilievo, come quelle di giustizia e sicurezza pubblica, e, peraltro con un chiaro squilibrio anche rispetto alla normativa interna del nostro Stato, che considera prevalente l'interesse del minore solo fino al sesto anno d'età (art. 275, comma 4, cod. proc. pen.).
Erra, tuttavia, anche la Corte d'appello, nel momento in cui afferma che, quando esista un trattato di estradizione, questo rappresenti l'unico dato normativo di riferimento, così che, nulla prevedendo lo stesso, dovrà farsi luogo alla consegna, a meno che venga dimostrato il venir meno dell'assistenza al minore per effetto di essa.
3.3. Si tratta, evidentemente, di esigenze contrapposte, che devono trovare un punto di equilibrio.
A tal fine, non v'è dubbio - per quanto già s'è detto - che, anche in presenza di una convenzione di estradizione, debba trovare applicazione l'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., il quale assicura la tutela dei diritti fondamentali della persona. Non può non venire in rilievo, dunque, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), che, benché non operante nei confronti di Stati - come il Brasile - non aderenti a quest'ultima, assume nel nostro ordinamento rilevanza addirittura sovraordinata alla legge, per effetto dell'art. 10, Cost., così incidendo sulla vincolatività delle norme internazionali pattizie.
Ebbene, la CDFUE, all'art. 7, stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare» e, al successivo art. 24, che «i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere» nonché «di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al [loro] interesse».
Questo comporta - come ha precisato la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la recente sentenza del 21 dicembre 2023, causa C-261/22 (§§ 42, 45-50, 57), pronunciandosi sulla questione pregiudiziale sollevata da questa Corte di cassazione in un caso del tutto simile a quello in discussione - che non si possa dar sèguito alla consegna quando sussista un rischio concreto di violazioni di quei diritti fondamentali, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in ordine alle condizioni di detenzione delle madri di minori in tenera età e di cura di tali minori nello Stato richiedente, nonché sussistano motivi seri e comprovati per ritenere che, tenuto conto della loro situazione personale, gli interessati corrano detto rischio a causa di tali condizioni.
Si tratta di principio che, quantunque espresso in tema di mandato di arresto europeo, deve trovare applicazione anche in materia di estradizione, identica essendo, in entrambi gli istituti, l'esigenza di tutela di diritti fondamentali; anzi, a maggior ragione deve valere per l'estradizione verso Stati non aderenti all'Unione, potendo in questi casi mancare quella base di princìpi giuridici tradizionali, comuni e condivisi in àmbito europeo, che giustifica la reciproca fiducia tra gli Stati dell'Unione e la conseguente semplificazione della cooperazione giudiziaria tra gli stessi in materia penale.
Coerente con detto principio, del resto, è la precedente giurisprudenza di questa Corte, che, per il caso - che qui interessa - di madre di prole di età superiore ai tre anni, qualora quest'ultima comunque necessiti di continua assistenza materiale ed affettiva, impone che la consegna sia subordinata all'esistenza, nel Paese richiedente, di garanzie idonee ad assicurare i contatti dell'estradanda con i figli, con modalità sia pure non corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento penitenziario italiano, ma comunque tali da salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, del genitore e della stessa famiglia (Sez. 6, n. 41642 del 03/10/2013, Witoszek, Rv. 256277).
3.4. In applicazione di tali princìpi al caso specifico, deve dunque convenirsi con la difesa ricorrente allorché evidenzia l'insufficienza delle informazioni trasmesse dalle autorità brasiliane, che parrebbero riguardare solo le condizioni di detenzione delle madri di prole fino a sei mesi d'età.
Di contro, tuttavia, nemmeno può dirsi comprovato il rischio concreto di un grave pregiudizio per l'interesse del minore e della madre - per usare le parole della CGUE - «tenuto conto della loro situazione personale», vale a dire in ragione dello specifico trattamento che verrebbe loro riservato.
Manca, cioè, per dirla più semplicemente, l'accertamento, se non del rischio sistemico, quanto meno di quello individuale per l'estradanda, secondo l'indagine bifasica indicata dalla CGUE nella richiamata sentenza in causa C-261/22: una prima fase, cioè, volta a determinare se esistano elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati diretti a dimostrare l'esistenza di un rischio reale di violazione, nello Stato richiedente, di diritti fondamentali a causa di carenze sistemiche o generalizzate; una seconda, in cui l'autorità giudiziaria deve verificare, in modo concreto e preciso, in quale misura le carenze generalizzate eventualmente accertate possano incidere sulle condizioni di detenzione della madre o di cura dei suoi figli minori e se, tenuto conto della loro situazione personale, sussistano gravi e comprovate ragioni per ritenere un rischio concreto di violazione dei loro diritti fondamentali.
Questa, dunque, è l'indagine che deve compiere il giudice di merito, se del caso chiedendo all'autorità brasiliana di integrare le informazioni trasmesse, a norma dell'art. 12 del trattato bilaterale di estradizione.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2024 – 16 aprile 2024
Il Consigliere estensore Rosati
Il Presidente Fidelbo