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Calcolo dello spazio della cella (Cass. 15554/19)

9 aprile 2019, Cassazione penale

La porzione di spazio individuale minimo come superficie funzionale alla libertà di movimento del recluso, già di per sè fortemente limitata dall'esperienza segregativa, non può essere considerata superficie "utile" alla integrazione della quota di spazio minimo individuale, quella occupata da arredi fissi che, seppur necessari, assolvono a finalità diverse rispetto a quella del movimento del corpo nello spazio.

Anche nella ipotesi di spazio vitale ricompreso tra i 3 ed i 4 metri quadrati, l'esistenza di gravi carenze nella offerta di servizi essenziali può determinare un trattamento contrario al senso di umanità.

Proprio nella decisione Corte Edu GC Mursic - Croazia del 20 ottobre 2016 si è affermato, in sintesi, che quando lo spazio individuale scende sotto i 3 m2 in una cella collettiva la mancanza di spazio determina una "strong presumption" di violazione dell'art. 3 Conv. (ed il Governo convenuto ha l'onere di confutare tale presunzione, dimostrando l'esistenza di fattori che cumulativamente siano in grado di compensare tale mancanza di spazio vitale quali: 1) la brevità, l'occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto; 2) la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all'esterno della cella; 3) l'adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà) ma al contempo, quando lo spazio individuale in una cella collettiva si attesta tra i 3 e i 4 m2, sussiste una violazione dell'art. 3 Conv. se tale condizione risulta combinata ad altri aspetti di inadeguatezza della detenzione

In una visione costituzionalmente orientata del rapporto che va ad instaurarsi tra i contenuti di una decisione emessa dalla Corte di Strasburgo e l'obbligo di fornire, nel sistema interno, la più ampia tutela possibile ad un diritto fondamentale (rappresentato dal diritto alla legalità costituzionale del trattamento detentivo, che non può essere contrario al senso di umanità ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 3) è ben possibile estrarre dalla singola decisione sovranazionale un principio regolatore che - nel rispetto dei contenuti espressi dalla Corte Edu - possa condurre anche ad una ricaduta ampliativa della tutela, atteso che con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quella predisposta dall'ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(data ud. 23/01/2019) 09/04/2019, n. 15554

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONITO Francesco M. S. - Presidente -

Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

I.M., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 04/04/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MAGI RAFFAELLO;

lette le conclusioni del PG Dott.ssa DI NARDO M., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Il Magistrato di Sorveglianza di Livorno, con provvedimento emesso in data 25 gennaio 2017 ha dichiarato fondata la pretesa risarcitoria introdotta - ai sensi dell'art. 35 ter Ord. Pen. - da I.M. in riferimento al periodo trascorso presso l'istituto di (OMISSIS) (con riduzione della pena pari a giorni 17) contestualmente respingendo la domanda per i periodi sofferti in (OMISSIS) (da ottobre 2009 a luglio 2011), (OMISSIS).

Il diniego per il periodo trascorso in (OMISSIS) è di carattere formale, posto che il Magistrato di Sorveglianza ritiene tale intervallo temporale non ricompreso nel titolo attualmente in esecuzione.

Quanto ai periodi esclusi, si evidenzia che le condizioni detentive non integrano i parametri del trattamento inumano o degradante.

2. Decidendo sul reclamo del detenuto, relativo ai periodi esclusi dal risarcimento, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, con ordinanza del 4 aprile 2017 lo ha respinto.

In particolare:

a) quanto al periodo sofferto in (OMISSIS) (ottobre 2009-luglio 2011) si ribadisce che tranne alcune frazioni, già valutate positivamente, tale periodo non appartiene alla pena attualmente in espiazione;

b) quanto ai periodi trascorsi in (OMISSIS) si ritiene infondato il reclamo, richiamando i contenuti della prima decisione.

Si afferma, quanto ai criterio di computo dello spazio vitale minimo in cella collettiva, che l'unica superficie che va scorporata dal calcolo - in rapporto alla soglia dei 3 metri quadrati - è quella del locale bagno, ritenendo tale criterio conforme ai contenuti della recente giurisprudenza della Corte Edu, sì da includere tutto l'arredo della cella nel computo, senza alcuna distinzione.

3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - con personale sottoscrizione - I.M..

3.1 Si deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice e omessa motivazione. Quanto al periodo trascorso in (OMISSIS) si rappresenta che lo stesso è incluso nel cumulo in espiazione (come da rettifica avvenuta in data 13.3.2017).

Quanto al periodo trascorso in (OMISSIS) si compie riferimento ad un provvedimento di accoglimento emesso nei confronti di altro detenuto e si ribadiscono le originarie doglianze.

Quanto al periodo trascorso in (OMISSIS) il ricorrente si duole della omessa valutazione di carenze strutturali, già esposte al Magistrato di Sorveglianza ed in particolare - quanto al reparto (OMISSIS) - della mancata fornitura di acqua potabile e delle esalazioni provenienti da una vicina discarica.

4. Il ricorso è fondato, per i motivi che seguono. Pur se redatto personalmente, il ricorso è - per incidens - ammissibile in quanto la decisione impugnata è stata emessa prima della entrata in vigore della L. n. 103 del 2017.

4.1 Va affrontato in via prioritaria il tema posto dal ricorrente e relativo alla carcerazione sofferta presso l'istituto di (OMISSIS) (ottobre 2009-luglio 2011).

Nè il Magistrato di Sorveglianza nè il Tribunale chiariscono in modo adeguato (ossia comprensibile da parte del giudice della successiva fase processuale) le ragioni della omessa considerazione di tale frazione detentiva nel periodo valutabile a fini di verifica della ricorrenza in fatto dei profili del trattamento inumano o degradante.

Sul punto, vanno ribaditi taluni principi di fondo già espressi da questa Corte di legittimità in diversi arresti (di recente, Sez. 1^ n. 54862 del 2018 e Sez. 1^ n. 1267 del 2019).

Il primo è quello della obbligatoria unificazione dei periodi detentivi imputabili a titoli esecutivi diversi lì dove i fatti di reato siano stati commessi in data antecedente alla prima carcerazione.

In tal caso il soggetto subisce una unica esecuzione, con aggiornamenti della posizione giuridica e non delle esecuzioni tra loro distinte. Ciò è frutto della elaborazione giurisprudenziale maturata sulla disposizione dell'art. 78 c.p..

Le disposizioni che regolano la fattispecie, oltre agli artt. 656 e 663 c.p.p., sono rappresentate dagli articoli contenuti nel capo 3^ del libro 1^ del codice penale ed in particolare dagli artt. 78 e 80.

In tale ultima norma si ribadisce l'applicabilità dell'art. 71, e s.s. anche nell'ipotesi in cui debbano eseguirsi più sentenze o decreti di condanna contro la medesima persona. Da qui la considerazione della necessaria unicità del rapporto esecutivo lì dove le decisioni concernano reati commessi prima dell'inizio della detenzione (in tal senso, tra le altre, Sez. 1^ n. 26270 del 23.4.2004, rv 228138) allo scopo di evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dall'autonoma e distinta esecuzione delle pene inflitte per una pluralità di reati.

In tal senso, nella medesima decisione citata, si afferma che la reale "novità" del cumulo, con subingresso di un nuovo rapporto esecutivo, si riferisce esclusivamente all'ipotesi di reati commessi: a) durante l'espiazione della pena; b) dopo che l'esecuzione sia stata interrotta con remissione in libertà.

In tali casi l'organo dell'esecuzione dovrà procedere alla redazione del nuovo cumulo comprendente oltre alla pena inflitta per il nuovo reato la parte eventualmente non ancora espiata risultante dal cumulo precedente.

Nella ipotesi di sopravvenienza di nuove decisioni di condanna per fatti antecedenti l'inizio della detenzione non si tratta - pertanto - di emettere un "nuovo" cumulo, quanto di adeguare e aggiornare il titolo già in esecuzione (tra le altre, Sez. 1^ n. 27569 del 23.6.2010, rv 247732, nonchè Sez. 1^ n. 14507 del 5.3.2009, rv 243145) con piena applicabilità sia del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. che delle altre norme riguardanti l'esecuzione di pene concorrenti.

4.2 Ciò posto, non viene esplicitato, nella decisione impugnata, perchè il periodo sofferto tra ottobre 2009 e luglio 2011 non sia ricollegabile - sotto tale profilo - alla esecuzione tuttora in atto.

Ciò sarebbe legittimo solo nella ipotesi in cui l'attuale esecuzione (al momento della domanda di tutela) riguardi un fatto di reato commesso in epoca posteriore al luglio del 2011, mentre in caso diverso l'esecuzione va ritenuta unitaria, con possibilità per il Magistrato di Sorveglianza, ove ritenga in fatto sussistente il pregiudizio pregresso di procedere al risarcimento in forma specifica attraverso la riduzione di pena (e ciò anche in ragione della assenza di prescrizione per le violazioni dell'art. 3 Conv. Eur. realizzatesi prima del 28 giugno 2014, momento di entrata in vigore della nuova disposizione, come precisato dalle Sezioni Unite Civili nella sentenza emessa in data 30 gennaio 2018 n. 11018).

Peraltro, lì dove il periodo detentivo antecedente (nel caso in esame ottobre 2009/luglio 2011) sia effettivamente non ricollegabile a quello "attuale" è da ritenersi che il soggetto, ove in stato detentivo costante dal giugno del 2014 in avanti, sia legittimato a richiedere - in ogni caso - al Magistrato di Sorveglianza l'indennizzo pecuniario (art. 35 ter Ord. Pen., comma 2), atteso che la condizione detentiva determina l'assenza di competenza del giudice civile e il radicamento della potestà decisoria sulla domanda in capo alla magistratura di sorveglianza (in tal senso, di recente, Sez. 1^ n. 1267 del 20.12.2018, dep. 2019, ric. Giardiello, ove si è ribadito che dal chiaro tenore letterale dell'art. 35 ter Ord. Pen., comma 2 si ricava il principio in base al quale spetta sempre al Magistrato di Sorveglianza pronunciarsi sulla domanda di ristoro avanzata da persona in stato di detenzione, e ciò sia nell'ipotesi in cui sussistano le condizioni per accordare il ristoro in forma specifica sia nell'ipotesi in cui il ristoro possa riconoscersi soltanto in forma monetaria).

Quanto al periodo detentivo in esame la decisione va, per dette ragioni, annullata con rinvio per nuovo esame.

4.3 Quanto al periodo sofferto in (OMISSIS) il ricorso è effettivamente generico. La comparazione con altra procedura non è idonea a determinare una specificità del motivo, non risultando allegata con la dovuta precisione la medesimezza della condizione di fatto.

4.4 Quanto al periodo sofferto in (OMISSIS) il ricorso è fondato.

Due profili di illegittimità della decisione vengono in rilievo.

Il primo è quello relativo alle modalità di computo dello spazio minimo in cella collettiva, non risultando con sufficiente chiarezza nella decisione il risultato matematico delle operazioni di calcolo ed i criteri utilizzati. La motivazione è da qualificarsi come apparente lì dove non espliciti tali passaggi o aderisca ad opzioni interpretative più volte censurate da questa Corte di legittimità.

Va ribadito, in proposito, che a partire, essenzialmente, dalla sentenza Sez. 1^ n. 52819 del 9.9.2016, ric. Sciuto, è andata affermandosi e consolidandosi - nella presente sede di legittimità - l'idea dell'adattamento dei contenuti delle sentenze emesse - sul diritto fondamentale di cui all'art. 3 Conv. - dalla Corte Edu a criteri ermeneutici che, senza intaccarne i passaggi argomentativi, siano capaci di compiere una piena "attribuzione di valore" alla ratio ispiratrice della singola decisione.

Ciò perchè, in una visione costituzionalmente orientata del rapporto che va ad instaurarsi tra i contenuti di una decisione emessa dalla Corte di Strasburgo e l'obbligo di fornire, nel sistema interno, la più ampia tutela possibile ad un diritto fondamentale (rappresentato dal diritto alla legalità costituzionale del trattamento detentivo, che non può essere contrario al senso di umanità ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 3) è ben possibile estrarre dalla singola decisione sovranazionale un principio regolatore che - nel rispetto dei contenuti espressi dalla Corte Edu - possa condurre anche ad una ricaduta ampliativa della tutela, atteso che "con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quella predisposta dall'ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa" (così Corte Cost. n. 317 del 2009).

Si è pertanto radicata, sul tema specifico, la identificazione del parametro spaziale dei tre metri quadri in termini di spazio destinato al movimento, interno alla cella, con necessità di sottrarre dal computo - oltre allo spazio del bagno - le quote occupate da arredi fissi (pur necessari) difficilmente amovibili (come il letto a castello) e tali da determinare ingombro.

Le coordinate interpretative sono state, tra le molte, riaffermate dalla decisione Sez. I n. 41211 del 26.5.2017, ric. Gobbi, nel cui ambito si è ritenuto di respingere una sollecitazione ad investire, sul tema, le Sezioni Unite, e si è ripetuto che dovendosi intendere la porzione di spazio individuale minimo come superficie funzionale alla libertà di movimento del recluso, già di per sè fortemente limitata dall'esperienza segregativa, non può essere considerata superficie "utile" alla integrazione della quota di spazio minimo individuale, quella occupata da arredi fissi che, seppur necessari, assolvono a finalità diverse rispetto a quella del movimento del corpo nello spazio.

Su tale aspetto la decisione impugnata realizza l'adesione ad un diverso orientamento interpretativo il che - ferma restando la libertà interpretativa di ciascun giudice di merito, salvo il caso della decisione in sede di annullamento con rinvio - comporta la venuta in essere di un vizio in diritto, stante il consolidamento della diversa linea interpretativa sin qui rievocata.

Ma, al di là di tale aspetto, le due decisioni di merito restringono il campo di analisi alla sola esistenza - o meno - dello spazio vitale in cella collettiva, lì dove il reclamante aveva allegato ulteriori fattori potenzialmente produttivi di un trattamento inumano o degradante.

Tali aspetti, ribaditi nel ricorso, non sono stati affatto esaminati, sì da concretizzare il vizio di omessa pronunzia.

In particolare, va ricordato che anche nella ipotesi di spazio vitale ricompreso tra i 3 ed i 4 metri quadrati, l'esistenza di gravi carenze nella offerta di servizi essenziali può determinare un trattamento contrario al senso di umanità.

Proprio nella decisione Corte Edu GC Mursic - Croazia del 20 ottobre 2016 si è affermato, in sintesi, che quando lo spazio individuale scende sotto i 3 m2 in una cella collettiva la mancanza di spazio determina una "strong presumption" di violazione dell'art. 3 Conv. (ed il Governo convenuto ha l'onere di confutare tale presunzione, dimostrando l'esistenza di fattori che cumulativamente siano in grado di compensare tale mancanza di spazio vitale quali: 1) la brevità, l'occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto; 2) la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all'esterno della cella; 3) l'adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà) ma al contempo, quando lo spazio individuale in una cella collettiva si attesta tra i 3 e i 4 m2, sussiste una violazione dell'art. 3 Conv. se tale condizione risulta combinata ad altri aspetti di inadeguatezza della detenzione.

Tali aspetti riguardano, in particolare, la possibilità di svolgere attività fisica all'aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l'adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilità di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari.

Nei casi in cui un detenuto disponga di più di 4 m2 in una cella collettiva e, quindi, non si pongano problemi per quanto riguarda la mancanza di spazio personale, rimangono comunque rilevanti gli altri aspetti riguardanti le condizioni di detenzione ai fini della valutazione di conformità all'art. 3 della Convenzione.

Dunque la valutazione giurisdizionale, con tali puntualizzazioni metodologiche, si arricchisce di complessità, non potendosi certo ridurre la identificazione di un trattamento inumano o degradante alla - sola - questione dello spazio destinato al movimento.

Nel caso dell'attuale ricorrente, in particolare, era stata dedotta la inadeguatezza della offerta trattamentale in virtù della prolungata carenza di acqua potabile nelle celle del reparto ove il soggetto era ristretto, unita a fattori ambientali pregiudizievoli per l'igiene e la salute (vicinanza del reparto ad una discarica di rifiuti).

Si tratta di aspetti di indubbia rilevanza, sostanzialmente non esaminati e non verificati nella loro consistenza storica.

E' evidente che tanto la prolungata assenza di acqua potabile, quanto i fattori ambientali pregiudizievoli - ove verificati in fatto - sono situazioni capaci di deteriorare, da una parte, la salute dei detenuti e, dall'altra, il senso di umanità che deve contraddistinguere la detenzione.

Anche relativamente a tale periodo va dunque disposto l'annullamento della decisione impugnata, con rinvio per nuovo esame.


P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Firenze.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019