Va indennizzata la ingiusta detenzione in un procedimento per mandato di arresto europeo: quanto alla personalizzazione dell'indennizzo, non ha pregio l'argimento del Ministero delle Finanze in relazione alla detenzione MAE da "colpevole" anzichè innocente, dovendo escludersi la possibilità di valutare negativamente una condotta irrilevante penalmente secondo l'ordinamento italiano e sanzionata dalla sola legislazione tedesca.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Sez. IV, Sent., (data ud. 21/10/2022) 17/01/2023, n. 1422
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
nei confronti di:
A.A., nato il (Omissis);
avverso l'ordinanza del 08/10/2021 della CORTE APPELLO di TRENTO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALDO ESPOSITO;
lette le conclusioni del PG Dr. Seccia Domenico A.R., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria difensiva dell'avv. MM, nella qualità di difensore di fiducia del resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del Ministero ricorrente al pagamento delle spese legali.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Trento ha liquidato, in favore di A.A. la somma di Euro 25.000 a titolo di riparazione per la ingiusta detenzione da costui subita per 95 giorni di custodia cautelare in carcere, siccome condannato alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di incitamento all'odio di cui al p. 130, comma 1, n. 1 del codice penale tedesco (SGB) (per avere pronunciato durante un viaggio in treno la frase "lo faccio come i canachi, ogni anno un nuovo figlio. Vivo degli assegni familiari").
Quanto alla vicenda cautelare, il A.A. era arrestato il 17 agosto 2020 in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso dall'autorità giudiziaria tedesca a seguito della sentenza pronunciata dal Tribunale di Monaco di Baviera il 29 agosto 2018, divenuta irrevocabile.
La Corte di appello di Trento aveva accolto la richiesta di consegna all'autorità tedesca in esecuzione del suddetto mandato, ritenendo sussistente il requisito della doppia punibilità di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 7, in quanto il reato per il quale il A.A. era stato condannato trovava corrispondenza nelle previsioni dell'art. 604 bis c.p., perchè con la frase incriminata l'uomo aveva fatto insinuazioni riferite a persone di origine turca ovvero provenienti dall'Europa dell'Est, in quanto riuscirebbero a sostentarsi solo grazie agli assegni familiari o ad analoghe provvidenze e soltanto per questo fine farebbero figli.
La Corte di cassazione accoglieva il ricorso ed annullava senza rinvio la sentenza impugnata, disponendo la revoca dell'ordinanza custodiale. In motivazione affermava che il fatto contestato non rientrava in nessuna delle disposizioni previste dall'ordinamento italiano, in quanto l'autore del fatto non aveva svolto nessuna attività di propaganda di idee nè di istigazione, essendosi limitato a proferire in pubblico un'espressione denigratoria con la quale aveva manifestato la propria ostilità nei confronti di individui provenienti da certe aree geografiche per comportamenti tenuti da costoro. Nè poteva ravvisarsi in tale condotta il reato di diffamazione aggravata, vista l'indeterminatezza dei destinatari dell'offesa.
2. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, ricorre per Cassazione avverso la suindicata ordinanza, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 643 e 273 c.p.p. e art. 112 c.p.c..
Si deduce che, in sede di convalida dell'arresto, il A.A. non aveva eccepito la carenza del requisito della doppia punibilità, perchè in caso contrario avrebbe ottenuto immediatamente una pronuncia che avrebbe comportato il venir meno degli effetti della misura custodiale.
Tale doglianza, infatti, era formulata solo col ricorso per Cassazione avverso la pronunzia della Corte di appello di accoglimento della richiesta di consegna.
In ogni caso, in via subordinata, la condotta del A.A. poteva essere qualificata in termini di colpa ordinaria o lieve, con conseguente riduzione dell'indennizzo da corrispondere in suo favore. Ciò proprio in ragione della possibilità, sin dalla fase iniziale, di prospettare la mancanza del requisito della doppia punibilità.
La disciplina della riparazione per ingiusta detenzione esprime anche la regola dell'autoresponsabilità del soggetto e, più in generale, del dovere di adoperarsi per limitare le conseguenze negative della propria situazione. Peraltro, la Corte territoriale non ha fornito specifica risposta al tema della mancata eccezione, nella parte in cui ha escluso la sussistenza della colpa lieve.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 643 e 273 c.p.p..
Si osserva che la riparazione teoricamente spettante doveva essere ridotta sotto il profilo della personalizzazione della stessa in relazione alla particolare condizione processuale e sostanziale dell'istante, soggetto che non aveva subito una ingiusta detenzione per poi essere riconosciuto innocente.
Il A.A. era stato comunque ristretto in quanto condannato in Germania per un reato odioso, riuscendo ad evitare l'espiazione di pena solo perchè, rifugiatosi in Italia, non era stato consegnato alle autorità tedesche per l'esclusione del requisito della doppia punibilità.
La condanna subita in Germania costituiva un aspetto attinente all'ingiustizia della detenzione, elemento costitutivo del diritto alla riparazione. Ciò rilevava ai fini della personalizzazione della riparazione, nel senso di comportarne una significativa riduzione. L'ordinanza impugnata non ha valutato tale tema prospettato dalla difesa del Ministero.
3. Con memoria difensiva il A.A. ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Al riguardo, il A.A. evidenzia che l'amministrazione ricorrente mira al riesame di merito del concluso giudizio presupposto, reiterando le osservazioni proposte al giudice della riparazione, incentrate sulla sussistenza della colpa (grave e lieve), non censurabile in sede di legittimità. Esse sono intrinsecamente indeterminate e difettano della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Infatti, non indicano in cosa si sia concretizzata la presunta violazione di legge sostanziale e processuale.
Il procedimento logico-giuridico con cui il giudice della riparazione ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti per l'equa riparazione è esente da vizi e si colloca coerentemente nel quadro interpretativo delineato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
In ordine all'an, la Corte territoriale ha valorizzato il fondamento solidaristico dell'istituto e, muovendosi nel solco di un interpretazione estensiva costituzionalmente orientata, ha ritenuto ammissibile la domanda di equa riparazione nell'ambito della procedura di estradizione passiva, in particolare per insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione; quindi, senza attribuire rilevanza alla mancanza di una delle pronunce liberatorie di cui all'art. 314 c.p.p., commi 1 e 3, e senza limitazioni o distinzione di sorta circa il titolo dell'ingiustizia.
Sin dalla convalida il giudice cautelare disponeva di informazioni sufficienti per ritenere insussistenti le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione, in quanto "il contenuto del MAE, quantomeno con riferimento all'imputazione, non differiva in modo apprezzabile da quello del formulario "A", per cui il giudice della convalida disponeva di informazioni sufficienti a decidere".
La Corte territoriale ha escluso la colpa grave del A.A. in quanto già al momento della convalida dell'arresto l'organo giudicante avrebbe potuto comprendere l'assenza del requisito della doppia punibilità. A fondamento del rigetto, il giudice della riparazione ha considerato, in primo luogo, la suddetta circostanza non imputabile al A.A. (ancor prima di considerarla come condotta caratterizzata da macroscopica leggerezza e imprudenza), in quanto uno straniero non a conoscenza della lingua italiana e di adeguate nozioni di diritto penale e diritto processuale italiano, non poteva aver compreso a sufficienza la situazione giuridica in cui versava e di farvi fronte con tempestività maggiore di quella dimostrata dal suo difensore.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che, in linea di principio, è ammissibile la richiesta di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione in relazione alla custodia patita ai fini estradizionali.
Infatti, l'art. 714 c.p.p., comma 2, che disciplina le misure cautelari applicate alle persone delle quali è stata chiesta l'estradizione, dispone che "si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del Titolo I del libro IV, riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p., e le disposizioni del capo III del titolo III del libro III". Essendo gli artt. 314 e 315 c.p.p. le ultime due norme comprese nel Titolo I del libro IV del codice di rito, e non essendovi alcun motivo per ritenerne l'inapplicabilità, è evidente l'estensione di tali disposizioni ai procedimenti di estradizione passiva" (Sez. 4, n. 2678 del 12/12/2008, dep. 2009, Pramstaller, Rv. 242505, relativa a fattispecie di caducazione di un mandato d'arresto Europeo dopo la decisione di procedere in Italia per i fatti oggetto del medesimo, procedimento poi conclusosi con provvedimento d'archiviazione).
2. Vanno ora ricordate talune linee portanti della disciplina dell'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, cosi come delineate dalla giurisprudenza di legittimità.
In particolare, è di interesse rammentare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., comma 1, - è non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche "la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'id quod pierumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poichè la nozione di colpa è data dall'art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi dell'art. 314, comma 1, cit., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. U, n. 43 dei 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203637).
Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il Giudice pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l'ottenimento del beneficio, mentre resta nelle esclusive attribuzioni dei giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione sull'esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del 11/04/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Occorre tener distinta l'operazione logica propria del Giudice del processo penale, volta all'accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell'imputato, da quella propria del Giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico-motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione"; in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell'azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l'eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione.
3. Orbene, la valutazione espressa nel caso di specie dalla Corte territoriale si colloca nell'alveo degli insegnamenti ora richiamati.
Il percorso argomentativo sviluppato dal giudice della riparazione, nella pars construens è logico e motivato ed è basato sulla sentenza di questa Corte di annullamento senza rinvio, la quale ha respinto ogni possibilità di integrare la fattispecie della doppia punibilità necessaria per la consegna all'autorità giudiziaria della Germania di A.A. in esecuzione del mandato di arresto Europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Monaco di Baviera in data 22 luglio 2020 limitatamente alla sentenza del Tribunale di Monaco di Baviera del 29 agosto 2018, irrevocabile in data 9 aprile 2019, con la quale il predetto era stato condannato per il reato di incitamento all'odio ai sensi dell'art. 130, comma 1 n. 1, del codice penale tedesco e condannato alla pena di mesi sei di reclusione.
La Suprema Corte con la sentenza citata ha stabilito l'errore di diritto evincibile nella fattispecie, evidenziando l'insussistenza della condizione della doppia punibilità previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 7, comma 1, e, di conseguenze, della possibilità di emettere di qualsivoglia misura custodiate. Essa ha sottolineato che il requisito della doppia punibilità, nella specie, non può essere riconosciuto in quanto per soddisfare detta condizioneise non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell'ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, la concreta fattispecie deve essere punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, non rilevando l'eventuale diversità del trattamento sanzionatorio, del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard Pascale, Rv. 269918).
B) Nel provvedimento impugnato la verifica del giudizio di punibilità in concreto della condotta per la quale è intervenuta condanna del consegnando è stata omessa. La Corte di appello si è limitata a richiamare la norma interna alla stregua della quale - a suo giudizio - tale condotta era punibile anche in Italia, senza considerare gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 604 bis c.p..
La Corte di cassazione evidenziava la mancanza di colpa ostativa al diritto all'indennità per ingiusta detenzione nella condotta del A.A., sulla base delle seguenti considerazioni:
1) La condotta del A.A. non è punibile anche dall'ordinamento italiano sulla base dell'art. 604 bis c.p., mancando l'elemento costitutivo della condotta di propaganda, in quanto, all'interno della predetta previsione, non ha rilievo penale la mera manifestazione di ostile disprezzo nei confronti di un determinato gruppo etnico per comportamenti tenuti da suoi componenti.
2) La condotta offensiva in questione non può essere punita quale ingiuria aggravata in ragione dell'abrogazione della fattispecie di cui all'art. 594 c.p. avvenuta con il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. c).
3) La stessa condotta non può essere sussunta nell'ambito dell'ipotesi di diffamazione aggravata sotto un duplice aspetto: a) la presenza al momento della espressione offensiva di taluni soggetti in qualche modo riferibili al gruppo al quale era destinata; b) l'indeterminatezza dei destinatari dell'offesa in quanto il reato di diffamazione è configurabile in presenza di un'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può, quindi, ritenersi sussistente, nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti (nella specie appartenenti ad un movimento politico) non individuati, nè individuabili (Sez. 5, n. 3809 del 28/11/2017, dep. 2018, Ranieri, Rv. 272320).
Nell'ordinanza impugnata si è correttamente evidenziato che l'errore giuridico di non aver dedotto tempestivamente la non punibilità in Italia della condotta criminosa contestata non può essere attribuito al A.A.. Non può essere -addebitato all'imputato, infatti, un comportamento integrante la formulazione di doglianze difensive, in quanto la prospettazione delle stesse rientra nell'esclusivo ambito di pertinenza del difensore.
L'esclusione di ogni riprovevolezza oggettiva e soggettiva del comportamento del A.A. induce ad escludere la configurazione di una connessa ipotesi di colpa lieve anche nella determinazione del quantum indennizzabile, correttamente riportato in ordinanza secondo i parametri di computo, anche per i principi equitativi sulla sofferenza da espiazione detentiva.
Quanto alla personalizzazione dell'indennizzo, sollevata dall'amministrazione in relazione alla detenzione da "colpevole" anzichè innocente, l'ordinanza fornisce una adeguata motivazione sul punto, in quanto la Corte apprezza tale circostanza nel senso di non "ravvisarsi colpa lieve, come vorrebbe il Ministero, per il fatto che il A.A. ha posto in essere una condotta che costituisce reato nell'ordinamento del suo Stato di provenienza. E' assorbente, in senso contrario, il rilievo che nell'ordinamento penale italiano la suddetta condotta non è prevista come reato (...)".
Deve peraltro escludersi la possibilità di valutare negativamente una condotta irrilevante penalmente secondo l'ordinamento italiano e sanzionata dalla sola legislazione tedesca.
Ne consegue che l'ordinanza impugnata si colloca nel quadro inl:erpretativo, tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla valutazione dei presupposti per il riconoscimento dell'indennizzo e del suo computo.
4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese sostenute dal resistente che, tenuto conto della natura e della relativa complessità del presente giudizio, vanno liquidate in Euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dal resistente in questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille).
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria, il 17 gennaio 2023