Le carceri dell’ Ecuador sono da tempo in una situazione di estrema criticità, con seri pericoli per l’incolumità dei detenuti in quanto, in una condizione di estremo sovraffollamento e di carenza di personale di sorveglianza, bande criminali contrapposte regolano i loro conti all’interno degli istituti di pena con omicidi e ferimenti.
Una pena particolarmente lunga (25 anni) e documentazione tratta dalla stampa locale dalla quale emergano condizioni di detenzione poco dignitose (mancanza di acqua potabile in una situazione di forte sovraffollamento) oltre che pericolose per l’incolumità delle persone (sommosse e omicidi) integrano, unitamente ad uno spazio inferiore a 3m2 per ogni detenuto, una violazione del'art. 3 CEDU.
La reticenza mostrata dallo Stato richiedente nel fornire informazioni precise e complete sulle condizioni di detenzione nelle sue carceri rende inutile un supplemento di istruttoria, con la richiesta di notizie riguardo all’esistenza di adeguati spazi di circolazione all’esterno delle celle e della possibilità di svolgere attività ricreative, formative ecc.
CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
sez. I penale
sentenza n. 10056/19
11 ottobre / 22 ovembre 2019
n. 13/2019 RG. ESTR.
La Corte d’Appello di Bologna, Prima Sezione Penale, riunita in camera di consiglio e composta dai Magistrati
Dott. Orazio Prescatore Presidente
Dott.ssa Milena Zavatti Consigliere relatore
Dott. Domenico Stigliano Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento camerale riguardante la consegna dall’Italia alla Repubblica dell’Ecuador di ME n. a ** il ***, residente a *** MI
difesa di fiducia dagli avvocati Nicola Canestrini del foro di Rovereto e Nicola Nettis del foro di Bolzano
PREMESSO CHE:
- Il 18 marzo 2019 ME era tratta in arresto dalla Questura di Reggio Emilia ai sensi dell’art. 716 c.p.p., in quanto destinataria di un ordine di carcerazione con sentenza nr. ** resitro n. **, emesso in data 9 marzo 2017 dal giudice dell’Unità Giudiziaria Penale della città di Quevo-Ecuador, per il reato di omicidio (art. 450 n. 1,2,5,7 codice penale dell’Ecuador) in relazione al quale le era stata inflitta la pena di 25 anni di reclusione;
- all’udienza del 20 marzo 2019 davanti al consigliere delegato di questa Corte l’arresto era convalidato, veniva applicata a ME la misura cautelare della custodia in carcere (sostituita dal 12.4.2019 con la misura degli arresti domiciliari), ME non prestava il consenso all’estradizione;
- Il Ministero della Giustizia, con nota 19.3.2019, chiedeva ai sensi dell’art. 716 comma 4 c.p.p., il mantenimento della misura cautelare applicata;
- In data 30 aprile 2019 il Ministero della Giustizia trasmetteva alla Procura Generale presso questa Corte la domanda di estradizione – e relativi allegati – presentata dal Governo della Repubblica dell’Ecuador;
- Il 13 maggio 2019 il Procuratore Generale, ritenuto che l’estradizione poteva essere concessa in quanto il soggetto era stato condannato con sentenza irrevocabile per il reato di omicidio, era stata regolarmente prodotta la documentazione indicata nell’art. 700 c.p.p. e non si verteva in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 698 c.p.p., chiedeva alla Corte di riconoscere l’esistenza delle condizioni per procedere all’estradizione della cittadina straniera;
- All’udienza del 28 giugno 2019 la Corte, preso atto della documentazione prodotta dalla difesa dell’estradanda con memorie del 14 e 25 giugno 2019, concernente la possibilità che l’estradanda venisse sottoposta, presso le carceri dell’Ecuador, a trattamenti disumani o degradanti disponeva, con ordinanza, l’acquisizione, dalla Repubblica dell’Ecuador di informazioni e precisamente:
1) l’indicazione del carcere presso il quale la donna sarebbe stata ristretta;
2) se si trattasse di carcere esclusivamente femminile;
3) quali erano le condizioni dei detenuti in tale carcere riguardo al loro numero complessivo, al numero dei detenuti per singola cella, allo spazio inframurario a disposizione di ciascuno;
4) quali erano stati gli episodi sommossa all’interno delle carceri dell’Ecuador nell’ultimo anno;
5) se vi erano stati feriti o morti fra i detenuti, con riguardo anche alla situazione del carcere presso il quale l’estradanda sarebbe stata ristretta;
6) se erano in vigore provvedimenti di sospensione o limitazione dei diritti fondamentali dei detenuti;
- con nota del 4 settembre 2019 l’Ambasciata dell’Ecuador comunciava che:
1) la prigione presso la quale l’estradanda sarebbe stata detenuta era il Centro di Privazione della Libertà, Regionale Sierra Centro Norte Cotopaxi, prigione mista nella quale l’area femminile non aveva alcuna vicinanza fisica con il padiglione degli uomini;
2) le detenute che il padiglione femminile di tale struttura registrava alla data del 7 agosto 2019 erano 698, ogni cella ospitava 5 detenute in un’area di 10,50 mq.;
3) “nell’area femminile del Centro di Privazione della Libertà – Regione Sierra Centro Norte Cotopaxi non ci sono stata rivolte non ci sono state ferite o morte in quest’anno”
4) Lo Stato Ecuadoriano rispetta i diritti fondamentali delle persone private della libertà e non esistono disposizioni che sospendano o limitino tali diritti;
- Nelle more dell’udienza di rinvio la difesa in date 30 luglio 2019 e 5 ottobre 2019 depositava ulteriori memorie con allegata copiosa documentazione e giurisprudenza;
- All’udienza dell’11 ottobre 2019 il Procuratore Generale concludeva chiedendo dapprima di dichiarare la sussistenza delle condizioni per l’estradizione, in seguito, preso atto di un’eccezione difensiva riguardante l’Autorità che aveva fornito le informazioni richieste allo stato estero [1], rimettendosi a giustizia; la difesa chiedeva di dichiarare l’insussistenza delle condizioni per procedere all’estradizione.
RITENUTO CHE:
Non ricorrono le condizioni per procedere alla richiesta estradizione di ME verso la Repubblica dell’Ecuador.
Dalla documentazione allegata alle plurime note difensive depositate nel corso della procedura, documentazione da ritenere affidabile trattandosi di articoli di stampa, comunicati stampa della polizia, report di enti non governativi, tutti tratti da fonti aperte, emerge che le carceri dell’ Ecuador sono da tempo in una situazione di estrema criticità, con seri pericoli per l’incolumità dei detenuti in quanto, in una condizione di estremo sovraffollamento e di carenza di personale di sorveglianza, bande criminali contrapposte regolano i loro conti all’interno degli istituti di pena con omicidi e ferimenti (nei soli primi 5 mesi del 2019 sono stati registrati ben 10 omicidi fra i detenuti).
Tali condizioni hanno indotto in Presidente della Repubblica, nel maggio 2019, a dichiarare lo stato di eccezione in tutte le carceri del paese, con sospensione di alcuni diritti ( in particolare quelli dell’inviolabilità della corrispondenza e alla libertà di informazione e di riunione). Alla luce di tali allegazioni la Corte ha deposto che lo Stato richiedente fornisse ulteriori informazioni riguardo le condizioni di detenzione in cui si sarebbe venuta a trovare ME.
Orbene, la risposta del Governo della Repubblica dell’Ecuador fornisce dati incompleti e, conseguentemente, insoddisfacenti.
La richiesta riguardava informazioni su tutti gli episodi di sommossa avvenuti nelle carceri dell’Ecuador nell’ultimo anno, con la specificazione di quelli eventualmente avvenuti nel carcere di destinazione della M e con l’indicazione di eventuali morti o feriti fra i detenuti: la risposta ha riguardato esclusivamente l’area femminile del carcere di Cotopaxi al quale l’estradanda era destinata (“nell’area femminile del Centro di Privazione della Libertà – Regionale Sierra Centro Norte Cotopaxi non ci sono state rivolte, non ci sono state ferite o morte in quest’anno”), senza alcuna informazione riguardo alla condizione generale delle carceri dell’Ecuador e nemmeno riguardo specificamente all’interno carcere di Cotopaxi: è stato omesso qualunque riferimento sia ai plurimi episodi di sommossa avvenuti nel corso dell’ultimo anno in vari istituti di pena, che hanno provocato numerosi morti e feriti fra i detenuti e hanno indotto il Presidente della Repubblica a dichiarare lo stato di emergenza per ben tre mesi (dapprima due, poi prorogati), che alla circostanza, ricavabile dalle plurime notizie di stampa, che nel mese di luglio 2019 proprio nel centro di riabilitazione sociale Cotopaxi vi erano stati due omicidi fra i detenuti uomini [2].
Tuttavia, nonostante l’incompletezza delle informazioni di carattere generale, le ulteriori informazioni contenute nella nota del 4 settembre 2019 inducono comunque questa Corte a ritenere che non sussistano le condizioni per dar corso alla richiesta estradizione.
Da tale nota risulta infatti che lo spazio per ciascuna delle detenute ristrette nella sezione femminile del carcere di Cotopaxi è pari a 2,1 mq.
Orbene, le norme di diritto internazionale e interno precludono l’estradizione quanto il soggetto possa subire violazioni dei diritti fondamentali, fra i quali vi è quello a non essere sottoposto a trattamenti o pene inumani o degradanti. L’art. 3 della CEDU e l’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea stabiliscono in particolare che nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti e gli artt. 698 e 705 c.p.p. prevedono, quale ipotesi di rifiuto obbligatorio dell’estradizione, che vi sia ragione di ritenere che la persona sarà sottoposta a pene o trattamenti inumani o degradanti.
La Corte EDU in materia di violazione dell’art. 3 della Convenzione si è più volte occupata della questione dello spazio minimo da assicurare ad ogni detenuto. Secondo la giurisprudenza della Corte, uno Stato deve garantire che ogni recluso sia tenuto in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione di un provvedimento non lo sottopongano ad un disagio o a un dolore di intensità tale da eccedere il livello inevitabile di sofferenza connaturato alla detenzione.
Sulla questione del sovraffollamento carcerario, la Corte ha a lungo evitato di determinare in modo definitivo quanti metri quadrati dovrebbero essere assegnati a ciascun detenuto perché la detenzione non sia degradante, osservando che devono essere valutati anche altri fattori che incidono sulle condizioni di detenzione quali la durata delle detenzione, la possibilità di praticare attività fisica all’aperto, le condizioni di salute fisica o mentale del detenuto.
In una sentenza pilota (Orchowski contro Polonia, 22 ottobre 2009) la Corte però affermò che l’attribuzione ad un detenuto in una cella collettiva di uno spazio inferiore a 3 mq. costituisce un forte indizio di violazione dell’art. 3.
Ancor più specificamente, nella sentenza Ananjev e altri contro Russia, 10 gennaio 2012, la Corte ha stabilito che ogni detenuto deve disporre di una superficie pari ad almeno 3 mq. E di un posto letto personale e che la superficie totale della cella deve essere tale da permettere ai detenuti di muoversi liberamente tra i mobili; l’assenza di uno di tali elementi produce “una forte presunzione” che le condizioni di detenzione violino l’art. 3 (così anche Mursic contro Croazia, Grande Camera 20 ottobre 2016).
Proprio nella sentenza da ultimo richiamata, la Corte oltre a ribadire che il criterio dei 3 mq. di superficie calpestabile per detenuto per cella è il criterio minimo applicabile riguardo all’art. 3 della Convenzione e che quando la superficie è inferiore la mancanza di spazio personale è talmente grave da dar luogo a una forte presunzione di violazione dell’art. 3, ha aggiunto che tale “forte presunzione” non può essere vinta se non ricorrono insieme i seguenti fattori, che devono essere dimostrati dal Governo dello Stato: le riduzioni dello spazio personale sono brevi, occasionali e minori (paragrafo 130); si accompagnano ad una libertà di movimento sufficiente e ad attività adeguate fuori dalla cella (paragrafo 133); l’istituto di detenzione offre in linea generale condizioni di detenzione dignitose e non ricorrono altre circostanze che aggravano le cattive condizioni di detenzione (paragrafo 134).
La nostra Corte di Cassazione, con giurisprudenza ormai consolidata, ha fatto propri tali principi. Ancora recentemente ( sezione II sentenza n 25066 del 4 giugno 2019 ) la Corte ribadisce che se lo spazio della cella è inferiore a 3 mq. calpestabili per detenuto esiste una forte presunzione di violazione dell’art. 3 della Convenzione, che può essere vinta solo valutando l’esistenza di adeguati fattori compensativi, da individuarsi nella durata della restrizione carceraria, nella misura della libertà di circolazione, nell’offerta di attività da svolgere in ampi spazi fuori dalla cella e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione.
Ciò posto, ritiene la Corte che nel caso di specie non sia emerso alcun elemento idoneo a compensare adeguatamente la misura estremamente ridotta dello spazio individuale che sarebbe a disposizione della estradanda, considerato che la M deve scontare una pena particolarmente lunga (25 anni) e che dalle stampa locale emergono in quel carcere condizioni di detenzione poco dignitose (mancanza di acqua potabile in una situazione di forte sovraffollamento) oltre che pericolose per l’incolumità delle persone (sommosse e omicidi).
D’altronde, considerata la reticenza mostrata dallo Stato richiedente nel fornire informazioni precise e complete sulle condizioni di detenzione nelle sue carceri, ritiene questa Corte che un supplemento di istruttoria, con la richiesta di notizie riguardo all’esistenza di adeguati spazi di circolazione all’esterno delle celle e della possibilità di svolgere attività ricreative, formative ecc. non sia utilmente praticabile.
P.Q.M.
Visti gli articoli 704 e 705 c.p.p.
dichiara che non sussistono le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione di ME presentata dal Governo della Repubblica dell’Ecuador;
revoca la misura cautelare in atto nei confronti della ME e ordina che sia immediatamente rimessa in libertà.
Indica in giorni 45 il termine per il deposito della sentenza.
Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito.
Bologna, 11 ottobre 2019
Il Consigliere rel.
Dott.ssa Milena Zavatti Il Presidente
Dott. Orazio Pescatore
[1] Secondo la difesa la risposta dell’Ecaudor alla richiesta di informazioni formulata da questa Corte con l’ordinanza 28 giugno 2019 proveniva da un soggetto (Direttore Tecnico Regime Chiuso, che è apparentemente una struttura tecnica dell’amministrazione giudiziaria) che non rappresenta il Governo dello Stato richiedente. Osserva la Corte che l’Ambasciata della Repubblica dell’Ecuador ha fatto propria quella nota nel trasmetterla al governo italiano, di talchè la risposta va ritenuta come effettivamente proveniente dal Governo dalla Repubblica dell’Ecuador.
[2] Secondo la stampa locale la sommossa aveva avuto origine nella soppressione delle visite ai detenuti, nella presunta scarsa qualità del cibo e nella mancanza di acqua potabile.