Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Centro massaggi? No, bordello (Cass. 24325/18)

30 maggio 2018, Cassazione penale

Per integrare il concetto di casa di prostituzione punito dalla legge penale è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio: il reato di esercizio di casa di prostituzione non richiede, quindi, l'esistenza di una struttura associativa ma soltanto la presenza di un soggetto che sovraintenda alla gestione della casa in posizione sovraordinata rispetto alle prostitute; la fattispecie in esame è punibile a titolo di dolo generico, in quanto è sufficiente ad integrare l'elemento soggettivo del reato la volontà e consapevolezza dell'agente di gestire e controllare di una casa di prostituzione, non essendo richiesta alcuna finalità particolare, ne di lucro nè di servizio all'altrui libidine.

Ol delitto di esercizio di casa di prostituzione può concorrere con quello di sfruttamento dell'altrui prostituzione nel caso in cui l'esercente, tenutario della casa, partecipi ai guadagni in misura superiore a quella corrispondente al valore dei servizi resi.

In tema di reati concernenti la prostituzione, la circostanza aggravante del fatto commesso ai danni di più persone è incompatibile con il reato di esercizio di una casa di prostituzione, che implica necessariamente una pluralità di persone esercenti il meretricio.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 27/02/2018) 30-05-2018, n. 24325

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente -

Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - Consigliere -

Dott. DI STASI Antonella - rel. Consigliere -

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.B.S.E., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 13/09/2016 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI STASI Antonella;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l'imputata l'avv. ClM, che ha concluso riportandosi ai motivi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 13/09/2016, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 26.11.2012 del Tribunale di Milano con la quale C.B.S.E. era stata dichiarata responsabile dei reati di cui all'art. 81 cpv. c.p., L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 1 e 8 e art. 4, n. 7, - per aver gestito una casa di prostituzione all'interno di un centro massaggi denominato "(OMISSIS)" e sfruttato la prostituzione di numerose donne - e condannata alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 2.600,00 di multa.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.B.S.E., articolando undici motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di esercizio di casa di prostituzione, lamentando la mancata disamina delle doglianze esposte nel primo motivo di appello, con il quale si evidenziava come dalle risultanze dibattimentali emergesse che il centro estetico gestito dall'imputata svolgeva, in realtà, un'attività lecita e, cioè, l'esecuzione di massaggi di varia tipologia.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di esercizio di casa di prostituzione, lamentando la mancata valutazione dei dati probatori che escludevano il dolo in capo alla ricorrente per eventuali attività sessuali poste in essere, di propria iniziativa, da qualche massaggiatrice.

Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di sfruttamento della prostituzione, lamentando il travisamento delle dichiarazioni rese dalla teste S., che aveva riferito solo di un patto di ripartizione dei proventi dell'attività di massaggio.

Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di sfruttamento della prostituzione, lamentando un deficit motivazionale relativo al profilo soggettivo del reato, non essendovi prova che la ricorrente fosse a conoscenza di comportamenti anomali tenuti dalle dipendenti che operavano in cabine chiuse.

Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per omesso esame del motivo di appello che lamentava il travisamento delle dichiarazioni rese dalla teste S.. Con il sesto motivo deduce travisamento della prova in relazione alla identificazione tra la ricorrente e tale " B.", individuata quale titolare del centro estetico e dedita ad attività di prostituzione.

Con il settimo motivo deduce violazione degli artt. 270 e 271 c.p.p., in quanto i testi Ca. e F. avevano riferito del contenuto di intercettazione disposta in altro procedimento.

Con l'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motiva/ione in relazione alla configurabilità del reato di sfruttamento della prostituzione, in quanto, come oggetto di specifico motivo di gravame al quale la Corte territoriale non aveva fornito adeguata risposta, difettava un illecito profitto che l'imputata avrebbe tratto dall'asserito meretricio delle sue dipendenti.

Con il nono motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione dell'aggravante della pluralità di persone, incompatibile con la contestazione del reato di sfruttamento in concorso con il reato di esercizio di casa di prostituzione.

Con il decimo motivo deduce violazione dell'art. 240 c.p., e correlato vizio di motivazione in relazione alla mancata revoca della confisca del conto corrente intestato alla (OMISSIS) e acceso presso la Banca popolare di (OMISSIS), in quanto la Corte territoriale aveva dato per accertata la natura illecita delle somme quali introiti del meretricio senza considerare il motivo di appello che evidenziava che le somme in sequestro erano di formazione anteriore rispetto ai fatti contestati.

Con l'undicesimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla denegata attenuazione del trattamento sanzionatorio, lamentando omessa motivazione in ordine al motivo di appello che censurava l'aumento di sei mesi disposto sulla pena base per il concorso formale dei due reati in contestazione.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambi afferenti alla affermazione di responsabilità per il reato di esercizio di casa di prostituzione, sono infondati ed in più punti inammissibili.

Secondo il costante orientamento di questa Suprema Corte, per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, nn. 1 e 2, è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio (Sez. 3, 31 luglio 2013, n. 33160; Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rv 228971; Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Rv 214228).

Il reato di esercizio di casa di prostituzione non richiede, quindi, l'esistenza di una struttura associativa ma soltanto la presenza di un soggetto che sovraintenda alla gestione della casa in posizione sovraordinata rispetto alle prostitute (Sez. 3, n. 9447 del 21/01/2010, Memoli, Rv. 246342); la fattispecie in esame è punibile a titolo di dolo generico, in quanto è sufficiente ad integrare l'elemento socgettivo del reato la volontà e consapevolezza dell'agente di gestire e controllare di una casa di prostituzione, non essendo richiesta alcuna finalità particolare, ne di lucro nè di servizio all'altrui libidine.

Nella specie, la sentenza impugnata dà adeguatamente conto, richiamando puntualmente le fonti di prova (pag. 5), del complessivo compendio probatorio, alla stregua del quale emergeva che l'imputata gestiva l'esercizio del centro estetico adibito a luogo di prostituzione, occupandosi direttamente del reclutamento di una pluralità di ragazze e sovraintendendo all'attività di meretricio mediante inserzione di annunci pubblicitari, controllo dei clienti e gestione del denaro provento della prostituzione.

L'affermazione di responsabilità per il reato di esercizio di casa di prostituzione è, quindi, basata su affermazioni congrue non manifestamente illogiche ed in linea con i principi di diritto suesposti.

Va, peraltro, evidenziata anche l'inammissibilità delle doglianze relative alla valutazione probatoria operata dai Giudici del merito, in quanto sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità; infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale.

Va, infatti, rammentato che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Oltre a sollecitare una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità, le censure proposte appaiono una inammissibile doglianza fondata su una selezione, parziale ed arbitraria, del compendio probatorio; viceversa, la valutazione delle prove deve rispondere a criteri di completezza, globalità e unitarietà dell'esame, che non può essere, al contrario, atomistico e parcellizzato (ex multis, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, Knox, Rv. 255677).

2. I motivi di ricorso, quinto e sesto, con i quali si deduce vizio di motivazione e travisamento della prova, sono inammissibili.

E' stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di travisamento della prova testimoniale, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali - come avvenuta nella specie -, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 29/05/2015, Rv. 263601 Sez. 4, n. 37932 del 26/06/2008, Rv. 241023).

3. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.

La doglianza è priva della necessaria specificità perchè è formulata senza in alcun modo prospettare a questa Corte la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza degli elementi asseritamente inutilizzabili sulla complessiva motivazione posta a fondamento della contestata affermazione di responsabilità.

Questa Suprema Corte, con orientamento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/02/2017, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452; Sez. 4, n. 18764 del 5.2.2014, Rrv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato cie, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.

Nel caso in esame, i Giudici di merito hanno fondato l'affermazione di responsabilità su un quadro probatorio ampio ed articolato, fondandosi l'affermazione di responsabilità essenzialmente (vedi pag 4 e 5 della sentenza Tribunale pag 5 della sentenza di appello) sui servizi di osservazione della p.g. e sulle dichiarazioni del teste P., le cui risultanze residue (rispetto all'elemento a carico asseritamente inutilizzabile) non vengono esaminate dalla ricorrente ai fini della cosiddetta "prova di resistenza.

4. I motivi di ricorso terzo, quarto e ottavo, che afferiscono tutti all'affermazione di responsabilità per il reato di sfruttamento della prostituzione, sono, invece, fondati.

Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, il delitto di esercizio di casa di prostituzione può concorrere con quello di sfruttamento dell'altrui prostituzione nel caso in cui l'esercente, tenutario della casa, partecipi ai guadagni in misura superiore a quella corrispondente al valore dei servizi resi (Sez. 3, n. 9447 del 21/01/2010, Rv. 246343; Sez. 3, n. 44915 del 2014; Sez. 3, n. 2730 del 05/11/1999, dep. 07/03/2000, Rv. 215761; Sez. 3, n. 6353 del 11/04/1995, dep. 31/05/1995, Rv. 202283).

Nella sentenza impugnata, pur avendo costituito specifico motivo di appello, la sussistenza del reato di sfruttamento della prostituzione, non vengono esplicitate le ragioni per le quali l'imputata è stata ritenuta responsabile anche di tale reato.

Il silenzio della decisione sul punto vizia parzialmente l'atto decisorio ed integra il vizio denunciato.

5. Il nono motivo di ricorso è fondato nei limiti appresso precisati.

E' vero che questa Corte ha affermato che, in tema di reati concernenti la prostituzione, la circostanza aggravante del fatto commesso ai danni di più persone è incompatibile con il reato di esercizio di una casa di prostituzione, che implica necessariamente una pluralità di persone esercenti il meretricio (Sez. 3, n. 38941 del 28/09/2011, Rv. 251385; Sez. 3,n. 13005 del 27/172014, dep. 27/03/2015, Rv. 262856).

Nella specie, però, tale circostanza aggravante risulta contestata in relazione al reato di sfruttamento della prostituzione in ordine al quale la stessa è certamente applicabile (Sez. 3, n. 46456 del 22/10/2009, Rv. 245617).

Anche sul punto, dunque, la sentenza impugnata va annullata, essendo la valutazione di sussistenza di tale aggravante correlata e subordinata a quella di configurabilità del reato di sfruttamento della prostituzione.

6. E', altresì, fondato il decimo motivo di ricorso.

Nella sentenza impugnata, pur avendo costituito il punto specifico motivo di appello, non vengono esplicitate le ragioni per le quali i beni oggetto della disposta confisca costituiscono profitto di reato; il silenzio della decisione sul punto vizia parzialmente l'atto decisorio ed integra il vizio denunciato.

7. La sentenza impugnata va, quindi, annullata limitatamente al reato di sfruttamento della prostituzione nonchè alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, ed alla applicabilità della confisca.

Resta assorbito il motivo undicesimo relativo al trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di sfruttamento della prostituzione nonchè alla configurabilità della circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, ed alla applicabilità della confisca con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2018