Il certificato del presidio medico del pronto soccorso è atto pubblico fidefacente, caratterizzato - oltre che dall'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - dalla circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, cioè sia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice.
Contro un atto avente un simile valore probatorio, lo strumento previsto dalla legge è (solo) la querela di falso.
L'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Sono riservate al Giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, l'accertamento dei fatti operato dal Giudice di merito, ove con la censura proposta se ne voglia sostituire un altro ad esito diverso.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Ord., (ud. 05/03/2020) 28-07-2020, n. 16030
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico - Presidente -
Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere -
Dott. POSITANO Gabriele - Consigliere -
Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere -
Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29265-2018 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FRANCESCO LAURETTA;
- ricorrente -
contro
GENERALI ITALIA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell'avvocato MASSIMO SEGNALINI, rappresentata e difesa dall'avvocato ANTONIO PASSERO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 848/2018 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA GORGONI.
Svolgimento del processo
che:
S.M. ricorre per la cassazione della sentenza n. 848/2018 della Corte d'Appello di Napoli, pubblicata il 20 febbraio 2018, articolando due motivi.
Resiste con controricorso Generali Italia Assicurazioni S.p.A..
Il ricorrente espone in fatto di avere convento in giudizio, dinanzi al Tribunale di Nola, Assicurazioni Generali Italia Spa, quale impresa designata per la Campania da C.O.N. S.A.P.-F.G.V.S., per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti il 4 ottobre 2003 in S. Giuseppe Vesuviano quando, mentre era alla guida di un motociclo Piaggio, un'auto di colore chiaro, proveniente da tergo ed a velocità sostenuta, lo urtava nella parte sinistra, facendolo sbandare e finire violentemente contro il muro di cinta della carreggiata. Il conducente dell'auto rimasta sconosciuta si allontanava senza prestare soccorso e si rendeva irreperibile.
Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che non vi fossero, sulla scorta degli elementi istruttori disponibili, elementi per addivenire ad una declaratoria di responsabilità del conducente dell'auto pirata.
S.M. impugnava la decisione appellata dinanzi alla Corte d'Appello di Napoli, chiedendo l'accertamento della responsabilità del conducente dell'auto rimasta sconosciuta nella causazione del sinistro che gli aveva procurato danni quantificati in Euro 139.686,00 e lamentando l'erronea valutazione da parte del giudicante del materiale istruttorio acquisito al processo.
La Corte d'Appello, con la sentenza oggetto dell'odierna impugnazione, rigettava il gravame, ritenendo il certificato medico rilasciato dall'ospedale un atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso e che, pertanto, esso facesse fede delle dichiarazioni rilasciate dalla vittima nell'immediatezza dell'incidente e, in assenza di querela di falso, privasse di riscontro la circostanza riferita da S.M., cioè di essere giunto in ospedale privo di sensi.
Il Giudice d'Appello confermava, inoltre, la decisione del giudice di prime cure che, valutata negativamente l'attendibilità del teste, valorizzava le ulteriori incongruenze rilevate con particolare riguardo al lungo lasso di tempo intercorso tra il sinistro e la proposizione della querela che aveva irreparabilmente pregiudicato le indagini finalizzate all'individuazione del responsabile.
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
Motivi della decisione
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all'interpretazione degli artt. 2735 e 2697 c.c.. In particolare, egli assume di essere arrivato al pronto soccorso in stato di incoscienza o comunque in stato confusionale, perciò non avrebbe potuto rilasciare dichiarazioni ai sanitari del pronto soccorso. A supporto di tale circostanza adduce la relazione peritale di D.A., cui avrebbe riferito di non essere stato cosciente fino all'arrivo all'ospedale (OMISSIS), e la mancata sottoscrizione delle dichiarazioni riportate nel referto sanitario. Denuncia la sentenza impugnata per avere attribuito valore confessorio alle dichiarazioni raccolte nel referto medico, in assenza di prova della consapevolezza e volontà da parte sua di ammettere fatti a sè sfavorevoli e favorevoli alla controparte ed in assenza di ogni forma di controllo della corrispondenza tra quanto verbalmente espresso e quanto trascritto dall'accertatore.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d'Appello, con una motivazione che esce immune dalle censure rivoltele, ha dato rilievo alla dinamica del sinistro, in particolare, ai fini che qui interessano, quanto alla presenza di un'auto che avrebbe provocato l'incidente e che poi si sarebbe dileguata, senza possibilità di essere rintracciata, contenuta nel certificato redatto dai medici del pronto soccorso e ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni che S.M. aveva reso loro nell'immediatezza del fatto, allorchè ometteva di menzionare la presenza di un'auto sconosciuta e riferiva di essere sbandato in curva mentre guidava il motorino.
Ora, le dichiarazioni rese dall'odierno ricorrente erano entrate a far parte del compendio probatorio attraverso il certificato del presidio medico del pronto soccorso, a cui è stata riconosciuta, in sintonia con una giurisprudenza da cui non vi è ragione di discostarsi, natura di atto pubblico fidefacente, sulla base del rilievo che esso è caratterizzato - oltre che dall'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - dalla circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, cioè sia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice.
Tale statuizione non è affatto scalfita dagli argomenti utilizzati dall'odierno ricorrente che, per un verso, si adattano ad una scrittura privata ove l'imputazione della dichiarazione scritta al dichiarante esige la sottoscrizione di quest'ultimo; per altro, sono volti a superare l'asserito valore confessorio attribuito alle dichiarazioni contenute nel certificato medico, senza confronto con la ratio decidendi della sentenza impugnata che è così sintetizzabile: il certificato medico è atto pubblico che fa fede fino a querela di falso sia della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato sia, ai fini che qui interessano, delle dichiarazioni al medesimo rese; S.M. non ha proposto querela di falso in danno del medico certificatore, quindi, non può non tenersi conto del fatto che le dichiarazioni riportate nel certificato siano state rilasciate da S.M. e che il loro contenuto sia quello verbalizzato.
Per il resto le censure del ricorrente, introdotte attraverso il mezzo impugnatorio, contengono la denuncia di un vizio motivazionale, che oltre a non essere in linea con la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un "preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico, non assimilabile in alcun modo a "questioni" o "argomentazioni"), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, viola l'art. 348 ter c.p.c.: perchè quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5.
Nella specie la decisione della Corte d'Appello, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure, perciò, per le ragioni esposte, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Al fine di evitare tale conclusione, parte ricorrente avrebbe dovuto, confrontando le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado con quelle poste a fondamento della sentenza di rigetto del gravame, dimostrarne la diversità: il che nel caso di specie non risulta avvenuto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata "per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.: la prova documentale e la prova testimoniale", lamentando il fatto che la Corte d'Appello non abbia attribuito alla dichiarazione testimoniale resa da O.E. che, presente sul luogo del sinistro, ne aveva descritto la dinamica, confermando la presenza dell'auto pirata, limitandosi a considerarlo inattendibile, senza evidenziare eventuali contraddizioni nella sua dichiarazione, quali punti della dichiarazione fossero risultati non convincenti ed in generale gli elementi che l'avevano indotta a formulare tale giudizio, in violazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, privilegiando il certificato medico e la circostanza che il decorso di un così lungo lasso di tempo dall'incidente prima di presentare querela avesse irreparabilmente compromessa le indagine finalizzate all'individuazione dell'auto pirata.
Il motivo è inammissibile.
E' consolidato il principio secondo cui l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, cfr. Cass. 8/08/2019, n. 21187). Sono infatti riservate al Giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, l'accertamento dei fatti operato dal Giudice di merito, ove con la censura proposta se ne voglia sostituire un altro ad esito diverso (Cass. 23/01/2014, n. 1359).
Tanto premesso, la Corte territoriale non si è sottratta all'obbligo di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto inattendibile la testimonianza del teste: dichiarazioni incongruenti con quanto provato attraverso il certificato del sanitario del pronto soccorso, mancato riscontro di quanto riferito, anche in considerazione del fatto che l'autorità di polizia giudiziaria non era intervenuta nell'immediatezza dei fatti nè successivamente, incongruenza con riguardo al particolare lasso di tempo lasciato intercorrere tra il sinistro e la querela.
3. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione a favore del difensore anticipatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020