L’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione di regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione 'ex ante', non avrebbe potuto comunque essere evitato.
La condotta soggettivamente riprovevole, esclude il nesso eziologico qualora una condotta appropriata (ovvero un comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento: dunque, concludono le Sezioni Unite, la colpa si configura quando la cautela richiesta avrebbe avuto significative probabilità di successo, quando cioè l’evento avrebbe potuto essere ragionevolmente evitato, quando - insomma - si configura la cosiddetta 'causalità della colpa.
In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. La violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
La nozione strutturale di 'fatto' nel senso processualpenalistico va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.
CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. IV PENALE - SENTENZA 29 maggio 2018, n.24109 - Pres. Blaiotta – est. Menichetti
Ritenuto in fatto
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza in data 17 marzo 2017 confermava la condanna pronunciata dal G.I.P. Tribunale cittadino nei confronti di E.L. , quale responsabile del reato di omicidio colposo ai danni di M.G. , aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, la sera del 19 agosto 2011, l’E. , alla guida di un autocarro, percorrendo la via (omissis) , strada posta fuori del centro abitato, in zona agricola e priva di illuminazione, con direzione da (omissis) verso (...), per colpa generica e per il mancato rispetto della distanza di sicurezza, tamponava la bicicletta condotta dal M. , che lo precedeva sulla medesima corsia, provocandone la caduta a terra e cagionandogli gravissime lesioni dalle quali derivava l’immediato decesso.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, per tre motivi.
3.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, con conseguente violazione del diritto di difesa. Osserva che la Corte territoriale ha fatto riferimento in sentenza alla violazione dell’art.149 CdS, indicata nel capo di incolpazione, ma ha poi ipotizzato un sorpasso del velocipede da parte dell’imputato, e dunque la violazione dell’art.148 CdS in materia di rispetto di distanze laterali, con conseguente compromissione del diritto di difesa dell’imputato ex art. 521 c.p.p..
3.2. Con il secondo motivo prospetta violazione di legge e manifesta insufficienza della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato ex art.43 c.p. Deduce in particolare che l’imminenza e la gravità della situazione di pericolo non erano percepibili dall’imputato, che dunque non avrebbe potuto adottare alcuna condotta alternativa per evitare l’evento. L’E. viaggiava ad una velocità consentita ed era stato abbagliato dai fari di altro veicolo proveniente dalla direzione opposta, il ciclista non si trovava sul margine destro della carreggiata e la sua visibilità era ridotta sia per la mancanza di illuminazione della strada ed il colore scuro della bicicletta e degli indumenti indossati, sia perché, some sottolineato dal consulente dell’imputato - le cui dichiarazioni sono state riportate nella sentenza di primo grado - il M. non indossava il giubbotto rinfrangente, i pedali del velocipede erano privi dei previsti catadiottri ed il dispositivo illuminante posteriore non funzionava.
3.3. Con un ultimo motivo si duole della illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della non menzione.
Considerato in diritto
Il ricorso non è fondato.
In ordine al primo motivo, si osserva che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell’art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (S.U., 17 maggio 2010 n. 36551, Carelli, Rv.248051).
La nozione strutturale di 'fatto' contenuta nelle disposizioni di cui agli artt.521 e 522 c.p.p., va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, 18 giugno 2013 n. 35574, Rv. 257015; Sez. 4, 15 gennaio 2007 n. 10103, Rv. 236099).
Ciò posto, si osserva che nel capo di imputazione è contestata una colpa generica e la violazione dell’art. 149 CdS, con la indicazione della condotta tenuta dal conducente dell’autocarro, di aver tamponato il ciclista che lo precedeva sulla medesima corsia di marcia.
L’istruttoria dibattimentale si è concentrata sulla dinamica del sinistro e l’imputato ha esercitato pienamente i suoi diritti di difesa, anche attraverso la nomina di un proprio consulente di parte, le cui conclusioni hanno formato oggetto di valutazione da parte dei giudici di merito. Il fatto descritto dalla Corte di Milano attiene ad un tamponamento, l’accenno ad un eventuale sorpasso del velocipede non ha inciso sulla completezza e pertinenza della motivazione rispetto all’ipotesi accusatoria e dunque la censura agitata con il primo motivo di ricorso non si confronta con quanto argomentato in sentenza.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta l’elemento soggettivo della colpa, asserendo che dalla lettura delle risultanze processuali era emerso con evidenza che l’imminenza e la gravità della situazione di pericolo non erano percepibili dall’imputato né con facilità né con chiarezza e conseguentemente non era possibile prevedere in anticipo ed evitare lo scontro con la bicicletta, mediante l’adozione di una condotta alternativa tesa a scongiurare l’infausto evento.
Anche tale censura non ha fondamento.
Ha rimarcato la Corte territoriale che la presenza di una bicicletta su una strada in zona agricola ma con abitazioni intorno non poteva ritenersi una circostanza eccezionale o atipica, ma al contrario prevedibile, e dunque l’E. , conducendo l’autocarro in ora serale, in luogo privo di illuminazione pubblica, avrebbe dovuto tenere una condotta di guida - pur nel rispetto del limite massimo di velocità di 70 km/h vigente particolarmente attenta e prudente. Ha ancora sottolineato come il ciclista avesse la dinamo regolarmente inserita e la luce del fanale anteriore perfettamente funzionante, secondo quanto accertato dagli operanti e riferito nella comunicazione della notizia di reato in data 20.8.2011; non era stato invece constatato il funzionamento anche del fanale posteriore, solo perché completamente distrutto dall’urto. Con corretto e logico ragionamento deduttivo è stato quindi osservato in sentenza che l’inserimento della dinamo ed il funzionamento del fanale anteriore inducevano a ritenere che il M. viaggiasse, al momento dell’urto, con entrambe le luci funzionanti, circostanza del resto già accertata dal perito, nominato dal Tribunale dopo l’accoglimento della richiesta della difesa di ammissione al giudizio abbreviato 'condizionato' a tale incombente tecnico.
Dunque, anche se il ciclista non marciava tenendo rigorosamente il margine destro della carreggiata, ma spostato di circa 80 cm., non per questo la sua condotta irregolare poteva ritenersi un fattore eccezionale interruttivo del nesso di causalità.
Il ragionamento è corretto.
Giova in proposito rammentare il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di reati colposi l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione di regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto comportamento alternativo lecito), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione 'ex ante', non avrebbe potuto comunque essere evitato (Sez.4, n.34375 del 30/5/2017, Rv. 270823; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, Rv. 269254).
Il tema è stato di recente approfondito anche dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte che, nel delineare i tratti distintivi tra la regola di giudizio relativa all’evitabilità dell’evento per effetto di condotte appropriate e quella relativa alla dimostrazione del nesso causale, hanno precisato che è proprio la regola fissata dall’art. 43 cod proc.pen..che, configurando la colpa quando l’evento sia stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, esclude il nesso eziologico qualora una condotta appropriata (ovvero un comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l’evento: dunque, concludono le Sezioni Unite, la colpa si configura quando la cautela richiesta avrebbe avuto significative probabilità di successo, quando cioè l’evento avrebbe potuto essere ragionevolmente evitato, quando - insomma - si configura la cosiddetta 'causalità della colpa' (S.U., n.38343 del 24/4/2014, Espenhahn).
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono, pertanto, sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la 'concretizzazione' del rischio che la regola stessa mirava a prevenire (Sez.4, n. 43966 del 6711/2009, Rv. 245526), difettando l’evitabilità e quindi la colpa quando l’evento si sarebbe verificato anche qualora il soggetto avesse agito nel rispetto delle norme cautelari.
La Corte di Bologna, per quanto sin qui esposto, ha fatto buon governo dei richiamati principi di diritto, poiché, pur considerando la posizione irregolare del M. , ha indicato in maniera esaustiva e persuasiva gli elementi di colpa a carico dell’E. , sia per la prevedibilità della presenza del ciclista sulla strada extraurbana connotata da abitazioni intorno, sia per l’evitabilità dell’evento in caso di una condotta di guida adeguata allo stato dei luoghi ed all’ingombrante mezzo condotto. Nessun elemento di riscontro aveva invece trovato la tesi dell’imputato di essere stato abbagliato da altro veicolo che sopraggiungeva dall’opposta corsia di marcia.
Infondato anche il terzo motivo di ricorso.
I giudici di appello hanno ritenuto non concedibile il beneficio della non menzione in considerazione della tipologia di reato commesso e della complessiva condotta di guida dell’imputato, per nulla resipiscente rispetto all’evento causato.
Si tratta di una motivazione adeguata ed immune da censure, rispetto alla quale del resto non sono state prospettate specifiche ragioni che inducano ad una diversa valutazione.
Tali considerazioni portano al rigetto del ricorso ed alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali