Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Cliente che si appropria delle spese legali del difensore non commette reato (Cass. 27829/19)

27 giugno 2019, Cassazione penale

Le somme liquidate da un’assicurazione a favore del danneggiato sono di proprietà di quest’ultimo in tutte le voci, ivi compresa quella relativa alle spese legali con la conseguenza che il mancato versamento dell’onorario al patrocinatore non costituisce reato (ma solo un illecito civile).


CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. II PENALE

 SENTENZA 24 giugno 2019, n.27829

 Pres. Cammino – est. Alma

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 23 ottobre 2017, la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza in data 10 luglio 2014 del Tribunale di Pistoia con la quale G.M. (unitamente a M.G. per la quale la decisione è divenuta irrevocabile) era stato dichiarato colpevole del reato di concorso in appropriazione indebita ai danni dell’avv. F.C. , suo legale di fiducia, impossessandosi di una somma di denaro liquidata dalla assicurazione Aviva e riconducibile alle spese legali del predetto avvocato, e condannato a pena ritenuta di giustizia. Il reato è contestato come commesso in data successiva al (omissis) .

2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo violazione di legge nella configurazione del reato per il quale è intervenuta sentenza di condanna.

Osserva al riguardo il difensore del ricorrente che, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, le somme liquidate da un’assicurazione a favore del danneggiato sono di proprietà di quest’ultimo in tutte le voci, ivi compresa quella relativa alle spese legali con la conseguenza che il mancato versamento dell’onorario al patrocinatore costituisce solo un illecito civile, tanto è vero che, nel caso di liquidazione del danno da un’assicurazione ad un danneggiato, il difensore avrebbe azione solo nei confronti del cliente e non certo dell’assicurazione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso dell’imputato è fondato.

Questa Corte di legittimità con un assunto ritenuto condivisibile anche dall’odierno Collegio ha già avuto modo di chiarire che 'Non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore dal giudice civile a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria' (Sez. 2, n. 25344 del 25/05/2011, Giannone, Rv. 250767).

In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perché possa ritenersi configurabile il reato di cui all’art. 646 c.p., sono i seguenti:

a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione ad un terzo in virtù di un titolo giuridico;

b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo;

c) la volontà di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicita al proprietario del bene la propria volontà di non restituire più il bene del quale ha il possesso;

d) l’ingiusto profitto.

Infatti, la ratio dell’art. 646 c.p. deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa.

Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare: a) se la somma liquidata dal giudice a favore del G. (e della M. ) fosse o meno di proprietà dell’avv. F. ; b) se il G. la possedeva in virtù di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuò l’interversione.

La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente al proprio difensore.

In proposito è indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.

Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall’interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalità.

Nell’ipotesi, poi, di una causa civile, le modalità con le quali il professionista può farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: è l’ipotesi espressamente prevista dall’art. 93 c.p.c., che disciplina la fattispecie, appunto, della distrazione delle spese.

Nel caso in esame, è pacifico che la somma in questione venne liquidata a favore non dell’avv. F. ma direttamente a favore del G. (oltre che della M. per la quota di competenza della stessa) in quanto parte vincitrice a titolo di spese. È chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprietà ed alla stessa il G. era libero di dare la destinazione che più gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell’avv. F. . Quest’ultima, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto, potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta, direttamente nei confronti del proprio cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.

La questione in esame ha quindi solo una rilevanza civilistica e non consente di ravvisare nei fatti il reato di cui all’art. 646 c.p..

2. Quanto sopra evidenziato impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste e la conseguente revoca delle statuizioni civili contenute nella sentenza del Tribunale poi confermata dalla Corte di appello.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Revoca le statuizioni civili.