Il mancato o l'inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non sono idonei a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore - che legittimano la restituzione nel termine -, poichè consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, e perchè non può essere escluso, in via presuntiva, un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull'adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(data ud. 20/12/2016) 24/01/2017, n. 3631
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.L., nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 20/06/2016 del Tribunale di Nola;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GALLI Massimo, che ha concluso chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Nola, in seguito all'annullamento del precedente provvedimento di rigetto, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte con sentenza n. 21634 del 10.5.2016, ha nuovamente disatteso la istanza di remissione in termini per l'impugnazione della sentenza di condanna n. 2332/14 emessa dal medesimo Tribunale in data 14.10.2014, divenuta irrevocabile in data 12.1.2015, e di contestuale sospensione dell'esecuzione formulata dal difensore di P.L..
Nel provvedimento impugnato il Tribunale ha precisato che il titolo esecutivo si era formato correttamente e che l'atto di appello proposto fuori termine non può costituire causa ostativa alla emissione dell'ordine di carcerazione ovvero di sospensione dell'ordine stesso da parte del pubblico ministero. Nella valutazione del Tribunale, inoltre, non assumeva alcun rilievo la dedotta falsità della procura speciale per proporre impugnazione redatta in calce all'atto di appello datato 18.1.2015. Indipendentemente dal disconoscimento della propria sottoscrizione operato dall'imputato, l'avv. Salvatore Cipolla, il pregresso difensore del P., era, infatti, legittimato a proporre impugnazione già sulla scorta della procura speciale rilasciata in data 10.11.2011 e depositata in data 3.1.2012. Ogni questione relativa alla asserita falsità della sottoscrizione si rivelava, pertanto, ultronea. L'inadempimento o l'inesatto adempimento del difensore al mandato di proporre impugnazione, inoltre, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, non costituiscono di per sè ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, anche perchè grava sull'imputato l'onere di vigilare sul corretto svolgimento dell'incarico conferito. Nella specie, sì era, pertanto, in presenza di una inerzia colpevole del condannato, che non aveva comprovato di essersi attivato in proprio o presso il difensore per la rituale proposizione della impugnazione.
2. Il P., con il ministero del proprio difensore GM, ha presentato ricorso per cassazione avverso tale ordinanza ed, articolando due motivi, ne ha chiesto l'annullamento.
2.1 Con il primo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), e, segnatamente, la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in riferimento all'art. 670 c.p.p.. L'ordine di esecuzione era, infatti, stato emesso in pendenza dei termini per impugnare la declaratoria di inammissibilità dell'appello tardivamente proposto e tale modus procedendi aveva intaccato la legittimità della formazione del titolo. Secondo la difesa del ricorrente, infatti, in presenza di una impugnazione, anche tardiva, il passaggio in giudicato si realizza soltanto allorchè sia divenuto definitivo il provvedimento che dichiari la inammissibilità della stessa. Il Pubblico Ministero, pertanto, aveva dato esecuzione ad una condanna non ancora divenuta esecutiva.
2.2 Con il secondo motivo il P. deduceva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 175 c.p.p., e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il P. aveva maturato l'intima convinzione che il proprio difensore avesse ritualmente e tempestivamente provveduto ad impugnare la sentenza emessa dal Tribunale di Nola, a cagione delle rassicurazioni a tal riguardo fornitegli dall'Avv. Ci. In seguito alla visione dei motivi di appello, presentati tardivamente, e della relativa nomina, il P. aveva immediatamente denunciato il proprio difensore. Rilevava, inoltre, il ricorrente che il principio giurisprudenziale invocato nella motivazione del provvedimento impugnato era inconferente nel caso di specie. La condotta del proprio legale era, infatti, stata denunciata non già come negligente, bensì come illecita; la motivazione del tribunale, pertanto, era illogica poichè la mala fede del difensore aveva di fatto "eluso la pur attenta vigilanza del ricorrente" ed aveva menomato il proprio diritto di difesa.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere disatteso in quanto infondato.
2. Il primo motivo di ricorso verte sulla asserita illegittimità dell'ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero in pendenza dei termini per impugnare la declaratoria di inammissibilità dell'appello tardivamente proposto.
Secondo la difesa del ricorrente, infatti, nel caso in cui sia stata proposta impugnazione tardiva, la irrevocabilità della sentenza interviene soltanto allorchè sia divenuto definitivo il provvedimento che dichiari la inammissibilità della stessa.
Tale prospettazione non può, tuttavia, essere condivisa.
L'art. 648 c.p.p., comma 2, dispone che la sentenza contro la quale è ammessa l'impugnazione è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile. Il secondo termine contiene un riferimento al disposto dell'art. 591 c.p.p., comma 2, secondo cui il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato.
Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno sancito che dalla lettura coordinata di tali disposizioni si desume che la presentazione di un impugnativa tardiva non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, la quale, pertanto, deve essere necessariamente eseguita a cura del pubblico ministero, anche prima della pronuncia dichiarativa dell'inammissibilità dell'impugnazione (Sez. U., 26/06/2015, n. 47766, Butera, Rv. 265107; in precedenza Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Chiasserini, Rv. 227681; Sez. 1, n. 35503 del 24/06/2014, Kiem, Rv. 260287).
Questa soluzione è imposta dall'utilizzo della particella disgiuntiva "o", che separa le due ipotesi dell'inutile decorso del termine per proporre impugnazione e dell'inutile decorso del termine per impugnare l'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione e che indica che l'evento della irrevocabilità si compie quando si verifica anche una sola delle due ipotesi contemplate.
L'interpretazione contraria, inoltre, mostra tutti i suoi limiti là dove si consideri l'ipotesi di una impugnazione largamente tardiva, che comporterebbe, accettando la tesi difensiva, quale conseguenza irragionevole, se non paradossale, il venir meno dell'irrevocabilità della sentenza e l'obbligo di sospensione dell'esecuzione di una sentenza da tempo ormai definitiva.
Tale tesi manca, peraltro, di base testuale, in quanto il legislatore avrebbe usato una formula diversa, se avesse voluto stabilire l'inapplicabilità della prima ipotesi (quella dell'inutile decorso del termine per proporre impugnazione) nel caso di un'impugnazione, anche tardiva.
L'art. 648 c.p.p., comma 2, deve, quindi, essere interpretato nel senso che il riferimento all'ordinanza di inammissibilità dell'impugnazione contenuto nella seconda ipotesi riguardi le cause di inammissibilità diverse dalla tardività dell'impugnazione.
Pertanto, quando è inutilmente decorso il termine per proporre impugnazione, come nel caso di specie, la sentenza è irrevocabile, a prescindere dall'esito del relativo giudizio: in quella sede si potrà verificare che l'impugnazione non sia, in realtà, tardiva (si pensi ad un'impugnazione presentata in luogo diverso da quello in cui fu emesso un provvedimento, tardivamente trasmessa), ma se, al contrario, la tardività verrà confermata, la relativa ordinanza non potrà che prendere atto di un'irrevocabilità già verificatasi.
Ciò premesso, l'irrevocabilità della sentenza attribuisce al titolo forza esecutiva (art. 650 c.p.p., comma 1), con la conseguenza che il pubblico ministero deve dare corso alla sua esecuzione, senza alcuna discrezionalità sul punto, in quanto organo preposto all'esecuzione, titolare del potere-dovere di emettere il relativo ordine (Sez. 1, n. 3791 del 31/10/2000, dep. 2001, Trotta, Rv. 218044) In questo caso si è, infatti, in presenza di una impugnazione sin dall'origine inidonea a instaurare un valido rapporto processuale, in quanto il decorso del termine derivante dalla mancata proposizione della impugnazione ha già trasformato il giudicato sostanziale in giudicato formale, sicchè il giudice dell'impugnazione si limita a verificare il decorso del termine ed a prenderne atto.
Pienamente legittimo è, pertanto, l'operato del Pubblico Ministero che nel caso di specie ha emesso l'ordine di esecuzione pur in costanza della avvenuta presentazione di una impugnazione tardiva ed il provvedimento impugnato è sul punto immune da vizi.
3. Con il secondo motivo il P. deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per inosservanza o erronea applicazione dell'art. 175 c.p.p. e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La tardività della presentazione della imputazione sarebbe, infatti, imputabile esclusivamente al pregresso difensore del P. che, falsificando la firma del proprio assistito ed apponendo una data di rilascio della procura successiva alla scadenza dei termini per impugnare, aveva inteso occultare la propria responsabilità professionale.
La condotta del proprio legale dell'epoca era, infatti, stata denunciata non già come negligente, bensì come illecita; la motivazione del tribunale, pertanto, non era logica poichè la mala fede del difensore aveva di fatto "eluso la pur attenta vigilanza del ricorrente", che aveva agito nella intima convinzione che il proprio difensore avesse tempestivamente presentato la impugnazione.
Anche tale doglianza deve essere disattesa in quanto infondata.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, il mancato o l'inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non sono idonei a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore - che legittimano la restituzione nel termine -, poichè consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, e perchè non può essere escluso, in via presuntiva, un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull'adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (ex plurimis: Sez. 6, n. 18716 del 31.3.2016, Saracine, Rv. 266926).
Declinando tali principi nel caso di specie, deve rilevarsi come, nella stessa prospettazione del ricorrente, la asserita falsificazione della sottoscrizione dell'imputato, sia stata posta in essere dal difensore dell'epoca per giustificare una presentazione tardiva della impugnazione.
Pur prescindendo dalla fondatezza delle allegazioni in fatto del ricorrente, si sarebbe, pertanto, pur sempre in presenza di un mancato adempimento dell'incarico defensionale, ancorchè corredato da una falsificazione postuma, asseritamente confezionata, nella prospettazione del ricorrente, al fine di coonestare la correttezza del proprio operato professionale ed occultare la propria responsabilità.
Come ha, peraltro, persuasivamente rilevato il Tribunale di Nola nel provvedimento impugnato, il difensore era già legittimato a proporre autonomamente l'impugnazione, avendo già ricevuto il conferimento dei necessari poteri, e, pertanto, la vicenda relativa alla asserita falsificazione è assolutamente irrilevante ai fini di giustificare la remissione in termini del condannato. Immune da denunciati vizi è, pertanto, il rilievo del Tribunale di Nola, secondo il quale nella specie si è in presenza di una inerzia colpevole del condannato, che non ha comprovato di essersi attivato in proprio o presso il difensore per la rituale proposizione della impugnazione.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017