La coltivazione di marijuana è punbile anche solo se le piante sono idonee a produrre la sostanza per il consumo: non rileva quindi la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza dell'accertamento, ma la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine (anche per modalità tecniche e cura della coltivazione) a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo.
Corte di Cassazione
entenza 8 settembre 2015 ? 22 gennaio 2016, n. 3037
Fatto e diritto
1. Con ordinanza del 14.4.2015 il g.i.p. del Tribunale di Mantova ha convalidato l'arresto in flagranza di reato di F.M. ed ha applicato allo stesso la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di coltivazione di diverse piante di canapa indiana (tra cui sette piante alte mt. 1,80 e molteplici infiorescenze della stessa natura già essiccate) e di illecita detenzione di numerosi quantitativi di tale sostanza (marijuana) ricavati dalla coltivazione. Condotta attuata dal F. (che ha ammesso l'addebito, adducendo la destinazione della sostanza drogante ad un suo esclusivo uso personale), allestendo una vera e propria area di coltivazione in alcune stanze di una ex casa di riposo di (omissis) , il cui immobile era in sua disponibilità quale responsabile di un'associazione giovanile (Ermes Centro Studi Giovanile) affidataria della struttura immobiliare.
Il procedente g.i.p. ha ritenuto di applicare la misura cautelare domiciliare in ragione dei gravi indizi di colpevolezza delineantisi a carico dell'indagato, posti in luce dall'operazione di p.g. culminata nel suo arresto e dallo stato dei luoghi attrezzati per la illecita coltivazione della canapa indiana, nonché del ricorrere di esigenze cautelari, fronteggiabili con la ridetta misura cautelare, connesse all'elevato pericolo di reiterazione di condotte criminose. Pericolo stimato attuale e concreto alla stregua della notevole quantità di marijuana detenuta dal F. e della meticolosa organizzazione della coltivazione da lui approntata ("strumentazione professionale sequestrata: ventilatori, deumidificatori, pompe di irrigazione, prese elettriche con timer, ecc.").
2. Giudicando sulla istanza di riesame cautelare dell'indagato, il Tribunale distrettuale di Brescia ha respinto il gravame e confermato l'ordinanza custodiale intramurale. Ciò sulla base, per un verso, della solidità della prova cautelare rappresentata dall'allestimento da parte del F. di un vero e proprio "laboratorio" professionale per coltivare le piante di canapa e della sicura offensività dell'accertata condotta, avvalorante (in contrasto con la tesi difensiva dell'uso personale della droga addotta dall'indagato) le finalità cessorie lucrative del prodotto della coltivazione (spaccio). Ed altresì sulla base, per altro e congiunto verso, della ritenuta adeguatezza della custodia domiciliare per contrastare le ineludibili esigenze cautelari sottese al pericolo di recidiva palesato dalla oggettiva gravità dei fatti e dai connotati di metodicità e non occasionante della condotta illecita ("F. è titolare di una società che svolge attività ricreative e ha posto in essere la condotta di coltivazione nei locali dell'associazione...in un luogo pubblico...la vastità della piantagione non depone a favore di un uso personale della marijuana ricavata").
3. L'ordinanza reiettiva del riesame cautelare è stata impugnata per cassazione dal difensore del F. , che ha dedotto i vizi di legittimità, per violazione di legge (artt. 73 d.P.R. 309/90; 273, 274 e 275 c.p.p.) e per insufficienza e illogicità manifesta della motivazione, sintetizzati come di seguito.
Sul piano della gravità degli indizi di colpevolezza per i fatti di coltivazione e detenzione illecite di marijuana contestati all'indagato il Tribunale ha fondato il proprio giudizio sul mero dato ponderale delle foglie di canapa già essiccate e del numero delle piante messe a coltura in assenza di supporti scientifici sulla effettiva idoneità stupefacente di foglie e piante, cioè in assenza di una indagine tecnica di tipo tossicologico (soltanto in corso di svolgimento al momento della decisione del riesame).
Non emerge, dunque, la concretezza del pericolo della coltivazione avviata dall'indagato, poiché la sola presenza di sostanza psicoattiva in ciascuna delle piante sequestrate (accertata con i narco-test dalla p.g.) non vale ad escludere la virtuale irrilevanza penale della coltivazione indoor attuata da F. . I giudici del riesame hanno inteso fecalizzare l'offensività della condotta dell'indagato alla stregua di dati soltanto presuntivi, eludendo una reale verifica della concretezza del pericolo, non potendo questa evincersi dalla fase di essiccazione delle germinazioni delle piante (sviluppo necessario di qualsiasi coltivazione) e dal generico connotato di "professionalità" attribuito alla coltivazione realizzata dal F. .
Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale ha in modo incongruo e apodittico enfatizzato l'importanza ("vastità") e significatività della condotta di coltivazione e connessa detenzione di marijuana ascritta al prevenuto e la loro localizzazione "pubblica" (la sede del circolo culturale diretto dal F. ). Elementi cui il Tribunale ha sovrapposto un'altrettanto apodittica esclusione dell'uso personale della marijuana ricavabile dalle piante addotta dall'indagato. Di tal che difetta un effettivo connotato di concretezza del pericolo di recidiva che sosterrebbe le affermate esigenze cautelari e nel contempo manca una spiegazione idonea delle ragioni per le quali siffatte esigenze non possano essere tutelate con un misura meno afflittiva di quella degli arresti domiciliari applicata al ricorrente.
4. Il ricorso proposto nell'interesse di F.M. deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza delle descritte censure in tema di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.
4.1. Per ragioni di completezza descrittiva della vicenda cautelare in esame è opportuno segnalare, alla luce degli atti uniti al fascicolo processuale trasmesso a questa Corte per il giudizio di legittimità, che - dopo la decisione del riesame e la presentazione dell'odierno ricorso - nei confronti del F. è stato emesso decreto di giudizio immediato ed è stata depositata la relazione della consulenza tecnica ordinata dal p.m. sulle piante e sui vari quantitativi di sostanza vegetale caduti in sequestro.
Relazione, pur evocata dal ricorso, da cui si desume che nell'insieme dei reperti analizzati (piante, foglie secche, infiorescenze, tronchi, rami e arbusti di canapa indiana) è stata riscontrata la presenza di cannabinoidi, tra cui il Delta 9 THC costituente il principio attivo della cannabis sativa, e che dai reperti sono ricavabili complessivi 9.454 singole dosi di marijuana con effetti droganti.
4.2. Tanto chiarito ed impregiudicato il persistere dell'interesse del ricorrente all'odierna impugnazione, è agevole rilevare la cedevolezza degli argomenti censori espressi con il ricorso in ordine alla solidità della piattaforma indiziaria, che il Tribunale del riesame ha ritenuto connotare la posizione processuale del F. , in aderenza - del resto - a specifico e ribadito indirizzo giurisprudenziale di questa Corte regolatrice (l'impugnata ordinanza contiene esplicito richiamo alla sentenza, tra le molte, Sez. 6, n. 22459 del 15/03/2013, Cangemi, Rv. 255732). I rilevi del ricorso in punto di rilevanza penale della coltivazione posta in essere dall'indagato, sotto il profilo della concreta offensività della condotta, sono palesemente destituiti di pregio. Anche a prescindere dal dato per cui il F. ha addotto di voler destinare a suo consumo la marijuana ricavata dalla coltivazione, ma di un simile suo uso non ha allegato prove dirette o indirette.
In proposito merita riaffermare che la sentenza n. 360/1995 della Corte Costituzionale (manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 73 e 75 L.S. nella parte in cui prevedono l'illiceità penale della coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti destinate all'uso personale degli agenti) non ha configurato come non punibile la coltivazione di piante capaci di produrre sostanze stupefacenti destinate al consumo personale dei "coltivatori", ma ha unicamente posto l'accento sulla pur sempre necessaria verifica, alla stregua di un giudizio di merito, della "offensività specifica della singola condotta in concreto accertata" e della sua effettiva idoneità a vulnerare il bene giuridico protetto (contrasto al consumo di droghe), in difetto della quale la condotta diviene priva della tipicità e non più riconducibile alla norma incriminatrice.
Tale decisione del giudice delle leggi è stata tenuta ben presente dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 28605 del 24.4.2008, Di Salvia, Rv. 239920) che hanno definitivamente chiarito come integri un contegno penalmente apprezzabile ogni attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, anche se attuata in funzione di un uso soltanto personale del prodotto della coltivazione (così anche, ex plurimis: Sez. 6, n. 49528 del 13.10.2009, Lanzo, Rv. 245648; Sez. 6, n. 49523 del 9.12.2009, Cammarota, Rv. 245661).
Chiarito che, come affermano le Sezioni Unite, qualsiasi tipo di coltivazione è caratterizzato da un dato essenziale e distintivo rispetto alla fattispecie di detenzione di sostanze droganti, che è quello di contribuire ad accrescere in qualunque entità, pur se mirata a soddisfare esigenze di natura personale, la quantità di sostanza stupefacente esistente ("la coltivazione presenta la peculiarità di dar luogo ad un processo produttivo astrattamente capace di autoalimentarsi attraverso la riproduzione dei vegetali"), l'attenzione nel caso del ricorrente si sposta sulla verifica di offensività della condotta criminosa, proprio alla luce del dictum della Sezioni Unite, sintonico con la ricordata decisione n. 360/1995 della Corte Costituzionale, sì che "l'offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile". Eventualità, questa, da escludersi a fronte della accertata capacità produttiva di droga (marijuana) delle piante messe a dimora dal F. e delle essiccate infiorescenze già ricavatene; capacità produttiva emersa chiara, è il caso di sottolineare, fin dai primi accertamenti della p.g. in fase di investigazioni.
Nella delineata prospettiva deve rimarcarsi, come precisato da numerose recenti decisione di questa S.C., che - in relazione alla specificità del fatto materiale di coltivazione - non può aversi riguardo allo stadio (iniziale, in corso, avanzato, esaurito) del processo produttivo accertato (ciò che equivarrebbe a dare ingresso ad un improprio criterio di punibilità differenziata), poiché l'offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltivazione a produrre la sostanza per il consumo. Con l'ovvio effetto che non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza dell'accertamento, ma la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine (anche per modalità tecniche e cura della coltivazione) a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo (cfr.: Sez. 6, n. 22459 del 15.3.2013, Cangemi, Rv. 255732, cit.; Sez. 3, n. 23082 del 09/05/2013, DE Vita, Rv. 256174; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170; Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014, M., Rv. 258998: "Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l'assenza di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all'esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare è attività che si riferisce all'intero ciclo evolutivo dell'organismo biologico").
4.3. Manifestamente infondati vanno del pari ritenuti i rilievi enunciati nel ricorso in merito alle esigenze cautelari e alla confermata idoneità della misura cautelare domestica a contrastare il pericolo di recidiva riconoscibile nella prolungata attività criminosa dell'indagato.
Il Tribunale del riesame ha chiarito, con adeguata e lineare motivazione, le ragioni legittimanti il mantenimento dello stato custodiale del F. a fronte dell'elevato pericolo di nuove condotte criminose del prevenuto (per la notevole spregiudicatezza e la totale noncuranza del rispetto delle regole dallo stesso dimostrate con i fatti criminosi), altresì specificamente argomentando - anche alla luce del comma 3-bis dell'art. 275 c.p.p., introdotto dalla L. 16.4.2015 n. 47 - sulla concreta inefficacia di misure meno afflittive di quella cautelare domestica ("Non si ritiene che allo stato sussistano elementi per concedere all'indagato un ampliamento della sfera di libertà, posto che l'esiguo tempo trascorso dall'applicazione della misura non consente di ritenere che il F. abbia compreso il disvalore penale del fatto posto in essere").
Ciò che non impedisce di rilevare come già il g.i.p. del Tribunale di Mantova disponente la misura cautelare avesse rimarcato l'inefficacia di misure non custodiali a scongiurare il rischio di nuovi reati ("l'applicazione di una di tali misure consentirebbe una libertà di movimento compatibile con la prosecuzione e reiterazione dell'attività criminosa").
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue ope legis la condanna del F. al pagamento delle spese processuali e dell'equa somma di Euro 1.000 (mille) alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.