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Condanna per droga, patente salva? (C.App. Ancona, 2425/18)

22 novembre 2018, Corte di appello di Ancona

La revoca della patente, per chi è stato condannato per reati inerenti agli stupefacenti, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell'insussistenza (sopravvenuta) dei "requisiti morali" prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione.

La revoca della patente non è atto dovuto a contenuto vincolato, ma esercizio di potere discrezionale.

 

Corte d’Appello di Ancona

sentenza 7 – 22 novembre 2018, n. 2425

Presidente Castagnoli – Relatore Ercoli

Fatto e diritto

Il giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Ancona, con sentenza ex art. 444 c.p.p n. 323/2015 emessa in data 14.04.215, divenuta irrevocabile li 03.05.2015, applicava a (omissis...), la pena di mesi sette di reclusione ed Euro 2.000 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e concesse le attenuanti generiche, in ordine al delitto di cui agli artt. 110 c.p., 73, comma 1, del D.P.R. 309/90, riconosciuta l'ipotesi lieve di cui al IV comma dell'art.73 D.P.R. 309/90, per detenzione, in concorso con altri soggetti, ai fini di spaccio di gr. 20,23 di sostanza stupefacente.

Con provvedimento prot. 0059354 in data 23.09.2015, notificato in data 02.10.2015 la Prefettura ‐ Ufficio Territoriale del Governo di Ancona, revocava la patente di guida cat. B) di (omissis...) sul presupposto della intervenuta sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90 ed essendosi verificate le condizioni previste dall'art. 120, comma 1, del C.d.S., come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a) della legge 94/2009 rilevando che il conseguente provvedimento era "atto amministrativo ad emanazione dovuta e a contenuto vincolato e pertanto, in quanto tale, è da ritenersi escluso dall'obbligo della preventiva comunicazione ( ex art. 7 della legge 241/90)".

L'opponente aveva dedotto l'illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida per violazione degli artt. 3 e 7 della L. 241/90 in relazione all'art. 120 Cd.S. in ragione dell'inosservanza dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento e della mancanza di adeguata motivazione non essendo stati indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che avevano determinato la decisione dell'amministrazione, così come previsto dall'art. 3 L. 241/91, posto che il provvedimento di revoca era stato emesso, attesa l'intervenuta pronuncia di condanna per il delitto di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90, sul presupposto che lo stesso fosse atto vincolato e ad emanazione dovuta ai sensi del novellato art. 120 C.d.S. per cui la posizione di (omissis...), in particolare quanto alla sua attuale pericolosità, non era stata riesaminata in sede amministrativa.

Aveva, quindi, concluso chiedendo, nel merito: annullare il provvedimento di revoca della patente di guida n.0059354 emesso ex art. 120 C.d.S. dalla Prefettura ‐Ufficio territoriale del Governo di Ancona in data 23 settembre 2015 e/o dichiarare, in ogni caso la nullità/inesistenza/invalidità/inefficacia anche di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, con ogni ulteriore statuizione, anche in ordine alle spese.

La Prefettura di Ancona si era costituita in giudizio rilevando che la norma non attribuiva alcuna discrezionalità all'amministrazione in ordine alla revoca della patente conseguente alla condanna per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90, poiché tale provvedimento doveva essere qualificato come atto dovuto, risultando del tutto irrilevante, per tale profilo, l'evoluzione della normativa penale, prevista dal medesimo art. 73.

Il tribunale adito, con sentenza 36/2018 in data 09.01.2018, respingeva il ricorso disponendo la totale compensazione delle spese di lite.

Rilevava il primo giudice che il citato art. 120 non integrava una norma sanzionatoria ma regolava i requisiti richiesti dal legislatore per il rilascio dei titoli abilitativi di cui all'art. 116, individuati sulla base di una valutazione effettuata in via preventiva e presuntiva dal legislatore che escludeva la possibilità di conseguire o conservare la patente ai soggetti che hanno riportato condanne per i reati di cui agli artt. 73 e 74 D.P.R. 309/90 senza distinzioni di sorta e senza lasciare spazio ad una valutazione discrezionale dell'autorità amministrativa caso per caso.

Ciò escludeva, secondo quanto argomentato dal primo giudice, anche la dedotta violazione dell'art. 7. Osservava altresì il tribunale che neppure poteva sostenersi la necessità di una distinzione tra la fattispecie di lieve e di grave entità, poiché "la distinzione delle condotte descritte da tali due commi rileva in sede penale, ma non anche ai fini dell'applicazione dell'art. 120 comma 1 C.d.S. per il quale la misura della revoca della patente deve conseguire a qualsiasi condanna per i reati previsti dai commi 1 e 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309/1990".

(omissis...) proponeva appello avverso la richiamata sentenza invocandone l'integrale riforma, reiterando la richiesta di annullamento dell'impugnato decreto della Prefettura U.T.G. di Ancona, ovvero declaratoria di nullità, inesistenza, invalidità, inefficacia, anche di ogni altro presupposto, connesso o conseguente, con vittoria delle spese di lite.

Si costituiva la Prefettura di Ancona U.T.G., deducendo il sopravvenuto difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, l'infondatezza dei motivi di gravame.

All'esito dell'odierna udienza di discussione le parti precisavano le loro conclusioni come da verbale.

L'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla parte appellata risulta infondata e va conseguentemente rigettata.

Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte: il principio sancito dall'art. 5 cod. proc. civ., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, si riferisce esclusivamente all'effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all'effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che, a norma dell'art. 136 Così., dell'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e della legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione. Tale efficacia retroattiva, tuttavia, si arresta di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione, sicché, nel caso in cui la sentenza della Corte costituzionale sia intervenuta quando il giudicato in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l'eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità ( Cass. S.U. 02.12.2008 n. 28545; v. anche Cass. S.U. 11.02.2010 n. 3200).

I motivi del gravame possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro evidente connessione.

Evidenti ragioni di priorità logica impongono di esaminare l'intervenuta pronuncia della Consulta sulla questione della legittimità costituzionale riguardante la norma applicata per disporre la revoca della patente di guida.

L'articolo 120 C.d.S., nella formulazione vigente ratione temporis, stabiliva, tra l'altro che "non possono conseguire la patente di guida (...) le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 ( Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza ) fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi (...)" e che " (...) se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida (...)".

In relazione al caso di specie, risultando pacifica la presenza di una sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/1990 ‐ elemento ostativo al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida ‐ si imponeva l'adozione di un provvedimento di revoca da parte dell'Amministrazione, sufficientemente motivato con il richiamo alla pronuncia condannatoria in presenza della quale la revoca medesima costituiva atto dovuto, come evidenziato nella parte motiva del medesimo decreto.

In siffatto quadro fattuale‐normativo è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 22/2018 del 22.01.2018, depositata li 09.02.2018, dichiarando la illegittimità costituzionale, per violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a), della legge 15 luglio 2009 n. 94 ( Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui ‐ con riguardo all'ipotesi di condanna per i reati di cui agli arti 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida ‐ dispone che il prefetto "provvede "‐ invece che "può provvedere" ‐ alla revoca della patente.

E' stata, pertanto, ritenuta fondata e meritevole di accoglimento la questione sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza n. 210/2016 che aveva denunciato la disposizione di cui all'art. 120 comma 2, C.d.S. ai sensi del quale, nel caso i requisiti morali per ottenere l'abilitazione alla guida venissero meno per via di una condanna attinente alla detenzione ed al commercio di stupefacenti, il prefetto doveva provvedere alla revoca della patente di guida senza alcun potere discrezionale di valutazione della fattispecie concreta di reato e della personalità del soggetto condannato.

Secondo la Corte Costituzionale la violazione dei principi di cui all'art. 3 Cost. si riscontra nell'art. 120 comma 2, C.d.S. laddove la norma ricollega invia automatica il medesimo effetto ‐ la revoca del titolo di guida ‐ alla sopravvenienza di una condanna penale per i reati di cui agli artt. 73 e 74 T.U. sugli stupefacenti, le cui disposizioni, tuttavia, comprendono una varietà di fattispecie, potendo riguardare reati di diversa
natura ed entità, anche alla luce delle modifiche introdotte con D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito in L. 10/2014, che hanno reso fattispecie autonoma di reato l'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990.

I giudici della Consulta si premurano di escludere in radice la qualifica di "sanzione penale" del provvedimento prefettizio affermando che "la revoca della patente, nei casi previsti dall'articolo 120 in esame, non ha natura sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la constatazione dell'insussistenza (sopravvenuta) dei "requisiti morali" prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione".

Il primo profilo di irragionevolezza della norma censurata risiede ‐ ad avviso della Corte Costituzionale ‐ nel fatto che l'applicazione automatica della revoca della patente di guida prescinde da qualsiasi valutazione delle circostanze del caso concreto e, soprattutto, dall'eventuale distanza temporale del provvedimento del prefetto rispetto ai fatti ai quali si riferisce la sentenza di condanna per i reati in tema di stupefacenti: "la disposizione denunciata ‐ sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida ‐ ricollega , infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumi bili in termini di omogeneità , atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve entità. Reati che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un tale intervallo temporale, un giudizio di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida ".

Ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3 Cost., come già evidenziato dal rimettente Tribunale genovese, deriva, per il Giudice delle leggi, dal raffronto con l'art. 85 del T.U. sugli stupefacenti, in forza del quale il giudice penale che pronuncia sentenza di condanna per i reati in questione "può disporre" la parallela misura del ritiro della patente di guida.

L'accoglimento di tale censura, peraltro, non si basa sul fatto che, a seguito dell'intervenuta condanna, il prefetto debba disporre la revoca anche ove il giudice penale decida di non irrogare la sanzione penale accessoria del ritiro della patente ( attesa l'accertata natura non sanzionatoria del provvedimento prefettizio), bensì sulla constatazione che, a fronte del medesimo presupposto ( condanna per i reati in tema di stupefacenti, il fatto‐reato è lo stesso) e delle affinità, sul piano pratico, delle due diverse misure ( incidendo entrambe negativamente sulla titolarità della patente), "mentre il giudice penale ha la "facoltà" di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il "dovere" di disporne la revoca".

Conseguentemente il decreto prefettizio impugnato espressamente qualificato quale "atto amministrativo ad emanazione dovuta e a contenuto vincolato " non può che essere annullato essendo tenuta l'autorità emanante alla valutazione della fattispecie in base ad uno scrutinio fondato su elementi di natura oggettiva e soggettiva ritenuti rilevanti ai fini della decisione in ordine alla revoca della patente di guida.

Per quanto riguarda le spese processuali, la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa oggetto del contendere intervenuta nel corso del giudizio legittima la regolamentazione di tali oneri in termini di integrale compensazione.

P.Q.M.

La Corte, in riforma della sentenza n. 36/2018 del Tribunale di Ancona in data 09.01.2018, annulla il decreto prefettizio impugnato;
dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio;
non sussistono i presupposti di cui all'art. 13 del D.P.R. 30.05.2002 n. 115, così come modificato dall'art. 1, comma 17, della L. 24.12.2012 n. 228.