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Condannato vigile del fuoco per omesso intervento (Cass. 37224/19)

6 settembre 2019, Cassazione penale

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Spetta ai vigili del fuoco, pubblici ufficiali, attivarsi al fine di valutare compiutamente eventuali situazioni di rischio, inviando personale esperto al fine di verificare le condizioni effettive.

L’attivazione di poteri pubblici finalizzati alla prevenzione di un rischio potenziale per la pubblica incolumità non può discendere da una situazione casuale: l’obbligo giuridico connesso all’esercizio della funzione richiede un quadro fattuale e normativo che consenta al funzionario di essere consapevole di prendere in carico la situazione di rischio quale garante, sulla base di una investitura non necessariamente legata a formule sacramentali, ma che deve comunque derivare da una chiara situazione di fatto avente rilievo giuridico - di cui il giudicante è tenuto a dare conto - che investa il pubblico funzionarlo dell’obbligo di garanzia, con tutto quanto ne consegue in termini di consapevolezza di dover seguire determinate regole cautelari che si raccordano all’obbligo di diligenza richiesto al pubblico dipendente nell’esercizio della specifica funzione di controllo a lui demandata.

 

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 5 giugno – 6 settembre 2019, n. 37224
Presidente Di Salvo – Relatore Ranaldi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 5.7.2018 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato F.T. colpevole del reato di omicidio colposo di Al.Cr. e, per quanto qui rileva, ha confermato la sentenza del primo giudice in punto di responsabilità di P.I.C. per il medesimo reato.
1.1. La vicenda attiene al sinistro verificatosi la mattina del (omissis) , all’altezza dei giardini "(omissis) ", a causa del quale perdeva la vita la quarantatreenne Al.Cr. .
Secondo quanto ricostruito in sede di merito, quella mattina la Al. stava percorrendo la predetta via, alla guida della sua autovettura Fiat Panda, quando sulla strada si abbatteva improvvisamente un pino marittimo di notevoli dimensioni ubicato nel perimetro dei giardini; l’albero andava a colpire in pieno la vettura in transito, provocando lo schiacciamento del tetto e gravissime lesioni alla conducente che ne causavano in breve tempo la morte.
1.2. Si addebita alla P.I. , quale funzionario agronomo del Servizio Qualità dello spazio urbano della Direzione Ambiente del Comune di […], di non essersi colposamente attivata per fronteggiare la situazione di pericolo in cui si trovava l’albero, in relazione ad un sopralluogo da lei effettuato verso la fine del mese di aprile (circa un mese e mezzo prima dell’evento) presso i giardini, durante i(quale aveva avuto modo di valutare le condizioni dell’albero e, ciononostante, non aveva preso alcuna iniziativa, nè personalmente nè in termini di mera segnalazione al suo ufficio della situazione per assicurare la manutenzione e la vigilanza di cui la pianta necessitava.
1.3. Si addebita al F. , quale vigile del fuoco e coordinatore della Sala Operativa del Comando provinciale di […], ivi in servizio il (omissis), di aver ricevuto la telefonata da parte del titolare (G.S. ) di un esercizio commerciale posto di fronte all’albero in questione, il quale chiedeva l’intervento di una squadra dei Vigili del Fuoco, segnalando che la pianta si era piegata ed era pericolante, e di non avere colposamente inviato una squadra per verificare la situazione, limitandosi a girare la richiesta di intervento alla sala operativa della Polizia Municipale, che a sua volta non sarebbe intervenuta. In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto censurabile la condotta del F. in quanto l’intervento sul posto competeva in primo luogo ai VV.FF., con l’eventuale ausilio della Polizia Municipale per transennare o interdire il traffico, trattandosi di un intervento tecnico caratterizzato dai requisiti dell’immediatezza e urgenza della prestazione.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli imputati F. e P.I. , a mezzo dei rispettivi difensori.
3. F.T. deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla prova certa della colpevolezza del ricorrente.
Contesta l’asserzione contenuta in sentenza secondo cui l’intervento sul posto competesse in primo luogo ai Vigili del Fuoco.
Rileva che la caduta dell’albero è avvenuta il (omissis) , ossia ben 14 giorni dopo la telefonata del S. ricevuta dal ricorrente. Tale dato cronologico evidenzia la illogicità della motivazione allorquando accenna ad una situazione di "imminente pericolo" riconducibile alla detta telefonata. Tale lasso di tempo va ad incidere sul nesso di causalità fra la ritenuta omissione del ricorrente e l’evento verificatosi, ma anche sulla ritenuta violazione della regola cautelare.
Sull’asserito comportamento negligente del F. la sentenza non si confronta con le emergenze probatorie e con le massime di esperienza. Non si considera che il F. , dopo aver girato la richiesta di intervento alla Polizia Municipale, richiamò il S. chiedendogli se vi fosse un pericolo di caduta dell’albero, sentendosi rispondere che avrebbe potuto sussistere un problema di potatura, affermazione che faceva scemare quella percezione di pericolo imminente, tanto che era sempre il F. a spiegare al suo interlocutore di avere già contattato i vigili urbani, invitandolo a richiamare se vi fossero stati ulteriori sviluppi ("se è qualcosa fatemi sapere"). È emerso che nè il S. nè altri cittadini della zona abbiano ulteriormente allertato i vigili del fuoco nei giorni successivi, circostanza rilevante ai fini del nesso causale.
Nè risulta dimostrato in atti che il F. avesse intuito che i vigili urbani non avrebbero dato seguito alla richiesta di intervento, risultando piuttosto il contrario, avendo il ricorrente fornito al collega tutte le informazioni necessarie per agevolare il contatto fra i vigili ed il S. .
La sentenza impugnata non ha adeguatamente valutato la testimonianza del Comandante dei Vigili del Fuoco, che si era espresso nel senso che alcun rilievo poteva essere mosso al F. , omettendo di motivare sul requisito della prevedibilità ex ante in ordine alla verificabilità dell’evento.
Il F. non aveva alcun dovere di richiamare i vigili urbani, già opportunamente allertati, e la motivazione sul punto della sentenza impugnata dimostra che il giudice di appello non si è posto in una prospettiva ex ante, bensì in una valutazione ex post, sostenendo erroneamente che già il (omissis) il ricorrente avrebbe dovuto prevedere che la sua omissione avrebbe potuto provocare l’evento.
4. P.I.C. deduce quanto segue.
I) Vizio di motivazione sulle cause sopravvenute da sole sufficienti a produrre l’evento.
Espone che l’albero è caduto improvvisamente per ribaltamento e che la ricorrente, circa due mesi prima, si era limitata a passare nei pressi dell’albero e a visionario: lo stesso le era sembrato in buona salute, presentando la stessa inclinazione che lo definiva oramai da oltre 30 anni.
Nel caso difetta un effettivo sopralluogo o una relazione ispettiva documentata della ricorrente.
È solo il teste G.S. che il (omissis), ad oltre un mese dal passaggio sul posto della P. , nota qualcosa che si è modificato nella struttura dell’albero e si attiva, chiedendo ausilio alle forze preposte.
Le omissioni successive da parte dei pubblici ufficiali concretizzano una serie causale assolutamente autonoma, non considerata dalla Corte territoriale ed in contrasto con quanto statuito nei confronti del F. , atteso che se si fosse dato seguito alla chiamata del S. l’evento non sarebbe accaduto.
Alla ricorrente si attribuisce una posizione di garanzia senza citare leggi, norme o regolamenti che supportino tale qualità, anzi in sentenza si riferisce che la posizione della ricorrente era stata sospesa per motivi di bilancio dal Comune sin dal (omissis) . Le risultanze processuali hanno definito l’ufficio della P. un ufficio manutentivo e di gestione delle alberature, non un pronto intervento. Non è citata la fonte dell’obbligo giuridico di intervento da parte della prevenuta.
II) Vizio di motivazione in relazione alle conclusioni tecnico-scientifiche cui è pervenuta la Corte territoriale sulla valutazione degli elaborati peritali ed il diniego di procedere a perizia.
Lamenta che non sia stato effettuato un accertamento peritale che avrebbe potuto accertare se l’albero, a due mesi dall’evento, fosse davvero a rischio crollo. Il consulente tecnico del PM, Dott. B. , in sede di controesame, ha affermato che, anche se avesse visto in piedi l’albero, non avrebbe potuto affermare: "Questa pianta cadrà".
III) Si impugna l’ordinanza della Corte territoriale resa il 19.3.2018 circa l’appello proposto dalle parti civili, contestandosi una serie di carenze nelle procure rilasciate.
5. Con memoria depositata il 17.5.2019 il difensore di P.I.C. ribadisce i motivi di censura in punto di ritenuta colpa generica della ricorrente per il fatto occorso e di omessa verifica delle condizioni dell’albero nell’(omissis) , insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Si ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio nei confronti dell’imputata P.I.C. , mentre debba essere rigettato il ricorso di F.T. , per le ragioni di seguito illustrate.

2. Il ricorso della P.I. è fondato, nella parte in cui lamenta le carenze giuridico-motivazionali della sentenza impugnata in punto di configurabilità di una specifica posizione di garanzia della ricorrente rispetto all’evento letale determinato dalla caduta dell’albero, vale a dire in ordine alla effettiva insorgenza, nel caso specifico, di un suo obbligo giuridico di impedire l’evento.

3. La Corte territoriale, al riguardo, sviluppa un percorso motivazionale lacunoso e approssimativo, inidoneo ad attribuire alla P.I. una posizione di garanzia che consenta di affermare, con adeguata valutazione tecnico-giuridica, la sussistenza, in capo alla stessa, nella situazione di fatto accertata, della posizione di garante del rischio successivamente realizzatosi.
Secondo la Corte di merito, la prevenuta, all’epoca dei fatti funzionario agronomo del Servizio qualità dello spazio urbano della direzione ambiente del Comune di […], "non è chiamata a rispondere dell’evento in ragione della sua appartenenza in generale alla predetta struttura del Comune (...) Le si imputa molto più specificamente di non essersi attivata per fronteggiare la situazione di pericolo in cui (...) l’albero si trovava, con riferimento ad un particolare episodio e cioè un sopralluogo asseritamente da lei effettuato verso la fine del mese di aprile (quindi circa un mese e mezzo prima dell’evento) presso i giardini di (omissis) nel corso del quale aveva avuto ampio modo di valutare le condizioni dell’albero e ciò nonostante... non aveva preso alcuna iniziativa... per assicurare la manutenzione e la vigilanza di cui la pianta necessitava" (pagg. 15-16).
Per quanto attiene al citato "sopralluogo", la sentenza dà atto che del suo svolgimento non esiste documentazione alcuna, ma osserva che la stessa P. ammise spontaneamente (a s.i.t.) che, nel corso di potature e messa in sicurezza di alberature della (omissis) , ella aveva proceduto ad una "ispezione esterna" degli alberi ad alto fusto dei giardini di (omissis) , e che in tale occasione l’albero in questione "non presentava anomalie visibili dall’esterno". In sede di esame dibattimentale l’imputata ha negato di avere mai effettuato un simile sopralluogo, sostenendo di avere semplicemente "guardato distrattamente" il pino marittimo a distanza, da lei ben conosciuto da anni, constatando comunque che esso non presentava alcuna sofferenza vegetativa, nè rami secchi o spezzati od altre anomalie.
La Corte territoriale, pur riconoscendo - concordemente con il primo giudice che non si trattò di un vero e proprio sopralluogo formale, evidenzia che si trattò comunque di "un’ispezione od un controllo", e che in tale occasione l’imputata non ebbe ad operare "una corretta valutazione delle condizioni di pericolosità della pianta".
La sentenza di appello ha ritenuto gravante sulla funzionaria, nella sua qualità, l’obbligo giuridico di attivarsi, per fronteggiare il rischio di caduta, con interventi finalizzati alla messa in sicurezza dell’albero, "indipendentemente dalla posizione organizzativa a lei attribuita la quale, va comunque sottolineato, le era stata sospesa da (omissis) con attribuzione ad interim delle relative attribuzioni al dirigente arch. Pu. " (pag. 19).

4. I suddetti passaggi motivazionali, caratterizzati da apoditticità e contraddittorietà intrinseca, rendono manifesti i vizi logico-giuridici da cui è affetta la sentenza impugnata, in relazione alla posizione di garanzia della P. .
4.1. Si afferma, da un lato, che la prevenuta non è chiamata a rispondere del fatto-reato in relazione alla sua posizione di funzionario agronomo del Comune di […], bensì per avere effettuato una "ispezione" dell’albero, prima della sua caduta, rivelatasi colpevolmente erronea; dall’altro, si sostiene che sulla stessa gravasse un obbligo giuridico di attivarsi, proprio nella sua qualità di funzionario agronomo in servizio all’ufficio comunale competente sulle alberature di alto fusto. Tuttavia, si precisa che la posizione organizzativa a lei attribuita le era stata sospesa dal (omissis) , e non si spiega per quale motivo tale sospensione non assuma rilevanza rispetto alla posizione giuridica di garante del rischio che le viene, apoditticamente, imputata dalla Corte territoriale.
Tutto ciò rende poco chiaro e contraddittorio il ragionamento esplicato dal giudicante in merito alla sussistenza di una effettiva posizione di garanzia della prevenuta, in relazione all’evento occorso; nè la sentenza si perita di indagare ed approfondire il tema degli specifici compiti assegnati alla P. in sede comunale, al fine di accertare se alla stessa fossero assegnati poteri di vigilanza e controllo delle alberature ad alto fusto finalizzate alla prevenzione dello specifico rischio di caduta dell’albero ovvero al semplice mantenimento in salute della pianta. Ciò al fine di rispondere alla domanda se il rischio di caduta della pianta dovesse essere gestito dall’ufficio della P. - e dalla stessa personalmente -, o, costituendo una situazione di pericolo per la pubblica incolumità, dovesse essere fronteggiato da altri uffici.
4.2. La sentenza impugnata ha, inoltre, ritenuto di attribuire la responsabilità dell’evento alla P. , in relazione all’avvenuto espletamento della cosiddetta "ispezione", che, nella visione della Corte distrettuale, avrebbe dovuto consentire alla funzionaria di riscontrare le condizioni di pericolosità in cui versava la pianta. Su tale aspetto, tuttavia, non si considera che l’ispezione costituisce un atto tipico di esercizio della pubblica funzione, avente uno specifico obiettivo finalizzato al soddisfacimento di un interesse pubblico di controllo o protezione. Nel caso specifico, come già sottolineato innanzi, non viene chiarito se la P. avesse una specifica competenza in materia, se fosse stata investita della verifica delle condizioni di pericolosità dell’albero, se vi fosse stata una formale assegnazione ed una conseguente "procedimentalizzazione" della relativa funzione.
Tutto ciò ha indubbie ricadute sulla individuazione della posizione di garanzia in capo alla funzionaria pubblica. L’affermazione della Corte territoriale in merito alla riscontrata sussistenza di una "ispezione", conseguente al semplice sopralluogo o "passaggio visivo" dell’albero, sia pure non fugace, da parte della P. , è frutto di un ragionamento giuridicamente erroneo: infatti, non può ritenersi sufficiente, di per sé sola, una mera situazione di fatto, come quella di cui si dà conto in sentenza (peraltro in termini alquanto approssimativi, come del resto fa anche il giudice di primo grado, che descrive tale attività indifferentemente come "sopralluogo, ispezione o passaggio", v. pag. 6), per sostenere che sia stata effettuata una ispezione in senso tecnico-giuridico, idonea a costituire la base della richiamata posizione di garanzia in capo alla P. . Con questo non si vuol dire che per aversi "ispezione" siano necessari particolari requisiti formali, ma è indubbio che occorre pur sempre verificare che la funzionaria, in quel momento, stesse esercitando un atto del proprio ufficio, e quindi che stesse agendo nell’esercizio delle proprie funzioni. La sentenza di merito non chiarisce sulla base di quali norme, regole o disposizioni la P. fosse stata investita della puntuale verifica delle condizioni di pericolosità dell’albero, non potendo certamente bastare, allo scopo, un evento casuale ed estemporaneo come il descritto "passaggio" sul posto.
In realtà, l’attivazione di poteri pubblici finalizzati alla prevenzione di un rischio potenziale per la pubblica incolumità, come quello in esame, non può discendere da una situazione casuale come quella che è stata laconicamente descritta nelle sentenze di merito, non essendo stato adeguatamente chiarito se nella fattispecie la P. abbia svolto, sia pure senza verbalizzarla, una vera e propria ispezione o verifica in senso tecnico-giuridico, finalizzata alla prevenzione dello specifico rischio di abbattimento dell’albero. In tal senso, l’obbligo giuridico connesso all’esercizio della funzione richiede un quadro fattuale e normativo che consenta al funzionario di essere consapevole di prendere in carico la situazione di rischio quale garante, sulla base di una investitura non necessariamente legata a formule sacramentali, ma che deve comunque derivare da una chiara situazione di fatto avente rilievo giuridico - di cui il giudicante è tenuto a dare conto - che investa il pubblico funzionarlo dell’obbligo di garanzia, con tutto quanto ne consegue in termini di consapevolezza di dover seguire determinate regole cautelari che si raccordano all’obbligo di diligenza richiesto al pubblico dipendente nell’esercizio della specifica funzione di controllo a lui demandata.
Tutto ciò non è stato adeguatamente affrontato dalla sentenza impugnata, che si limita a far discendere l’obbligo giuridico di garanzia in capo alla prevenuta dalla sua (generica) qualità di funzionaria agronoma del Comune, e dallo svolgimento di una "ispezione" in senso logico ma non in senso giuridico, atteso che - come ormai definitivamente chiarito - una mera analisi visiva (o "sopralluogo" che dir si voglia) dell’albero in questione, non può che costituire un dato ambiguo ed insufficiente ai fini della attribuzione della posizione di garante del rischio di che trattasi, non essendo stato chiarito se nella specie vi sia stata una attività di ispezione o controllo precipuamente finalizzata alla verifica dello specifico rischio di crollo dell’albero, di cui la prevenuta avesse contezza in ragione delle mansioni a lei attribuite nell’ambito dell’ufficio pubblico presso cui prestava servizio.
Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata è gravemente carente e lacunosa, oltre che illogica, in quanto si confonde il dato giuridico con il dato materiale, in nessun modo coincidenti, senza dare conto degli specifici compiti della funzionaria, nell’ambito dell’attività svolta nel suo ufficio, e delle norme giuridiche che avrebbero "formalizzato" la sua posizione di controllo e verifica delle condizioni di stabilità dell’albero, in quel dato giorno di aprile (sia pure quale comportamento concludente finalizzato alla consapevole presa in carico della situazione, in funzione di prevenzione e di gestione dello specifico rischio di cui si tratta).
5. Sotto altro profilo, la motivazione della sentenza impugnata appare carente e contraddittoria in merito al profilo di colpa generica che viene addebitato alla P. . In particolare, non viene chiarito se la funzionaria, all’atto della c.d. "ispezione", fosse nelle condizioni di accorgersi, con valutazione ex ante, di una situazione di imminente pericolo di caduta dell’albero, trattandosi di pino insistente sul posto da oltre 30 anni e tenuto conto del fatto che il detto sopralluogo avvenne circa un mese e mezzo prima dell’evento.
Al riguardo, la sentenza richiama alcune generiche testimonianze secondo cui il detto albero da tempo si era inclinato verso la strada ed aveva "strane oscillazioni"; ma in un passaggio della motivazione si dice che il teste S. (il quale segnalò ai vigili del fuoco il (omissis) la pericolosa situazione dell’albero) si accorse che, nella pianta, qualcosa era cambiato nei primi giorni di maggio, quando costui aveva notato un sollevamento del terreno accanto al pino e un segno sulla corteccia a circa due metri e mezzo dalla base.
Tale testimonianza non è stata adeguatamente valutata dalla Corte territoriale, che non ha colto l’importanza della stessa in punto di prevedibilità dell’evento, atteso che i "segnali" di pericolo colti dal S. erano intervenuti solo nei primi giorni di maggio, vale a dire in epoca successiva al "sopralluogo" compiuto in aprile dalla P. .
Del resto, in tema di prevedibilità dell’evento, se è vero che la Corte territoriale riferisce come i consulenti tecnici del PM abbiano parlato di una situazione di "elevata propensione al cedimento del pino" sin dal […], è altrettanto vero che gli stessi consulenti nulla abbiano osservato in termini di prevedibilità del crollo in concreto; tanto che, come segnalato dalla ricorrente, il consulente Dott. B. , su controesame della difesa, ebbe a riconoscere che il crollo avvenne per ribaltamento e non per stroncamento, quindi fu piuttosto improvviso, e che anche se il consulente avesse visionato l’albero prima dell’evento, non avrebbe potuto affermare: “Questa pianta cadrà".
Nonostante, quindi, il quadro probatorio delineato dalla Corte territoriale non sia così univoco in termini di prevedibilità in concreto del crollo dell’albero, all’epoca della c.d. "ispezione" svolta nell’(omissis) , il giudizio sulla ritenuta sussistenza della colpa in capo all’imputata appare illogicamente netto e tranciante nel ricondurre alla stessa l’addebito di non avere effettuato una corretta valutazione delle condizioni di pericolosità (per possibile caduta) della pianta. Un simile giudizio, più che espressione di una corretta valutazione ex ante, che tenga conto delle modalità del sopralluogo e delle specifiche condizioni in cui versava la pianta al momento in cui era stata visionata dalla P. , sembra piuttosto frutto di una considerazione effettuata ex post, a pianta caduta, operazione notoriamente scorretta quando si debba valutare la sussistenza di una condotta colposa in termini di prevedibilità ed evitabilità dell’evento (cfr. Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016 - dep. 2017, Di Pietro, Rv. 26925401).
6. In definitiva, le evidenziate lacune giuridico-motivazionali della sentenza impugnata, sia in punto di posizione di garanzia che di colpa, ne impongono l’annullamento nei confronti della P.I. , con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
7. Il ricorso del F. è, invece, infondato.

8. Sul rimprovero mosso al F. la motivazione della sentenza impugnata appare adeguata e coerente con i dati processualmente emersi.

In particolare, è corretto e logico quanto affermato dalla Corte territoriale in merito al fatto che il F. , ricevuta la richiesta di intervento dal S. , non si sarebbe dovuto limitare a girare la richiesta ai vigli urbani ma, tenuto conto della denunciata situazione di potenziale pericolo di caduta dell’albero, avrebbe dovuto inviare una squadra di VV.FF. al fine di verificare la concreta situazione della pianta. Del resto, come illustrato nella sentenza impugnata, il dubbio sulla possibile esistenza di un pericolo imminente (di caduta) lo aveva manifestato lo stesso F. quando richiamò ed interpellò sul punto il S. , ricevendo da quest’ultimo una serie di inquietanti particolari che avrebbero dovuto allertare l’attenzione del prevenuto (taglio e piegamento dell’albero su se stesso, sollevamento dal terreno, pendenza su un solo lato).

Nonostante il F. avesse ormai girato la comunicazione alla Polizia Municipale, i giudici di appello condivisibilmente sottolineano che egli, alla luce di quanto riferitogli dal S. , avrebbe dovuto rivalutare la situazione e fare intervenire una squadra dei VV.FF., non potendo certo affidarsi, per escludere l’urgenza dell’allarme, alle considerazioni di un privato cittadino circa un possibile problema limitato alla necessità di potatura della chioma.

Spettava al pubblico ufficiale attivarsi al fine di valutare compiutamente la situazione, inviando personale esperto al fine di verificare le condizioni effettive del pino marittimo, che si sarebbe abbattuto di lì a pochi giorni (per l’esattezza 14, che restano un periodo di tempo trascurabile rispetto alla gravità del fatto). Il pronto intervento dei vigili del fuoco avrebbe consentito un approfondito esame in ordine alle condizioni della pianta, e, come riferito dal consulente tecnico del PM, in tal caso si sarebbe sicuramente pervenuti ad una valutazione di pericolo di caduta; il che avrebbe certamente consentito di adottare le opportune misure prevenzionistiche che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento mortale.
L’addebito mosso al F. , pertanto, non è legato al mancato intervento da parte dei vigili urbani, ma proprio al mancato intervento da parte dei vigili del fuoco, che il F. avrebbe dovuto allertare ed inviare sul posto alla luce della situazione di imminente pericolo denunciata dalla telefonata del S. , il cui contenuto è stato congruamente e logicamente valutato dalla Corte territoriale nel senso dianzi indicato, valutazione come tale insindacabile in sede di legittimità.
Quanto alle censure del ricorrente in merito alla deposizione del Comandante dei Vigili del Fuoco (che si sarebbe espresso nel senso che alcun rilievo poteva essere mosso al F. ) ed in merito alla circostanza che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sul requisito della prevedibilità ex ante in ordine alla verificabilità dell’evento, è appena il caso di rilevare l’estrema genericità di tali censure, che comunque non colgono nel segno, atteso che la deposizione del Comandante è stata motivatamente disattesa in sentenza, e ritenuta non condivisibile in quanto basata su una non completa conoscenza degli eventi; per quanto attiene al requisito della prevedibilità ex ante, la Corte territoriale ne ha ampiamente trattato, ritenendola configurabile proprio alla luce della richiesta di intervento del privato cittadino S. , secondo quanto già illustrato innanzi.
9. Al rigetto del ricorso del F. consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del giudizio in favore delle parti civili costituite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di P.I.C. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, cui demanda pure la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Rigetta il ricorso di F.T. , che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili costituite, così liquidate: Euro 3.000,00 in favore di Pi.Fr. e Pi.La. , difesi dall’avv. BL; Euro 3.000,00 in favore di A.E. e A.F. difesi dall’avv. SM, oltre accessori come per legge.