Dichiarazione di esclusione dalla comunione legale di un acquisto immobiliare: confessione stragiudiziale può essere vinta solo da errore di fatto o violenza.
Tribunale di Taranto
Sezione II Civile
Sentenza 30 aprile - 16 maggio 2015, n. 1464
In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano
Ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2593 R.G. anno 2009 Affari Civili Contenziosi promossa da:
A. R. – rappresentato e difeso dall’avv. MC;
CONTRO
G. A. - rappresentata e difesa dall’avv. GQ;
OGGETTO: “Altri istituti in materia di diritti reali possesso e trascrizioni”.
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il fondamento della domanda
Il sig. A. R., con citazione regolarmente notificata, affermava che con atto del 11-06-2008 sua moglie, sig.ra G. A., in regime di comunione legale, acquistava la metà indivisa di un fabbricato, composto da due appartamenti, l’uno al piano terra e l’altro al primo piano, entrambi allo stato rustico: rispettivamente p.lle 393, sub 1 e sub 2.
Seguiva divisione con l’altro comproprietario del fabbricato, sig. F. A., in virtù della quale, precisava l’attore, sua moglie diveniva proprietaria esclusiva dell’appartamento al primo piano ed il fratello di lei dell’altro.
Il prezzo dell’acquisto pari ad euro 20.900,00 provvedeva in via esclusiva la sola G. A..
L’attore affermava che in realtà solo per “ragioni di convenienza fiscale” concordava che il fabbricato venisse intestato alla moglie, sebbene nell’atto di acquisto fosse stata rilasciata la seguente dichiarazione: “Il presente acquisto viene effettuato dalla sig.ra A. G. con il prezzo del trasferimento di beni suoi personali e ne costituisce bene personale ex art. 179 lett. f) c.c… mentre il sig. R. A. dichiara “confermo che il bene appresso acquistato dal coniuge è escluso dalla comunione legale dei beni per i motivi innanzi citati senza eccezioni e riserve”.
Sosteneva allora l’attore che la predetta dichiarazione doveva intendersi nulla o inefficace e quindi inidonea a sottrarre il bene alla comunione legale.
A riprova della falsità della dichiarazione in parola l’attore ricordava - oltre la già accennata finalità di ottenere un beneficio fiscale - che la moglie non possedeva alcun bene, non aveva in precedenza compiuto alcuna vendita, non aveva indicato specificatamente la provenienza del danaro utilizzato per l’acquisto del bene.
Non solo, aggiungeva l’istante, ma il pagamento del prezzo di acquisto era avvenuto con assegni tratti sul conto corrente n. 150050, aperto presso la Deutche Bank, che prima del matrimonio era intestato solo a lui( anno 1994), e solo dopo il matrimonio veniva reso comune (nel 1999).
Ricorreva poi, aggiungeva l’attore, altro grave indizio circa la falsità della dichiarazione in parola; ricordava infatti che l’acquisto del bene era stato preceduto da un preliminare del 31-01-2003 avente ad oggetto sempre la metà del terreno e del fabbricato al rustico ivi esistente, sempre a firma della coniuge, sig.ra G. A., nel quale era contenuta la seguente eloquente dichiarazione: “acquisto per la comunione”.
Non solo ma il pagamento del prezzo di euro 40.000,00 veniva effettuato con assegni bancari, ciascuno di euro 10.000,00, tratti sempre dal suddetto conto corrente.
Infine, ricordava l’attore, sul bene dopo il preliminare erano stati effettuati lavori edili che avevano dato vita ad abusi edilizi; per ottenere poi il necessario condono, precisava l’istante, era avvenuto il pagamento della somma di euro 20.000,00 con bollettini postali intestati alla moglie, ma con danaro anche questa volta proprio.
Concludeva perché fosse accertato che l’immobile in parola faceva parte della comunione legale fra coniugi nello stato in cui versa; con conseguente ordine di trascrizione dell’emananda sentenza.
La difesa della convenuta
La convenuta incentrava la propria difesa sul rilievo che la dichiarazione resa dall’attore all’atto della acquisto impugnato, peraltro non necessaria se si considerava che sarebbe stata sufficiente la sua partecipazione all’atto pubblico, aveva valenza confessoria e quindi produceva inevitabilmente l’effetto di una presunzione iuris et de iure di esclusione dalla comunione dell’acquisto.
Lamentava poi che la domanda dall’attore era stata proposta, sebbene fosse pendente un giudizio di separazione tra coniugi.
Nel merito la convenuta ricordava che il prezzo di acquisto del bene derivava anche da liberalità ricevute dai propri genitori.
Concludeva quindi per il rigetto della domanda.
L’istruzione
Così nell’ordinanza istruttoria veniva delineato il tema d’indagine della causa:
“La domanda proposta dall’attore volta a sconfessare la dichiarazione di scienza ex art. 179, II co., appare allo stato proponibile; si tratterebbe infatti di accertare la comunione pro indiviso e non di reclamare una ragione di credito prima del passaggio in giudicato della sentenza di separazione( della questione si discuterà poi in sede di discussione ex art. 190 c.p.c.).
Il tema d’indagine conseguente era già fissato nell’atto introduttivo del giudizio: dimostrare che in realtà il danaro utilizzato per il pagamento del prezzo di acquisto dell’immobile conteso proveniva dal coniuge istante o quanto meno da entrambi( conto cointestato).
Allo stesso modo l’eccezione tesa a paralizzare la pretesa attrice nel merito veniva sviluppata dalla difesa convenuta, sia pure in modo stringato in comparsa di costituzione e risposta: “…il danaro utilizzato per l’acquisto del bene per cui è causa è stato di esclusiva pertinenza della sig.ra A. per esserle, tra l’altro, pervenuto con atti di liberalità dai propri genitori e familiari”.
Di conseguenza tutte le prove articolate con la memoria n. II e III – non certo quelle articolate successivamente da considerarsi inammissibili per la patente tardività – che appaiono utili per chiarire la provenienza del danaro utilizzato per il prezzo sono ammissibili e rilevanti.
Tanto anche con riferimento alle somme che rappresenterebbe delle liberalità nella misura in cui non si discute della validità di esse ma solo del fatto che siano state destinate per il pagamento del prezzo di acquisto del bene.
E sono ammissibili, laddove si mira ad accertare la provenienza, anche quando paiono in contrasto con i documenti; del resto il divieto ex art. 2726 – 2722 c.c. si applica solo per la circostanza del pagamento in sé ma non certo per la sua provenienza( si ricordi che si tratta di norme di stretta interpretazione ex art. 14 delle Disposizioni Sulla Legge in Generale)…”.
La prova quindi s’incentrava sulla documentazione prodotta e sulla prova orale.
All’udienza del 21-01-2015 la causa veniva riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche di rito.
l’intervento della s.c. - s.u. - del 28-10-2009 n. 22755 sulla valenza probatoria della dichiarazione resa dal coniuge ex art. 179, lett. f) c.c.
La S.C. interveniva nelle more del processo ed in primo luogo ribadiva la proponibilità dell’azione di accertamento negativo in ordine all’acquisto di bene in via esclusiva da parte di uno solo dei coniugi, pur se nella vigenza del regime di comunione legale, quando effettuato con beni personali del primo.
In secondo luogo aggiungeva però che in tema di prova richiesta al coniuge non intestatario, e pregiudicato dalla asserita falsa dichiarazione ex art. 179, lett. f, c.c., lo stesso può superare il valore confessorio della propria dichiarazione solo nei limiti in cui è ammessa ex art. 2732 c.c. la revoca della confessione: ossia ricorrendo un errore di fatto o la violenza.
Così la motivazione della S.C. a S.U.:
“…Secondo il sistema definito dall'art. 177 c.c. e dall'art. 179 c.c., comma 1 infatti, l'inclusione nella comunione legale e' un effetto automatico dell'acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed e' solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l'esclusione dalla comunione.
Se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall'art. 179 c.c., comma 2.
Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facoltà debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un'espressa previsione legislativa. Come potrebbe ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a e ciascun coniuge il diritto di donare anche indirettamente all'altro la proprietà esclusiva di beni non personali. Tuttavia tali facolta' non potrebbero affatto desumersi dall'art. 179 c.c., comma 2 che condiziona comunque l'effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene; e attribuisce all'intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti.
Deve nondimeno ritenersi che l'intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge. L'art. 179 c.c., comma 2 prevede infatti che l'esclusione della comunione ai sensi dell'art. 179 c.c., comma, lett. c) d) e f) si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall'acquirente con l'adesione dell'altro coniuge.
Sicché nei casi indicati la natura personale del bene non e' sufficiente a escludere di per sé l'esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l'intervento adesivo del coniuge non acquirente e' richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione.
Sicché l'eventuale inesistenza di quel presupposto potrà essere comunque oggetto di una successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell'efficacia probatoria che l'intervento adesivo avrà in concreto assunto.
Come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, pertanto, il coniuge non acquirente può successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall'altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi”.
Fin qui la S.C. si sofferma sulla proponibilità della domanda di accertamento negativo della ricorrenza dei presupposti per l’acquisto di un bene in via esclusiva a favore di uno dei coniugi, sebbene sia vigente il regime della comunione legale dei beni.
Poi però prosegue sui limiti alla prova richiesta per l’attore di siffatta azione di accertamento negativo:
“Tuttavia, se l'intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell'esclusione del bene dalla comunione, l'azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui e' ammessa dall'art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l'intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati”.
E poiché nel caso in esame e' indiscusso che l'immobile, benché acquistato come bene personale, fu in realtà destinato a casa coniugale, il ricorso e' sotto questo aspetto infondato...”.
Non avendo allora nel caso di specie neanche allegato l’attore la ricorrenza ex art. 2732 c.c. di un errore di fatto o di una forma di violenza che lo indussero a dichiarare il falso, la dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte, resa ex art. 179, lett. f, c.c., non avrebbe dovuto neanche essere ammessa la prova testimoniale tesa dimostrare l’asserita falsità della dichiarazione.
l’indicazione richiesta dall’art. 179 lett. f) non implica che sia specificato anche il bene personale, il cui prezzo di vendita costituiva il prezzo di acquisto del bene in via esclusiva
Né può pervenirsi ad un esito processuale diverso, facendo leva sul carattere generico della dichiarazione ex art. 179, lett. f., c.c., ossia il non aver indicato quali fossero stati i beni personali dalla vendita dei quali si ricavava il prezzo utilizzato per l’acquisto esclusivo qui impugnato.
E tanto per i seguenti rilievi.
In primo luogo la suddetta norma non sembra richiedere questa ulteriore formalità; così infatti recita l’art. 179, II co., c.c.: “L’acquisto di beni immobili o di beni mobili elencati nell’art. 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi della lettera c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto, se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”.
Come a dire che si richiede solo che sia individuata la categoria di beni personali rilevanti: se c), d) od f).
Potrebbe muoversi poi dalla disciplina della confessione per verificare se sotto questo diverso profilo debba, come sostiene la difesa istante, richiedersi l’onere della puntuale indicazione dei beni personali grazie alla quale vendita si ricavava la somma per l’acquisto in via esclusiva impugnato.
Occorre al riguardo precisare – come già faceva la S.C. a S.U. sopra evocata - che quando viene in gioco l’ipotesi ex art. 179 lett. f) rileva la dichiarazione espressa che il bene risulta acquistato con il prezzo del trasferimento dei beni personali; quindi è evidente anche il suo carattere confessorio, posto che avendo partecipato anche l’altro coniuge all’atto, la stessa dichiarazione è a quest’ultimo riconducibile( e nel caso di specie quest’ultimo ribadiva l’esclusione).
Da qui il suo contenuto confessorio e quindi l’applicabilità dell’art. 2732 c.c.( non così per l’ipotesi sub lett. c) e d)).
Ora - tornando alla questione sulla supposta genericità e quindi nullità della dichiarazione confessoria - il riferimento a beni personali - o meglio al prezzo della loro vendita - deve ritenersi che integri già il fatto giuridico rilevante dal quale può dipendere l’esito della lite.
In altri termini acconsentendo il coniuge non acquirente a che nell’atto pubblico sia riportata una siffatta dichiarazione, lo stesso è ben consapevole già dell’effetto pregiudizievole che potrebbe per lui avere in un futuro processo.
Insomma c’è tutto perché si possa parlare di piena confessione stragiudiziale ex art. 2730 c.c.-
In terzo luogo ammettere il rigore formale propugnato dalla difesa istante mal si concilierebbe con la limitazione al potere di revoca della prova legale per eccellenza, quale appunto la confessione; infatti indagare sull’individuazione concreta dei beni sembra già implicare la possibilità di revoca della confessione, pur in assenza di un errore di fatto o di violenza.
I siffatti principi beninteso valgono quando sorge la controversia tra i coniugi in conflitto per effetto di un acquisto personale ex art. 179 c.c..
Non così quando il conflitto è con un terzo, quale ad esempio la causa che veda contrapposti il coniuge non acquirente ex art. 179, I co., lett. f) da un lato ed un terzo, quale un suo creditore che agisca per accertare la proprietà comune del bene; in tal caso infatti mancherebbe il presupposto immanente alla confessione ossia la dichiarazione favorevole alla controparte – terzo.
La domanda va quindi rigettata.
Le spese del processo, in considerazione del rilievo che solo nel corso del processo interveniva la pronunzia chiarificatrice della S.C. a Sezioni Unite, che finiva con l’essere dirimente, è giusto che siano compensate integralmente.
P.T.M.
Definitivamente pronunziando sulla domanda proposta dal sig. A. R. nei confronti della sig.ra G. A., con citazione regolarmente notificata, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
Rigetta la domanda e compensa integralmente le spese del giudizio.
TARANTO, 30-04-2015
Il giudice dott. Claudio Casarano