Integra il reato di accesso abusivo a sistema informatico la condotta di chi accede abusivamente all'altrui casella di posta elettronica, trattandosi di una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell'esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio.
La conoscenza della password di chi effettua l'accesso al sistema informatico altrui non esclude il carattere abusivo degli accessi effettuati, sempre che vengano violate le condizioni e di limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso (nella specie venne cambio della password con impostazione di una nuova domanda di recupero ed inserimento della frase" ingiuriosa "quando lo hai preso nel kulo").
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 06/06/2017) 17-11-2017, n. 52572
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio - Presidente -
Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -
Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio - Consigliere -
Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.F., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/05/2015 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALFREDO GUARDIANO;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto.
Il difensore presente si riporta ai motivi.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, in data 17.10.2011, aveva condannato P.F. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, A.V., in relazione ai reati di cui agli artt. 615 ter e 594 c.p., a lei in rubrica ascritti, disponeva la sospensione condizionale della pena irrogata, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza del giudice d'appello, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione l'imputata, eccependo: 1) l'intervenuta abrogazione dell'art. 594 c.p. ; 2) violazione di legge, con riferimento all'art. 120 c.p. , in quanto, premesso che il delitto ex art. 615 ter c.p., è perseguibile a querela della persona offesa, nel caso in esame esso spettava esclusivamente all'intestatario della casella di posta elettronica oggetto del contestato accesso abusivo, tal C.V., mentre la querela è stata presentata da altro soggetto, A.V., dando così luogo ad una difformità tra soggetto titolare del diritto di querela e soggetto che materialmente ha presentato l'istanza punitiva.; 3) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto ex art. 615 ter c.p., che la ricorrente esclude, richiedendo, tale fattispecie, la consapevolezza da parte del soggetto di aggirare le misure di sicurezza atte a proteggere il sistema informatico, per cui la conoscenza da parte dell'imputata della password, fornitale dall' A., necessaria ad accedere alla casella di posta elettronica, escluderebbe il carattere abusivo dell'accesso, atteso che mancherebbe qualsiasi espediente atto ad aggirare la protezione del sistema, senza tacere che la corte territoriale ha omesso di considerare che i dati anagrafici inseriti ai fini della creazione della casella di posta elettronica non farebbero capo alla parte offesa A.V., bensì al C., non spiegandosi, pertanto, come i giudici di merito abbiano potuto ritenere individuare nell' A. l'esclusivo proprietario e creatore della casella di posta elettronica e, quindi, l'unico detentore del diritto di escluderne l'accesso ad altri; 4) l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato ex art. 615 ter.
3. Il ricorso è parzialmente fondato e va, pertanto, accolto nei seguenti termini.
4. Fondato appare il primo motivo di ricorso.
Ed invero, il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, ha, infatti, abrogato, tra gli altri, l'art. 594 c.p. , per cui, ai sensi dell'art. 2 c.p. , comma 2, nessuno può essere più punito per un fatto commesso anteriormente, che, ai sensi di una disposizione avente valore di legge entrata in vigore successivamente, non costituisce reato (come nel caso in esame in cui il reato è stato commesso, come da imputazione, il (OMISSIS)); e, se vi è stata sentenza di condanna, ne cessano gli effetti, sia penali, che civili, non potendosi riconoscere alcuna competenza del giudice penale a conoscere di un fatto divenuto penalmente irrilevante, anche sotto il profilo del risarcimento del danno che quel fatto può avere arrecato alla persona offesa.
Ne consegue che, nel caso in esame, le statuizioni penali e civili dei giudici di merito, relative al fatto di ingiuria, devono ritenersi prive di effetti, in quanto l'intervenuta abrogazione dell'art. 594 c.p. , ha determinato il venir meno di ogni competenza del giudice penale anche in ordine al risarcimento del danno derivante da un fatto penalmente rilevante, come chiarito dal Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole in un recente arresto (cfr. Cass., sez. U., 29.9.2016, n. 46688, rv. 267884).
D'altro canto, in assenza di una specifica disposizione transitoria, una volta venuta meno, per effetto dell'abrogazione dell'art. 594 c.p. , la competenza del giudice penale a conoscere dell'azione di risarcimento dei danni derivanti dal fatto non più previsto dalla legge come reato, la persona offesa, costituita parte civile, non perde definitivamente la possibilità di vedere riconosciute le proprie pretese risarcitorie, in quanto lo stesso D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (cfr. art. 3 e ss.) le consente di adire a tal fine il giudice civile, trattandosi di fatto che, pur non penalmente rilevate, va qualificato come illecito civile.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, senza rinvio, agli effetti penali e civili, limitatamente all'addebito di ingiuria, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
5. Fondato è anche il rilievo sull'intervenuta estinzione del reato ex art. 615 ter c.p., per perenzione del relativo termine massimo di prescrizione, consumatosi, tenuto conto degli atti interruttivi e delle disposte sospensioni del relativo decorso, il 3.12.2015, nelle more del deposito della motivazione della sentenza impugnata, intervenuto il 16.6.2016.
Di conseguenza, in ossequio al principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 c.p.p. , e non ricorrendo, al tempo stesso, alcuna causa di inammissibilità del ricorso presentato nell'interesse della P., l'intervenuta estinzione per prescrizione va rilevata in questa sede, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto, agli effetti penali, non risultando, peraltro, nessuna delle ipotesi previste dall'art. 129 c.p.p. , comma 2, che imporrebbero una pronuncia più favorevole nei confronti della ricorrente.
6. In relazione alle statuizioni civili, relative al delitto di cui all'art. 615 ter c.p., su cui questo Collegio deve comunque pronunciarsi ai sensi dell'art. 578 c.p.p. , nei limiti dei motivi di impugnazione proposti dall'imputata, va rilevata l'infondatezza delle doglianze difensive, con conseguente rigetto del ricorso e conferma delle relative statuizioni civili. Ed invero, premesso che risulta del tutto indimostrato l'assunto difensivo sulla titolarità in capo a soggetto diverso dalla parte civile, della casella di posta elettronica violata (che non risulta nemmeno aver formato oggetto di uno specifico motivo di appello), in quanto le indagini effettuate dalla polizia postale hanno acclarato che il titolare della suddetta casella era A.V., ex coniuge dell'imputata (cfr. p. 3 della sentenza di appello), va rilevato che l'accertata conoscenza, da parte della P., della password di accesso alla casella elettronica precedentemente impostata dall' A., non esclude la sussistenza del reato in questione.
Come è noto, infatti, integra il reato di cui all'art. 615 ter c.p., la condotta di colui che accede abusivamente all'altrui casella di posta elettronica, trattandosi di una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell'esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio (cfr. Cass., sez. 5, 28.10.2015, n. 13057, rv. 266182).
Nel caso in esame la circostanza che la ricorrente fosse a conoscenza della password di accesso al sistema informatico non esclude il carattere abusivo dei due accessi da lei effettuati, in considerazione del risultato ottenuto - palesemente in contrasto con la volontà del titolare della casella elettronica - di determinare "il cambio della password con impostazione di una nuova domanda di recupero ed inserimento della frase" ingiuriosa "quando lo hai preso nel kulo".
Ne consegue che correttamente la corte territoriale, nell'evidenziare, inoltre, come gli accessi abusivi abbiano anche temporaneamente escluso l' A. dal fruizione del servizio di posta elettronica, ha concluso nel senso di ritenere "pienamente provato il superamento da parte dell'imputata dei limiti intrinseci connessi con la conoscenza della password" (cfr. p. 4).
Come affermato, infatti, dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista dall'art. 615 ter c.p., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni e di limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. un., 27/10/2011, n. 4694, rv 251270).
E certo non può ritenersi rispettosa delle regole dettate dal titolare della casella elettronica per consentirne l'accesso, la condotta di chi utilizza la password, fosse anche ottenuta con il consenso del titolare, per modificarla indebitamente, impedendo a quest'ultimo di accedervi.
7. Non essendo la P. totalmente soccombente nel presente giudizio, la stessa non va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla imputazione di cui all'art. 594 c.p. , perchè il fatto non è previsto come reato; annulla senza rinvio la medesima sentenza ai fini penali, in relazione all'imputazione di cui all'art. 615 ter c.p., perchè estinto per prescrizione; rigetta il ricorso ai fini civili con riferimento a tale ultimo reato.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2017