Costituisce ragione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio stesso, in quanto espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 10 aprile – 15 maggio 2018, n. 11808
Presidente Genovese – Relatore Valitutti
Fatto e diritto
Rilevato che:
El. Te. ha proposto ricorso per cassazione - affidato ad un solo motivo illustrato con memoria - nei confronti della sentenza n. 878/2017, emessa dalla Corte d'appello di Bologna, depositata il 4 aprile 2017 e notificata il 5 aprile 2017, con la quale è stata rigettata- accogliendosi l'opposizione del marito An. Tr. - la domanda dalla Te. volta ad ottenere la declaratoria di efficacia nella Repubblica italiana della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale dell'Emilia - a motivo dell'incapacità del Tr. ad assumere gli oneri e gli obblighi del matrimonio, a norma del can.1095 nn. 2 e 3 del C.J.C - e confermata dal Tribunale della Rota Romana;
il Tr. ha resistito con controricorso;
Considerato che:
con l'unico motivo di ricorso - denunciando la violazione dell'articolo 8 n. 2 dell'Accordo 18 febbraio 1984 di Revisione del Concordato fra la Santa Sede e lo Stato italiano, richiamato dall'art. 82 del codice civile, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. - la ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello abbia di fatto disatteso le enunciazioni di diritto espresse dalle Sezioni Unite della Corte nella decisione del 17 luglio 2014, n. 16379, circa la valenza ostativa, al procedimento di delibazione, della «convivenza triennale» successiva all'atto di celebrazione del matrimonio;
Considerato che:
questa Corte, fin dalla pronuncia n. 1343 del 20/01/2011 - seguita, nello stesso senso da Cass., 15/06/2012, n. 9844 -, ha affermato che costituisce ragione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio stesso, in quanto espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge;
che le Sezioni Unite nel 2014 - chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale creatosi sul punto (delineato nell'ordinanza interlocutoria del 14/01/2013, n. 712), essendosi altre decisioni pronunciate nel senso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio non è espressiva delle norme fondamentali che disciplinano l'istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il profilo dell'ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico (cfr. Cass., 08/02/2012, n. 1780; Cass., 04/06/2012, n. 8926) - hanno fatto proprio l'orientamento espresso dalla Prima sezione civile nel 2011;
si è, invero, statuito - al riguardo - che la convivenza «come coniugi», quale > elemento essenziale del «matrimonio-rapporto», ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di «ordine pubblico italiano«, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, preclusiva alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del «matrimonio-atto»;
che le suesposte statuizioni hanno ricevuto conferma nella successiva giurisprudenza di questa sezione (Cass., 27/01/2015, n. 1494; Cass., 19/12/2016, n. 26188);
Rilevato che:
la Corte d'Appello, nell'accogliere l'opposizione del Tr. alla richiesta di delibazione avanzata dalla ricorrente, ha fatto proprie le affermazioni di principio operate dalla giurisprudenza di legittimità, avendo accertato - sulla base del materiale probatorio in atti - che la convivenza dei coniugi si era protratta per quattordici anni, i primi sei o sette dei quali si erano «estrinsecati in una condotta oggettiva coerente con la unione coniugale», tanto che la coppia aveva, di comune accordo, deciso di avere una figlia, e che solo dopo la nascita di quest'ultima la «disinclinazione eterosessuale del marito era venuta alla luce;
per converso, l'articolazione del motivo - incentrato sulla non considerata rilevanza, da parte della Corte d'Appello, del dato fattuale della omosessualità del controricorrente nella formazione ed estrinsecazione di quella convivenza effettiva, stabile e continua nel tempo che la Corte, come dianzi detto, ha qualificato in termini di ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio - viene sostanzialmente a tradursi in una richiesta di differente valutazione del materiale probatorio, ed, a monte, in un accertamento di fatto non consentito in sede di legittimità;
Ritenuto che:
peraltro, l'esame del motivo non offra neppure elementi per mutare// l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, avendo la Corte d'appello deciso la questione di diritto - ossia l'efficacia ostativa alla delibazione della convivenza duratura - in modo del tutto conforme all'indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. U., 21/03/2017, n. 7155);
Ritenuto che:
pertanto, alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore del controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 100, per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.