Spesso si ritiene che sia obbligatorio portare sempre con sè un documento di identità, o che le forze dell'ordine possano procedere per chiunque ad un fermo per chi ne sia sprovvisto.
Il nostro ordinamento giuridico prevede come obbligo quello di "dare contezza di sè", cioè di fornire, o meglio "declinare" - se legittimamente richiesti - le proprie generalità: l’obbligo di fornire indicazioni sulla propria identità personale è è però diverso dal dovere di documentarle.
L'obbligo di esibire alle forze dell'ordine il documento di identità c'è (arrt. 294 reg es. TULPS), ma solo se se ne ha il possesso; la dimenticanza potrà esere reato solo per per soggetti pericolosi o sospetti già destinataria di un ordine specifico (art. 4 TULPS).
Attenzione: si fa riferimento alla richiesta del pubblico ufficiale, dato che se chiede le generalità NON c'è comnque obbligo di esibire un documento di identità (che deve essere invece specificatamente richiesto).
1. "Dare le generalità"
L'obbligo per chiunque è senz'altro è quello di "dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali".
Il nostro codice penale prevede infatti il reato di rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.) che viene commesso da chi richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali. Si tratta di un reato contravvenzionale, essendo prevista la pena dell'arresto fino a un mese o una ammenda fino a duecentosei euro. Il reato è oblabile, cioè può essere estinto senza conseguenze per la fedina penale con il versamento di circa 100 euro oltre spese amminsitrative (circa 100 euro ulteriori).
L'obbigo comprende quindi il dovere di dare nome e cognome, ma anche tutte e complete quelle notizie atte ad identificare compiutamente una persona (data di nascita, residenza, professione, cittadinanza ..): non vale quindi ad escludere la responsabilità penale la circostanza che l'interpellato, porti indicato nome e cognome su un cartellino identificativo anche se visibile.
C'è il reato anche se le indicazioni vengano successivamente fornite o che l'identità del soggetto sia facilmente accertata per la conoscenza personale da parte del pubblico ufficiale o per altra ragione.
La richiesta di generalità determina in capo all'interpellato un obbligo di risposta penalmente sanzionato solo se formalmente e sostanzialmente legittima, vale a dire "non arbitraria": si tratta di una questione delicata, dato che per stabilire la legittimità della richietsa si rischia di finire comunque davanti al giudice penale.
In generale si può comunque affermare che deve provenire da un pubblico ufficiale (non ad es. da incaricato di pubblico servizio) che si trovi nell'esercizio attuale delle sue attribuzioni, cioè durante il compimento di un atto rientrante nella sua competenza. Inoltre, è necessario che la richiesta trovi causa nell'esercizio di quelle funzioni: è necessaria, cioè, l'esistenza di un nesso di stretta funzionalità tra la richiesta e la pubblica funzione concretamente esercitata.
La Cassazione ha ad esempio ritenuto che il presupposto dell'"esercizio delle funzioni", nel cui contesto deve essere formulata la richiesta di dare le indicazioni, non può ritenersi sussistente solo perché il pubblico ufficiale, in quanto appartenente alla Polizia di Stato, è da considerare in "servizio permanente", trattandosi di due nozioni diverse, escludendo il reato per una tardiva risposta a richiesta di generalità formulata da un assistente di Polizia di Stato il quale, giunto sul posto in abiti civili e con vettura privata, nel domandare le precisate indicazioni, pur qualificandosi, non aveva proceduto ad alcuna formale contestazione di specifiche infrazioni (Cass. pen., Sez. I, Sentenza, 25/03/2015, n. 14811).
L'obbligo di fornire le richieste indicazioni può essere assolto sia mediante una risposta orale, sia mediante qualunque altro comportamento, purché idoneo nella concreta situazione a portare a conoscenza del pubblico ufficiale i dati richiesti: perciò sono sufficienti, tanto l'esibizione di un documento contenente i dati necessari (sempre che lo stesso venga lasciato nella disponibilità del pubblico ufficiale richiedente per il tempo necessario all'identificazione!) quanto la mera indicazione orale delle proprie generalità, poiché l'elemento materiale del reato in esame consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità (e non nella mancata esibizione di un documento, che semmai costituisce violazione a parte, cfr. infra).
2. Esibire un documento
La carta d'identità od i titoli equipollenti devono essere esibiti ad ogni richiesta degli ufficiali e degli agenti di pubblica
sicurezza (art. 294 reg. es. TULPS, cioè il regolamento di esecuzione del Testo Unico leggi di Pubblica Sicurezza entrato in vigore con .. Regio decreto del 1930). Il rifiuto di esibire il documento di cui si è in possesso è punito con arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a euro 103. Anche questo reato è oblabile, cioè può essere estinto senza conseguenze per la fedina penale con il versamento di circa 50 euro oltre spese amminsitrative (circa 100 euro).
Se però non si ha il possesso di un documento di identità, non cè reato (salvo che per persone pericolose o sospette, art 4 TULPS, che quindi devono munirsi di un documento di identità).
Risultano quindi ben distinte le tre diverse fattispecie che attengono alla questione dell'identificazione del soggetto da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, nell'ambito delle quali:
- il rifiuto di dare le generalità è punito dall'art. 651 c.p.
- il rifiuto di esibire il documento di identità, da parte del soggetto che ne dispone, è sanzionata dall'art. 294 Reg. TULPS e 221 TULPS;
- il rifiuto di esibire il documento di identità, da parte del soggetto pericoloso o sospetto che sia stato destinatario di un ordine specifico di munirsi di documento e esibirlo è punito dall'art. 4, 17 TULPS.
Il rifiuto di esibire un documento di riconoscimento e contemporaneamente di dare indicazioni sulla propria identità personale, costituisce un duplice reato, dato che vi è concorso materiale della contravvenzione prevista dall’art. 651 c.p. con la contravvenzione prevista dal T.U.L.P.S. (Cass. sez. VI, 13 aprile 1989, n. 10378).
.. e il fermo di identificazione?
Per un possibile indagato o testimone - e solo per queste due categorie di soggetti - la polizia giudiziaaria può procedere al cd. fermo di identificazione (accompagnamento presso l'ufficio di polizia) se viene a mancare la possibilità di identificare, in modo certo e completo, l’indagato e/o il potenziale testimone per rifiuito di farsi identificare, ovvero dichiari generalità o esibisca documenti di identità rispetto ai quali “sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità“.
In assenza di tali elementi indizi di falsità l’accompagnamento forzato in ufficio dell’indagato e del testimone costituisce una forma illegittima ed ingiustificata di restrizione della libertà personale (cfr. Cassazione penale sez. VI 30 aprile 2014 n. 18957), con tutte le annesse conseguenze di carattere anche penali per il pubblico ufficiale.
.. e lo straniero?