Il diritto alla rinnovazione dibattimentale per il contmace condannato restituito nel termine non è incondizionato, ma deve essere coordinato con quelli di economia dell'attività processuale e dalla ragionevole durata del processo.
Il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non invalida le prove già assunte, ma determina il diritto dell'imputato di ottenere l'assunzione di prove nuove o la riassunzione di prove già acquisite, purché, per ciascuna prova richiesta, sia indicato il tema di indagine che si intende approfondire, di modo che il giudice possa valutare la pertinenza e la rilevanza dei mezzi istruttori di cui si domanda l'ammissione.
Il condannato, restituito nel termine per l'impugnazione per non avere avuto conoscenza del procedimento, ha diritto ad ottenere la rinnovazione della istruzione in appello, non potendo valere nei suoi confronti le limitazioni per la rinnovazione previste dall'art. 603 cod. proc. pen., atteso il necessario coordinamento, in linea con l'art. 6 CEDU, tra le disposizioni previste dagli artt. 175, comma secondo, e 603, comma quarto, del codice di rito.
Corte di Cassazione
sez. VI Penale
sentenza 29 maggio 2019 – 6 aprile 2020, n. 11364
Presidente Paoloni – Relatore Silvestri
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui Ca. Vi. è stato condannato per il reato previsto dall'art.570, commi 1-2, cod. pen., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si lamenta vizio di motivazione. La Corte non avrebbe adeguatamente valutato le dichiarazioni della parte civile, Br. An., che, si assume, prima avrebbe utilizzato le sostanze dell'imputato per ristrutturare l'abitazione familiare e, successivamente, si sarebbe allontanata non appena questi si ritrovò nelle difficoltà economiche che lo condussero al dissesto ed al fallimento; la donna sarebbe stata titolare di un reddito di circa 3 mila Euro al mese e non avrebbe mai partecipato alle spese, tutte sopportate dall'imputato: sul punto, la motivazione della sentenza sarebbe silente. Il giudizio di penale responsabilità sarebbe stato inoltre formulato senza considerare le oggettive condizioni di incapacità economica dell'imputato, descritto dal curatore fallimentare come un soggetto "ridotto a chiedere l'elemosina".
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 603 cod. proc. pen. con riferimento alle testimonianze di Ca. Gi., fratello dell'imputato, e del geometra Gi. Ca.; l'imputato, condannato in primo grado in contumacia, era stato rimesso in termini e la Corte di appello, diversamente da quanto statuito dalla Corte di cassazione, non avrebbe disposto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, quelle, cioè, già indicate; l'assunto della Corte di merito, secondo cui quelle deposizioni avrebbero avuto ad oggetto la ristrutturazione della casa e, dunque, non avrebbero avuto rilievo rispetto al fatto- reato per cui si procede, non sarebbero condivisibili in quanto, invece, quelle testimonianze, se assunte, avrebbero comprovato che l'imputato aveva utilizzato le proprie sostanze economiche proprio per la casa in cui viveva il figlio e che ciò fece fino al momento della dichiarazione di fallimento. Considerato in diritto1. Il ricorso è fondato quanto al secondo ed al terzo motivo, che assumono valenza pregiudiziale ed assorbente.
2. Non è in contestazione che l'imputato sia stato rimesso in termini per impugnare la sentenza di condanna emessa dal Tribunale e che con l'atto di appello fosse stata chiesta la rinnovazione della istruttoria dibattimentale con riguardo alle testimonianze indicate; il tema di prova, posto a fondamento delle richiesta, era quello di dimostrare che Ca. avesse assolto gli impegni economici per ristrutturare la casa familiare e che, proprio a causa di tale onere, avesse lapidato le proprie sostanze al punto da essersi "ridotto a chiedere l'elemosina e che sopravvive grazie alla Caritas ed agli altri centri di assistenza" (così l'atto di appello, pag. 8, con cui si faceva riferimento alle affermazioni del curatore fallimentare rese nel processo avente ad oggetto il reato di bancarotta). Dunque, un fatto che, anche solo in ragione della contestazione "aperta" della permanenza della condotta delittuosa attribuita al ricorrente, ineriva alla prova delle condizioni economiche dell'imputato, della sua impossibilità colpevole di adempiere, almeno in un dato momento temporale, e, dunque, alla prova della stessa esistenza del reato.
A fronte di tale specifico motivo di appello, la Corte, nell'ambito di una motivazione obiettivamente stringata, ha ritenuto che il tema di prova dedotto riguardasse solo "le modalità di ristrutturazione della casa familiare" e, quindi, che non fosse pertinente rispetto all'oggetto del processo.
Si tratta di un'affermazione di principio errata; il tema della ristrutturazione della casa aveva un chiara valenza pregiudiziale nella ricostruzione alternativa lecita dell'imputato ed era collegato indirettamente alla stessa configurabilità del reato, tenuto conto, peraltro, del principio di prova già a disposizione della stessa Corte di appello, costituito dalle dichiarazioni del curatore fallimentare, di cui si è già detto.
3. La Corte di cassazione ha in più occasioni affermato che il condannato, restituito nel termine per l'impugnazione per non avere avuto conoscenza del procedimento, ha diritto ad ottenere la rinnovazione della istruzione in appello, non potendo valere nei suoi confronti le limitazioni per la rinnovazione previste dall'art. 603 cod. proc. pen., atteso il necessario coordinamento, in linea con l'art. 6 CEDU, tra le disposizioni previste dagli artt. 175, comma secondo, e 603, comma quarto, del codice di rito (Sez. F, n. 35984 del 27/08/2015, Ponci, Rv. 264556; Sez. 3, n. 39898 del 24/6/2014, G, Rv. 260416; Sez. 1, n. 844 del 25/2/2014 (dep. 2015), Leone Etchart, Rv. 261975; Sez. 5, n. 19891 del 30/1/2014, A, Rv. 259840).
Si tratta di un principio precisato dalla giurisprudenza nel senso che il diritto alla rinnovazione dibattimentale non è incondizionato ma deve essere coordinato con quelli di economia dell'attività processuale e dalla ragionevole durata del processo.
In particolare, il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado non invalida le prove già assunte, ma determina il diritto dell'imputato di ottenere l'assunzione di prove nuove o la riassunzione di prove già acquisite, purché, per ciascuna prova richiesta, sia indicato il tema di indagine che si intende approfondire, di modo che il giudice possa valutare la pertinenza e la rilevanza dei mezzi istruttori di cui si domanda l'ammissione (Sez. 6, n. 42912 del 12/06/2018, Bakalli, Rv. 274202; Sez. 2, n. 32633 del 11/6/2014, Dicecca, Rv. 259986).
Dunque, davanti ad una richiesta di rinnovazione dibattimentale fondata su un tema di prova obiettivamente rilevante ai fini della conferma del giudizio di penale responsabilità, la Corte di appello di Firenze non ha fatto una corretta applicazione dei principi indicati.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio; la Corte di appello, disposta la rinnovazione dibattimentale richiesta ed assunte le prove indicate, procederà anche ad una nuova valutazione della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa ed ad un nuovo giudizio sulla penale responsabilità penale dell'imputato.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.