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Costumi sessuali spigliati non legittimano presunzione di consenso (Cass. 46464/18)

10 ottobre 2017, Cassazione penale

In punto credibilità della persona offesa vittima di reati sessuali, gli specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato il sospetto che la vittima di reati sessuali dichiari il falso non possono consistere nelle sue abitudini sessuali, nel suo modo di vivere la propria corporeità, di concepire il sesso e la vita sessuale in generale, in una parola: nei suoi costumi sessuali. Si tratta di regola di giudizio espressamente vietata in quanto tale. se è vero che la vita privata e la sessualità della persona offesa rilevano solo quando ciò sia necessario alla ricostruzione del fatto, va ribadito che la vita sessuale della persona offesa non può però mai essere utilizzata quale argomento di prova dell'esistenza, reale o putativa, del consenso.

Ogni argomento che  intenda far leva sui (o comunque sottintenda i) "facili costumi" della persona offesa quale prova della sua inattendibilità o quale argomento a sostegno della tesi del consenso putativo, peggio ancora se presunto, non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento.

Il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., così come quello di cui all'art. 609-octies cod. pen., sono posti a presidio della libertà personale dell'individuo che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno.

La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell'individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell'uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2 Cost.), e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario (art. 3 Cost., comma 2). La libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è dunque assoluta e incondizionata e certamente non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l'altra persona possa essersi prefissa.

Il delitto di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., costituisce una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, e richiede per la sua integrazione, oltre all'accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un'attività tipica di violenza sessuale, nè che realizzi l'intera fattispecie nel concorso contestuale dell'altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti

La testimonianza della persona offesa, perchè possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede,non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza).

La testimonianza della persona offesa, sopratutto quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un più penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del racconto, ma ciò non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa.

In tema di reati sessuali, la valutazione della attendibilità della testimonianza della persona offesa risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti, diversi dalla stessa vittima. In questi casi la deposizione della persona offesa può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi. Non è quindi giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilità della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell'oggettivo contrasto con altre prove testimoniali, sopratutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Ciò equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra fonti di prova che non solo è esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilità della testimonianza della persona offesa che non è ammissibile.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 09/06/2017) 10-10-2017, n. 46464

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo - Presidente -

Dott. DI NICOLA Vito - rel. Consigliere -

Dott. CERRONI Claudio - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - Consigliere -

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. F.L., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS); 2. G.C., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS); 3. R.M., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS); 4. V.L., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 08/03/2016 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ACETO Aldo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

uditi i difensori, avv. B.P., anche in sostituzione dell'avv. R.G.F., per conto di F.L., R.M. e V.L., e avv. P.N., per conto di G.C..

Svolgimento del processo


1. I sigg.ri F.L., G.C., R.M. e V.L. ricorrono per l'annullamento della sentenza del 08/03/2016 della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma di quella del 15/12/2011 del G.i.p. del Tribunale di Monza, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da loro impugnata, ritenuto il reato di sequestro di persona di cui agli artt. 110, 605, cod. pen., rubricato al capo B, assorbito in quello di violenza sessuale di gruppo di cui agli artt. 110, 609-bis c.p., art. 609-ter c.p., comma 1, nn. 2) e 3), art. 609-octies c.p., art. 40 cpv. cod. pen., commesso ai danni di F.L. il (OMISSIS), rubricato al capo A, ha rideterminato la pena principale nella misura, già ridotta per il rito, di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione ciascuno, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. V.L., R.M. e F.L. articolano, per il tramite dei difensori di fiducia, due motivi.

2.1. Con il primo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la nullità della sentenza per vizio di motivazione, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione agli atti processuali.

La censura riguarda la positiva valutazione di piena attendibilità della persona offesa motivata - deducono - con argomentazioni illogiche e in palese contrasto con quanto risulta dagli atti, argomentazioni che non hanno superato, nè colmato le lacune e le contraddizioni logiche della analoga valutazione effettuata dal G.i.p. ed evidenziate con i motivi di appello. Secondo la Corte di appello, il fatto che la donna fosse iscritta ad un sito internet a pagamento nel quale gli utenti hanno la possibilità di chiederle prestazioni sessuali e che avesse una concezione della propria sessualità "quantomeno spigliata", non ha alcuna rilevanza nel caso di specie,poichè ciò non si traduce in una scarsa coscienza del disvalore dei gesti posti in essere dagli imputati, come fatto palese dalla circostanza che la donna aveva chiaramente espresso il proprio dissenso e la propria indisponibilità al "gioco" o allo "scherzo", sin dai primi approcci sessuali del G..

Orbene, affermano i ricorrenti, tale conclusione (che costituisce il metro di lettura dell'intera vicenda) non può essere condivisa perchè non tiene conto del contesto nel quale l'azione incriminata sarebbe maturata (che avrebbe propiziato il compimento di atti sessuali ben più invasivi di un semplice palpeggiamento sopra le vesti, se ciò non avesse realmente corrisposto alla volontà della vittima di stare al gioco) e della complessa personalità camaleontica della persona offesa come risulta dagli atti.

In particolare:

a) la F. è una "web-cam girl" del sito pornografico "(OMISSIS)", dal quale la stessa ricava un discreto guadagno mensile (tuttavia, in sede di incidente probatorio, aveva definito il sito una "chat normalissima");

b) le prestazioni sono le più varie, spesso anche a carattere masochistico, inclusa la relazione virtuale con un noto cantante, con il quale gioca a fare la sottomessa e lui il padrone;

c) è con questi aspetti particolari della sua vita che la sera del fatto la donna si presenta agli imputati (che diversamente non ne avrebbero avuto conoscenza), indossando un collare con le borchie al collo, spiegando che si trattava di un segno di sudditanza e di amore verso il cantante/padrone, mostrando le bruciature sul corpo e sulle braccia, dicendo che se le era procurate da sola, per compiacere il fidanzato "virtuale";

d) una simile "presentazione" ben poteva essere interpretata come una disponibilità a giochi sessuali anche anomali, una disponibilità resa manifesta da una battuta che la vittima, in sede di incidente probatorio, ammette essere stata "sbagliata", ma che in realtà è ammiccante allorquando, richiesta di giocare a "strip poker", spiega il suo rifiuto adducendo di essere sfortunata e di perdere sempre;

e) è lei stessa a definire i tentativi di palpeggiamento del G. e l'incerta masturbazione del F. come gesti fatti "a livello scherzoso";

f) è dunque alquanto discutibile che la vittima "avesse manifestato in tutti i modi la propria indisponibilità"; è vero che ad un certo punto la F. aveva manifestato la propria indisponibilità a spingersi oltre, ma il suo prestarsi al gioco, il suo non lamentarsi, il suo non fuggire, pur potendolo fare, evidenziano l'errore di tale affermazione, apodittica e non adeguata al caso specifico;

g) nemmeno il cantante, cui la donna cinque giorni dopo avrebbe raccontato il fatto, arricchendolo di particolari che non corrispondono nemmeno a quanto dichiarato nel corso delle indagini preliminari, le aveva creduto, tant'è che l'aveva ritenuta l'ennesima fantasia sessuale, una provocazione erotica sfociata in una esplicita richiesta sessuale dell'uomo alla quale la F. aveva aderito;

h) lo "spaventato racconto di una situazione traumatica di vita vissuta nella quale la donna è oggetto di scherno e derisione a sfondo sessuale, palpeggiata, umiliata e minacciata da quattro uomini", di cui parla la Corte di appello, costituisce conclusione illogica e lacunosa, fondata su una lettura parziale delle prove orientata in senso unicamente accusatorio, al punto da non considerare che sono del tutto incompatibili con lo stato di shock della vittima gli accessi effettuati dal suo PC alle ore 2,05, 2,57 e 3,03 di quella stessa notte ai siti internet (OMISSIS) e (OMISSIS) mentre la stessa si trovava da sola in casa con il R.;

i) solo dieci giorni dopo la F. aveva denunciato il fatto, ma non perchè - come afferma la Corte di appello - si fosse resa conto da sola della sua gravità, bensì perchè glielo avevano spiegato la sorella ed il cognato.

E' del tutto illogica e contraddittoria l'affermazione che il nucleo centrale delle dichiarazioni della vittima è sempre stato descritto con coerente precisione. Tale conclusione non corrisponde al vero per le seguenti ragioni:

a) è incerto il soggetto che aveva inizialmente proposto il gioco della bottiglia; in alcuni passaggi sembra addirittura che sia stata la stessa persona offesa a farlo (particolare non di poco conto, considerata la particolare tipologia del gioco);

b) sono incerti i tempi e i modi dei presunti palpeggiamenti del G., se cioè prima, durante o dopo il gioco della bottiglia, se sopra o sotto i vestiti, o allungando la mano sotto la gonna, o se addirittura a livello scherzoso;

c) sono incerti la minaccia e persino l'uso dell'arma, che la donna non è stata in grado di riconoscere e la cui descrizione non corrisponde alla pistola di ordinanza, l'unica detenuta dal R.; non è nemmeno stata in grado di dire dove fosse stata riposta dopo che le era stata avvicinata al volto;

d) è incerto quante volte la donna sarebbe uscita di casa a prendere il proprio gatto (altrettante occasioni utili per fuggire);

e) è incerto è il ruolo del F., talvolta descritto come solo presente, in altre come autore di una masturbazione senza eiaculazione, gesto che - come precisato in sede di incidente probatorio - avrebbe posto in essere a livello scherzoso, concetto quest'ultimo di difficile interpretazione;

f) è incerto cosa avrebbe visto o saputo il V. che, fino all'incidente probatorio, avrebbe trascorso la maggior parte del tempo fuori casa, in cortile, insieme con la C., anche nel momento della minaccia con l'arma, e poi, secondo quanto riferito in sede di incidente probatorio, sarebbe stato informato dal R. del proprio gesto e ne avrebbe parlato con la C. in cortile.

Non si tratta di particolari di mero contorno; non può essere considerato tale il ruolo effettivamente avuto dal F. nella vicenda o la conoscenza da parte del V. dell'uso dell'arma, visto che la sua responsabilità è stata ritenuta ed affermata ai sensi dell'art. 40 cpv. cod. pen..

2.2. Con il secondo motivo eccepiscono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), la nullità della sentenza per vizio di motivazione mancante e manifestamente illogica con specifico riferimento alle posizioni del V. e del F., descritti come partecipi morali all'azione materialmente posta in essere dal gruppo, e per l'erronea applicazione degli artt. 110, 609-octies, cod. pen..

Quanto al V., deducono quanto segue:

a) secondo la Corte di appello gli unici momenti nei quali avrebbe avuto la piena consapevolezza di quanto stava accadendo sarebbero stati: 1) il momento del gioco della bottiglia, quantomeno alle sue battute iniziali; 2) il momento in cui, rientrando in casa per pochi minuti, avrebbe visto la vittima ammanettata al calorifero, le avrebbe chiesto se si stava divertendo, avrebbe invitato il R. a liberarla (come poi questi avrebbe fatto); 3) il momento in cui, affacciandosi all'uscio di casa, avrebbe visto il G. masturbarsi e avrebbe fatto una battuta scherzosa;

b) si tratta di dati ambigui, posto che: 1) il V. si era rivolto alla donna sempre in tono scherzoso (il che dimostra la mancanza di consapevolezza del dissenso di quest'ultima); 2) il gioco della bottiglia, promosso dalla stessa F., era stato condiviso da tutti; 3) il fatto che il G. avesse cessato i palpeggiamenti subito dopo il rifiuto della donna deponeva per la capacità di quest'ultima di gestire la situazione in piena autonomia; 4) la durata, non breve, del tempo trascorso tra il suo invito a liberarla dal calorifero e la sua esecuzione costituisce argomento privo di ogni logicità ed è ricostruito in base alle non attendibili e incoerenti dichiarazioni della vittima apparsa imprecisa proprio in relazione agli orari.

Quanto al F., cui la sentenza dedica solo un brevissimo passaggio, è tutt'altro che certo che egli si sia effettivamente masturbato, peraltro verso il termine della serata. E in ogni caso, è la stessa persona offesa che, contraddicendo l'originaria denuncia (nella quale l'imputato non aveva avuto alcun ruolo attivo, ma rideva e si divertiva), aveva affermato che si era sì masturbato, ma come per gioco, quasi da spettatore compiacente che non aveva arrecato alcun contributo morale e/o materiale alla condotta altrui.

3. G.C. articola, per il tramite del difensore di fiducia, due motivi.

3.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'erronea applicazione dell'art. 609-octies cod. pen., e vizio di motivazione sul punto.

Nel condividere alcuni argomenti già spesi dagli altri ricorrenti circa i costumi e le abitudini sessuali della vittima, la sua soglia di "tolleranza" e l'effettiva comprensione del disvalore di certi comportamenti (a lei stessa non apparsi mai gravi), deduce che: a) egli aveva avuto solo atteggiamenti voyeuristici, privi di contatto fisico con la vittima; b) nel contesto sopra indicato il mero palpeggiamento non può essere ritenuto come lesivo della libertà sessuale della vittima, onerata, semmai di una maggiore esplicitazione del proprio dissenso.

3.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'erronea applicazione dell'art. 110 cod. pen., e vizio di motivazione sul punto.

Deduce, al riguardo, di non aver posto in essere alcun contributo causale alla condotta del R., che avrebbe costretto la vittima ad assistere alla condotta sua propria e a quella del F.. La sentenza non ne parla affatto. La motivazione, in particolare, attribuisce a tutti i ricorrenti il concorso nell'unica condotta, senza però spiegare le ragioni per le quali il gesto repentino del R. debba essere esteso a tutti i soggetti coinvolti. Questi estrae la pistola ma nulla dimostra che ciò sia avvenuto con il contributo causale e la consapevolezza del G.. Manca la spiegazione del modo con cui egli avrebbe concorso nella consumazione delle condotte, autonome e indipendenti, del R. e del F..

Motivi della decisione

4. I ricorsi sono inammissibili perchè generici e manifestamente infondati.

5. Gli imputati rispondono del reato di cui agli artt. 110, 609-bis c.p., art. 609-ter c.p., comma 1, nn. 2 e 3, artt. 609-octies e 40 cpv. cod. pen., perchè, agendo in concorso fra loro (e con C.A., la cui posizione è stata separatamente definita), la C. quale mandante ed organizzatrice dell'incontro con la vittima, il V. non impedendo l'evento che, quale maresciallo dei Carabinieri (nonchè militare in grado più elevato dei suoi colleghi Carabinieri R.M., F.L. e G.C.), aveva l'obbligo giuridico di impedire, gli altri quali materiali esecutori, mediante minacce e violenza consistite, tra l'altro, nella repentinità dell'azione ed ancora nel minacciare F.L.M. con una pistola e nell'ammanettarla ad un termosifone, toccavano più volte lascivamente le parti intime della F., infine costringendola ad assistere alla masturbazione posta in essere dal F. e dal G.. Con le aggravanti dell'aver commesso il fatto anche con l'uso di armi e su persona comunque sottoposta a limitazione della libertà personale. Il fatto è contestato come commesso in (OMISSIS), nell'abitazione della vittima, dalla sera del (OMISSIS) fino a circa le ore 03,30 del mattino seguente.

5.1. Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, che condividono il giudizio di piena attendibilità della persona offesa, i fatti si sono svolti nel seguente modo:

a) la sera del (OMISSIS) la C.A., con la quale il V.L. aveva all'epoca un rapporto extraconiugale, simulando di aver problemi con quest'ultimo, ottiene di essere ricevuta in casa dalla vittima;

b) quest'ultima, credendo di dover ricevere soltanto la C., sua ex collega di lavoro, si ritrova in casa anche gli odierni imputati, reduci da una cena (il G. si era presentato con il nome di " B.");

c) due degli uomini si recano a comprare da bere, quindi, una volta tutti in casa qualcuno, dopo il rifiuto della F. a giocare a strip poker, propone il gioco della bottiglia;

d) G.C. comincia a palpeggiare la vittima che oppone un netto rifiuto; tutti gli altri se ne accorgono e ridono del comportamento di " B.";

e) la C. ed il V. escono per litigare, mentre il G. continua nella sua opera di palpeggiamento;

f) all'ennesima reazione della vittima, il R. le punta la pistola alla tempia accompagnando il gesto con la frase: "e se ti violentiamo tu che fai?";

g) il G. continua a palpeggiare la vittima;

h) la C. ed il V. rientrano, il F. informa il collega di quanto appena accaduto;

i) la vittima prova ad uscire di casa per recuperare il gattino appena scappato ma il R. glielo impedisce;

l) la C. ed il V. si chiudono in bagno per consumare un rapporto sessuale;

m) il gattino scappa ancora una volta di casa e lo va a recuperare il R. che, al rientro, afferra la vittima per la gola, la immobilizza al muro e le dice di essere esperto di arti marziali;

n) nel frattempo il V. e la C. stazionano di nuovo sul pianerottolo, fuori casa;

o) il gattino esce di nuovo e il R. lo recupera un'altra volta; rientrato in casa, ammanetta la vittima al termosifone;

p) tutti ridono, compreso il V., nel frattempo rientrato, che poi invita il R. a liberare la vittima che non si sta divertendo;

q) la F. a quel punto esce di casa e si ferma a parlare con la C.;

r) una volta rientrata vede il F. ed il G. nell'atto di masturbarsi davanti al PC intenti a visionare video pornografici;

s) il R. la fa sedere e la costringe ad assistere alla scena;

t) il F. desiste dal raggiungere l'orgasmo e si rialza i pantaloni; il G., invece, completa l'atto fino all'eiaculazione;

u) i due se ne vanno; restano il R., la C. ed il V.;

v) dopo un pò se ne vanno anche questi ultimi, il R. rimane solo con la vittima alla quale propone un rapporto sessuale; al rifiuto della donna, le pratica un massaggio durante il quale tenta di toccarle il seno.

5.2. I Giudici di merito, secondo i quali l'azione non è stata frutto di estemporanee condotte poste in essere dai singoli imputati, ma conseguenza di una deliberata e condivisa decisione presa prima della richiesta della C. di essere ricevuta in casa, hanno fondato il giudizio di positiva attendibilità della vittima in base:  a) alle sue plurime dichiarazioni, definite sempre coerenti nel nucleo centrale dei fatti; b) all'analisi dei tabulati telefonici che hanno consentito di ricostruire i movimenti degli imputati quella sera ed i relativi orari; c) alle dichiarazioni rese dalla sorella e dal marito di quest'ultima (che raccolsero le confidenze della vittima); d) agli esiti della consulenza tecnica informatica relativa ai siti visitati nelle ore in questione tramite il PC della vittima; e) alle dichiarazioni del cantante B. e alle conversazioni intercorse in chat con quest'ultimo; f) alle intercettazioni telefoniche intercorse tra la C. e il V., tra la C. ed il F.. e tra gli imputati tra loro; g) alle diverse versioni fornite da questi ultimi circa i loro movimenti la sera del fatto, modificate all'esito della contestazione degli esiti degli accertamenti condotti sui tabulati telefonici.

5.3. Appare chiaro, sin da queste prime annotazioni, che allorquando censurano la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla credibilità della persona offesa e la sua coerenza con le prove assunte, i ricorsi degli imputati trascurano totalmente proprio quelle ritenute più significative dai Giudici di merito (e, tra queste, in particolare, le chiarissime conversazioni telefoniche della C. - riportate per esteso nella sentenza di primo grado e richiamate dalla Corte di appello quale significativo riscontro della credibilità della persona offesa - che minacciava i suoi interlocutori, definiti "maniaci di merda", di rivelare tutto dopo che aveva loro "parato il culo" visto che lei non aveva fatto niente perchè non era stata lei "a scopare, a toccare"; nonchè i messaggi SMS scambiati tra gli imputati in vista dell'interrogatorio nei quali si fa riferimento alla necessità di vedersi prima e di ripassare tutto insieme) prediligendo aggredire la persona della vittima con deduzioni che questa Corte reputa semplicemente irricevibili.

5.4. Sarebbero sufficienti queste brevi considerazioni preliminari per dichiarare inammissibili, per genericità, i ricorsi di tutti gli imputati.

5.5. Come più volte affermato da questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano).

5.6. Ma i ricorsi sono inammissibili anche perchè manifestamente infondati.

5.7. Il Collegio deve ribadire il costante insegnamento di questa Suprema Corte secondo il quale, in generale, la testimonianza della persona offesa, perchè possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede,non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214) ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza) (così, da ultimo, Sez. 6, n. 27185 del 27/03/2014, Rv. 260064; Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104; cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali "in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza").

5.8. La testimonianza della persona offesa, sopratutto quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un più penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del racconto (Sez. u, 41461 del 2012, cit.), ma ciò non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio) e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (con violazione del canone di giudizio imposto dall'art. 192 c.p.p., comma 1).

5.9. In tema di reati sessuali, peraltro, tale valutazione risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti, diversi dalla stessa vittima. In questi casi la deposizione della persona offesa può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661).

5.10. Non è pertanto giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilità della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell'oggettivo contrasto con altre prove testimoniali (nel caso di specie peraltro inesistente), sopratutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Ciò equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra fonti di prova che non solo è esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilità della testimonianza della persona offesa che, come detto, non è ammissibile; quella stessa aprioristica valutazione di inattendibilità che, nell'ottica difensiva degli odierni ricorsi, dovrebbe condurre il giudice a trovare una spiegazione alternativa dell'esistenza di prove (quelle sopra indicate) che oggettivamente invece confermano la veridicità del racconto.

5.11. Il punto della credibilità della persona offesa vittima di reati sessuali deve essere ulteriormente chiarito: gli specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato il sospetto che la vittima di reati sessuali dichiari il falso non possono consistere nelle sue abitudini sessuali, nel suo modo di vivere la propria corporeità, di concepire il sesso e la vita sessuale in generale, in una parola: nei suoi costumi sessuali. Si tratta di regola di giudizio espressamente vietata in quanto tale. E' vero che la vita privata e la sessualità della persona offesa rilevano solo quando ciò sia necessario alla ricostruzione del fatto (art. 472 c.p.p., comma 3-bis) ma su questo punto bisogna evitare equivoci: nella ricostruzione del fatto, la vita sessuale della persona offesa non può mai essere utilizzata quale argomento di prova dell'esistenza, reale o putativa, del consenso. Il consenso all'atto deve essere reale, non può essere presunto, deve permanere per tutta la durata dell'atto stesso e le modalità della sua espressione non possono essere modulabili in base ai costumi sessuali della vittima.

5.12. Sicchè ogni argomento che, come nel caso di specie, intenda far leva sui (o comunque sottintenda i) "facili costumi" della persona offesa quale prova della sua inattendibilità o quale argomento a sostegno della tesi del consenso putativo, peggio ancora se presunto, non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento ma ridonda, piuttosto, a favore della validità e coerenza del ragionamento dei Giudici di merito secondo i quali l'azione era stata organizzata da tutti gli imputati proprio sul presupposto della libertà di costumi sessuali della vittima che, invece, aveva inaspettatamente (per loro) opposto un palese ed irremovibile rifiuto, da essi mal gestito mediante le condotte loro ascritte.

5.13. E' necessario ricordare che il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., così come quello di cui all'art. 609-octies cod. pen., sono posti a presidio della libertà personale dell'individuo che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno.

La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell'individuo, trova la sua più alta forma di tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell'uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale (art. 2 Cost.), e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario (art. 3 Cost., comma 2). La libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali è dunque assoluta e incondizionata e certamente non incontra limiti nelle diverse intenzioni che l'altra persona possa essersi prefissa. L'assolutezza del diritto tutelato non tollera, nella chiara volontà del legislatore, possibili attenuazioni, nemmeno quelle che possano derivare dalla ricerca di un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall'art. 609-bis cod. pen. per qualificare la penale rilevanza della condotta, o nei personali convincimenti dell'autore del fatto.

5.14. Non v'è perciò alcuna contraddizione logica nel ritenere attendibile la vittima e nel qualificarla interprete di una sessualità "quantomeno spigliata".

5.15. Ogni ulteriore argomento a sostegno del primo motivo dei ricorsi di V., R. e F., risente, come già detto, della loro genericità, e punta ad una non consentita rivisitazione del fatto senza confrontarsi con le specifiche ragioni addotte dai Giudici di merito per superarle.

5.16. La tesi del G. della necessità di un dissenso esplicito è totalmente infondata.

6. Il secondo motivo dei ricorsi di V., R. e F. ed il ricorso del G. sono generici e manifestamente infondati.

6.1. Nessuno degli imputati si confronta, innanzitutto, con la chiara validazione, da parte dei Giudici di merito, della tesi accusatoria, espressa nella rubrica, secondo la quale l'azione di tutti è stata preventivamente organizzata; sicchè estraniare dal contesto le singole azioni e valutarle isolatamente, senza considerarle parte di un tutto che appartiene a tutti gli ideatori del fatto, costituisce approccio sbagliato nel metodo e nella sostanza.

6.2. Sotto altro profilo, ai fini della affermazione della responsabilità per il reato di cui all'art. 609-octies cod. pen., non è necessario ipotizzare il concorso commissivo per omissione, ai sensi dell'art. 40 cpv. cod. pen., del partecipe che, quand'anche non autore diretto di atti sessuali, contribuisca anche solo con la sua presenza a ridurre o a eliminare la forza di reazione della vittima (Sez. 3, n. 40121 del 23/05/2012, Rv. 253674, secondo cui non è necessario che l'atto sessuale sia compiuto contemporaneamente da tutti i partecipanti, atteso che esso può essere commesso a turno ovvero da uno solo dei responsabili, purchè alla presenza di tutte le persone; nello stesso senso, Sez. 3, n. 42111 del 12/10/2007, Salvin, Rv. 238149). Non solo, non è nemmeno necessario che i partecipi dell'azione criminosa siano presenti contestualmente al compimento degli atti sessuali da parte di uno dei componenti del gruppo, ma lo siano stati nella fase iniziale della violenza e siano tuttora presenti nel luogo dei fatti, permanendo in tal caso l'effetto intimidatorio derivante dalla consapevolezza, da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione ed ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza (Sez. 3, n. 45970 del 09/11/2005, Andrei, Rv. 232537; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv. 227495, secondo cui il delitto di violenza sessuale di gruppo, previsto dall'art. 609-octies cod. pen., costituisce una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, e richiede per la sua integrazione, oltre all'accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un'attività tipica di violenza sessuale, nè che realizzi l'intera fattispecie nel concorso contestuale dell'altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti).

6.3. Nel caso di specie, i Giudici di merito hanno ben considerato il fatto che la persona offesa si era trovata in casa da sola, in balia di quattro (per lei) poliziotti (in realtà Carabinieri), comunque rappresentanti delle forze dell'Ordine, tre dei quali sconosciuti, uno (il V.) in relazione sentimentale con la collega che aveva ordito tutto, in una situazione nella quale un perfetto sconosciuto aveva cominciato a palparla nella sorridente approvazione (e certamente non disapprovazione) degli altri, un altro aveva utilizzato una pistola minacciandola di violenza da parte di tutti e l'aveva ammanettata al termosifone, altri due avevano preso a masturbarsi in sua presenza e costretta ad assistere, in un crescendo di violenza al quale nè il G., nè il F. nè il V. possono essere considerati estranei, sia perchè, come detto, esecutori dell'accordo preso da tutti che lega l'azione di ciascuno a quella degli altri compartecipi, sia perchè fisicamente presenti nel momento iniziale e in quello, ancor più eclatante, dell'ammanettamento, sia perchè (anche il V.) comunque consapevolmente presenti agli occhi e nella mente della vittima che sapeva tutti complici delle violenze poste in essere ai propri danni.

6.4. Ne consegue che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmessa alla amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico a norma del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 70.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2017