In tema di mandato di arresto europeo, è irrilevante, ai fini della valutazione del pericolo di fuga, la circostanza che la persona da consegnare si trovi in stato di detenzione per altra causa nel territorio nazionale, tenuto conto del principio generale secondo cui lo status detentionis non è in sé ostativo all'emissione di un altro provvedimento cautelare per un diverso fatto di reato, che si fondi sulle esigenze previste dall'art. 274, comma primo, lett. b), cod. proc. pen.
Cassazione penale
sez. VI
sentenza 20/11/2024, (ud. 20/11/2024, dep. 22/11/2024), n.42877
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata la Corte di appello di Venezia ha applicato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di Da.La., richiesta in consegna in esecuzione di un mandato di arresto europeo processuale emesso dal Tribunale distrettuale di Augusta in data 12 luglio 2024, in relazione al delitto di furto in abitazione commesso in data (Omissis).
2. L'avvocato BF, difensore di Da.La., ha proposto ricorso avverso tale ordinanza e ne ha chiesto l'annullamento.
Con unico motivo di ricorso il difensore deduce l'inosservanza dell'art. 9 della legge 22 aprile 2005 n. 69.
Il difensore rileva che la Corte di appello ha motivato l'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, individuando l'esigenza primaria di provvedere alla consegna allo Stato emittente della ricorrente e la sussistenza del pericolo di fuga, stante la dichiarata assenza di domicilio della stessa in Italia, nonché il suo stato di detenzione per altro titolo.
La Corte di appello, tuttavia, dichiarando subvalente la circostanza che Da.La. sia in stato di gravidanza oltre il sesto mese, avrebbe violato i diritti fondamentali della persona e, segnatamente, della donna in stato di gravidanza.
Ad avviso del difensore, la Corte di appello di Venezia avrebbe motivato in termini puramente apodittici in ordine a due condizioni che condizionano la legittimità dell'adozione della misura cautelare e, segnatamente, in ordine all'assenza di incompatibilità tra lo stato di gravidanza e la detenzione e te alla sussistenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza.
La sussistenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza, peraltro, non potrebbe essere desunta né dalla tipologia dei reati contestati (reati contro il patrimonio), né dalla personalità della ricorrente (gravata da un solo precedente penale nello Stato italiano), né da altre circostanze che la dimostrino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto è manifestamente infondato e, comunque, diverso da quelli consentiti dalla legge.
2. Il difensore, con unico motivo, deduce l'inosservanza dell'art. 9 della legge 22 aprile 2005 n. 69, in quanto la Corte di appello avrebbe motivato l'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, ritenendo apoditticamente sussistente il pericolo di fuga e senza operare alcuna diagnosi di eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari.
3. Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella sollecitazione a una rinnovata valutazione delle risultanze processuali, non consentita nel giudizio di legittimità, e, comunque, in quanto manifestamente infondato.
3.1. L'art. 9, comma 4, della I. 22 aprile 2005, n. 69 sancisce che "Il presidente, compiuti gli adempimenti urgenti, riunisce la corte di appello che, sentito il procuratore generale, procede, con ordinanza motivata, a pena di nullità, all'applicazione della misura coercitiva, se ritenuta necessaria, tenendo conto in particolare dell'esigenza di garantire che la persona della quale è richiesta la consegna non si sottragga alla stessa".
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di mandato di arresto europeo, i requisiti di concretezza ed attualità del pericolo di fuga per l'applicazione delle misure coercitive di cui all'art. 9 legge 22 aprile 2005, n. 69, devono essere scrutinati dal giudice della cautela avuto riguardo alle caratteristiche ed alle esigenze proprie del procedimento di consegna, finalizzato alla traditio in vinculis della persona richiesta, formulando un giudizio prognostico sul rischio di sottrazione verificabile, ovvero ancorato ad obiettivi elementi concreti della vita del consegnando (Sez. 6, n. 34525 del 31/05/2023, Surdu, Rv. 285178 -01).
L'art. 9, comma 5, della L. 22 aprile 2005, n. 69, come sostituito dall'art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, sancisce, inoltre, che, in relazione alle misure cautelari adottate al fine di consentire l'esecuzione del mandato di arresto europeo, "si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi I, II, IV e Vili del titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli artt. 273, 274, comma 1, lettere a) e c), 280, 275, comma 2-bis, 278, 279, 297, nonché le disposizioni degli artt. 299 e 300, comma 4, del codice di procedura penale e dell'art. 19, commi 1, 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448".
Posto, dunque, che tale disposizione rende applicabile nella disciplina del mandato di arresto europeo l'art. 275, comma 4, cod. proc. pen., l'ordinanza che, in pendenza di procedura passiva di mandato di arresto europeo, disponga la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di una donna in stato di gravidanza deve pur sempre motivare sulla sussistenza di "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza".
3.2. La Corte di appello di Venezia, nell'ordinanza impugnata, ha fatto buon governo di questi principi.
I giudici di appello hanno, infatti, espressamente rilevato che l'unica esigenza cautelare rilevante nel sistema del mandato di arresto europeo è il pericolo di fuga e che "la decisione sulla necessità dell'applicazione della misura coercitiva (e sul tipo di misura) deve tener prioritario conto dell'esigenza di garantire che la persona della quale è richiesta la consegna non si sottragga alla medesima (art. 9.4)".
Muovendo da questo corretto presupposto interpretativo, la Corte di appello ha ritenuto concreto e attuale il pericolo di fuga della ricorrente, in quanto la stessa ha dichiarato di non aver domicilio o dimora in Italia e sottoposta, per altra causa, alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere.
Nella valutazione non manifestamente illogica della Corte di appello, dunque, non è attuabile altra misura diversa dalla custodia cautelare in carcere che sia idonea a prevenire il pericolo di fuga, anche in considerazione dello stato di gravidanza della ricorrente, condizione, peraltro, già valutata come non incompatibile con la detenzione e determinata dalla presenza di esigenze cautelari di particolare rilevanza.
La Corte di appello, dunque, ha motivato congruamente sulla concretezza e l'attualità delle esigenze cautelari e sulla loro intensità con motivazione congrua e completa, che si sottrae, dunque, al sindacato di legittimità.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, in tema di mandato di arresto europeo, è irrilevante, ai fini della valutazione del pericolo di fuga, la circostanza che la persona da consegnare si trovi in stato di detenzione per altra causa nel territorio nazionale, tenuto conto del principio generale secondo cui lo status detentionis non è in sé ostativo all'emissione di un altro provvedimento cautelare per un diverso fatto di reato, che si fondi sulle esigenze previste dall'art. 274, comma primo, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 40688 del 07/11/2011, Brancate, Rv. 250992 - 01, fattispecie relativa ad un m.a.e. emesso dall'autorità giudiziaria tedesca, nei confronti di persona sottoposta a misura custodiale in Italia per altro reato ivi commesso).
4. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila Euro in favore della cassa delle ammende.
PQMP.Q.M.Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 20 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2024.