Senza calunnia accertata penalmente, non è tenuto a risarcire il danno l'ex moglie che segnala presunti abusi sui figli a carico del padre poi assolto.
La denuncia di un reato perseguibile d'ufficio non è infatti fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, se non quando essa possa considerarsi calunniosa.
Al di fuori di tale ipotesi, l'attività del Pubblico Ministero si sovrappone all'iniziativa del denunciante, interrompendo cosi ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato ( (cfr. l'approfondimento "Accusa ingiusta: quando fare una controdenuncia e chiedere il risarcimento del danno").
Corte di Cassazione,
sez. III Civile, sentenza 11 dicembre 2014 ? 20 marzo 2015, n. 5597
Presidente Berruti ? Relatore Spirito
Svolgimento del processo
Il V. agì contro la C. per il risarcimento dei danni che sosteneva avergli cagionato la convenuta attraverso una denunzia di molestie sessuali sulle sue due figlie minorenni; denunzia che aveva comportato l'apertura di un procedimento penale poi conclusosi con l'archiviazione. Il Tribunale di Forlì respinse la domanda con sentenza poi confermata dalla Corte d'appello di Bologna, la quale ha ribadito il consolidato principio in ragione del quale la presentazione di una denuncia per un reato perseguibile d'ufficio non è fonte di responsabilità civile, anche in caso di proscioglimento del denunciato, a meno che la denunzia non integri gli estremi del delitto di calunnia.
Propone ricorso per cassazione il V. attraverso sedici motivi. Non si difende l'intimata.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia l'inesistenza della sentenza impugnata per manifesta carenza di indipendenza e di terzietà del collegio giudicante.
Il secondo motivo sostiene la violazione dell'art. 6 della Convenzione di Roma, dell'art. 47 della Carta di Nizza, nonché degli artt. 111 e 117 Cost. "per non aver previsto il criterio della rimessione per i giudizi d'appello in altra sede ove è interdetto l?accesso ai magistrati operanti o che operarono in prime ed in seconde cure nel distretto attiguo". Il ricorrente prefigura un sistema in cui "le cause dell'Emilia Romagna potrebbero essere decise, per esempio, dalla Corte d'appello di Firenze ove nessun giudice che abbia operato in Romagna o in Emilia possa trasferirsi come consigliere del gravame".
Il terzo motivo lamenta la violazione del diritto alla difesa, con riferimento al punto in cui la sentenza ha estratto alcune frasi dagli atti difensivi e le ha segnalate al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ed alla Procura della Repubblica.
Il quarto motivo lamenta la violazione del diritto di difesa, consistita nella mancata ammissione di prove e della CTU, nonché nella violazione del diritto assoluto alla parità delle armi.
Il quinto motivo sostiene che la domanda sia stata totalmente travisata e che "le limitazioni dei diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza a V.S. , nella sua qualità di cittadino Europeo, furono poste in essere arbitrariamente ed inopinatamente configurandosi alla stregua di mere violazioni normative non soltanto del diritto interno all'ordinamento italiano ma anche, e più gravemente, della disciplina di portata globale e sovranazionale posta a fondamento di una più ampia e vasta tutela dell'individuo sia in quanto essere umano sia in quanto cittadino Europeo".
Il sesto motivo sostiene che il giudice ha travisato la domanda laddove non ha tenuto conto che la C. ha commesso un vero e proprio abuso del diritto, siccome nei confronti delle minori ella non aveva né obblighi, né diritti.
Il settimo motivo, riferendosi alla Carta di Nizza, alla Convenzione CEDU, alla Carta di Nizza ed alla Costituzione, lamenta che il processo non è stato né equo, né imparziale, né effettivo, siccome la sentenza è stata motivata non per giudicare il fatto, bensì per giustificare la condotta del giudicante di prime cure.
L'ottavo motivo critica la sentenza per aver travisato le circostanze di fatto, per non avere considerato la CTU espletata (la quale aveva riscontrato il nesso di causalità tra la condotta della C. ed i danni subiti dal V. ) e per non avere ammesso l'istanza di consulenza psicologica sulla C. .
Il nono motivo censura la sentenza per non avere ammesso le richieste testimonianze, secondo i trascritti capitoli di prova.
Il decimo motivo e l'undicesimo motivo criticano la sentenza per non avere individuato nella fattispecie gli elementi caratterizzanti il delitto di calunnia.
Il dodicesimo motivo sostiene che "l?eccezione di un terzo uomo non è stata mai sollevata specificamente come eccezione da C.M. sicché è stata rilevato d'ufficio dalla Corte".
Il tredicesimo motivo critica la sentenza per aver fatto cenno alla CTU "brevissimo e depistante" senza considerare che "senza quella lesiva e nociva segnalazione la vita del ricorrente non sarebbe stata in alcun modo né lesa né compromessa... dunque la scaturigine di tutto è la condotta assurda di C.M. che ha agito per odio contro V.S. di genere, di censo, di ideologia e per altri inconfessabili transfert".
Il quattordicesimo motivo critica la motivazione della sentenza siccome contraddittoria ed incoerente, per non aver contraddetto la CTU (che aveva riconosciuto il nesso di causalità tra l'imprudente condotta della C. ed il danno psicobiologico ed esistenziale del V. ) ma per non averne tenuto alcun conto.
Il quindicesimo motivo censura il punto in cui la sentenza ha "ritenuto legittima la condotta quale denunciante di C.M. titolare di un immaginifico diritto e dunque accettabile il pregiudizio subito da V.S. ".
Il sedicesimo motivo critica la sentenza "per aver ritenuto sussistente in capo a C.M. un dovere civico di denunciare un innocente per fatti non commessi, rendendo dunque accettabili le lesioni subite da V.S. ".
Così sintetizzate le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata, occorre premettere che il ricorso per cassazione è un'impugnazione cd. "a critica vincolata", in cui le censure devono essere svolte nei ristretti ambiti segnati dall'art. 360 c.p.c., oltre ad essere connotate dai caratteri della specificità e dell'autosufficienza. Siffatto tipo di gravame, nei termini in cui è costituzionalmente garantito, per superare il vaglio d'ammissibilità deve essere caratterizzato dall'alto tecnicismo nella redazione dell'atto d'impugnazione, dalla sinteticità delle critiche e dall'autosufficienza delle censure.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Sono inammissibili laddove contengono generiche, non specifiche e non autosufficienti doglianze che, senza neppure tener conto del concreto portato della motivazione della sentenza impugnata, tendono alla terza valutazione del merito della vicenda da parte del giudice di legittimità. Sono infondati, laddove lamentano la nullità della sentenza, i vizi della motivazione e gli errori di diritto.
Tutte le proteste della parte concretizzantesi nell'imparzialità e nella carenza di terzietà del giudice devono essere proposte dalla parte attraverso il modulo processuale della ricusazione, che nella specie non risulta essere stato sperimentato. Diversamente, la generica doglianza d'imparzialità del giudice d'appello e di sua acritica adesione alle conclusioni raggiunte dal primo giudice è inutilmente ed inammissibilmente avanzata in sede di cassazione. Lo stesso deve dirsi quanto alle modifiche al codice di rito civile proposte dal ricorrente in tema di competenza territoriale del giudice d'appello.
Per il resto, la sentenza si manifesta congruamente e logicamente motivata, nonché immune da errori giuridici di carattere processuale e sostanziale.
Essa correttamente inquadra la vicenda nel tipico tema della risarcibilità del danno da presentazione di una denuncia/querela e si adegua al consolidato principio secondo cui la denuncia di un reato perseguibile d'ufficio non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, se non quando essa possa considerarsi calunniosa; poiché, al di fuori di tale ipotesi, l'attività pubblicistica dell'organo titolare dell'azione penale si sovrappone all'iniziativa del denunciante, interrompendo cosi ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (tra le tantissime, cfr. Cass. n. 1542/10).
Ciò premesso, la sentenza spiega che la C. non ha neppure presentato una denuncia/querela, ma s'è limitata a fare una generica segnalazione, che, peraltro, non era indirizzata verso il V. .
Circostanza, questa, che esclude in radice la sussistenza del delitto di calunnia.
Inoltre, neanche i servizi sociali avevano rivolto specifiche accuse contro il V. , ma l'imputazione penale a suo carico era avvenuta a seguito delle indagini, per essere poi archiviata. Quanto al risultato della CTU, il giudice coerentemente spiega che manca del tutto il nesso causale tra la segnalazione (legittima) della C. e le conseguenze indicate dall'esperto sulla vita dell'attuale ricorrente. Si tratta di considerazioni congrue e logiche, coerenti con i principi giurisprudenziali regolanti il tema, che, dunque, si sottraggono alla censura di legittimità.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio di cassazione, in considerazione della mancata difesa dell'intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.