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Danni da sentenza sbagliata (Cass. 1067/19)

17 gennaio 2019, Cassazione civile

il giudice non può essere chiamato a rispondere per l’esercizio dell’attività interpretativa della legge e valutativa del fatto e delle prove: solo per sentenze pronunciate dopo la riforma del 2015 ha escluso o dalle ipotesi di irresponsabilità del magistrato i casi di dolo e colpa grave.

Chi ha subito il danno ingiusto per effetto del comportamento di un magistrato non può agire direttamente nei confronti di quest'ultimo, ma deve rivolgersi contro lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro 3 anni a partire dal momento in cui è possibile esperirla, ovvero dopo tre anni dalla data in cui il fatto è avvenuto (nel caso in cui il grado del procedimento in cui si è verificato il fatto non sia ancora concluso), o entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza.

In materia di danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie, l’azione di responsabilità fondata su una decisione di ultima istanza asseritamente contrastante con il diritto dell’Unione Europea, ove esperita anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 18 del 2015, è soggetta al rito speciale previsto dalla L. n. 117 del 1988 nel testo originario, il quale è l’unico applicabile a tutte le azioni risarcitorie per i danni suddetti, senza che residuino ipotesi di applicabilità del rito ordinario ex art. 2043 c.c.; peraltro, la scelta del legislatore nazionale di assoggettare l’azione ad un rito processuale speciale non è incompatibile con il diritto dell’Unione, ed in particolare con i principi di equivalenza ed effettività della tutela, atteso che né l’uno né l’altro sono compromessi dalle norme processuali vigenti prima della modifica normativa introdotta dalla citata legge del 2015.

In tema di responsabilità civile dei magistrati, la novella del 2015 non ha efficacia retroattiva, onde l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione: il giudizio di ammissibilità previsto dalla precedente disciplina continua ad applicarsi alle domande avanzate con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015, data di entrata in vigore della L. n. 18 del 2015.

Il principio di affidamento nell’ambito del diritto processuale non possa ritenersi tale da giustificare la sottrazione del giudice alla doverosa e corretta applicazione delle norme di diritto (nella specie, delle norme del diritto processuale) allo stesso imposte dalla legge.

Se non c'è collegamento tra la lesione del diritto azionato e la violazione delle norme di diritto comunitario (che non interviene a regolare il diritto processuale civile degli Stati membri) è preclusa la verifica pregiudiziale di compatibilità di una normativa nazionale con i principi della Carta di Nizza, laddove la materia disciplinata dalla normativa nazionale non rientri (come quella del diritto processuale civile) nell’ambito del diritto dell’Unione.

Il principio di pubblicità dell’udienza - consacrato, oltre che nell’art. 6 della CEDU, anche in altri trattati internazionali (quali l’art. 14 del Patto internazionale di New York, relativo ai diritti civili e politici, del 16 dicembre 1966, reso esecutivo con la L. n. 881 del 1977, e l’art. 6 del Trattato UE, che ha recepito l’art. 47 della Carta di Nizza) - pur avendo valore costituzionale, non è assoluto, essendo suscettibile di deroga, tra l’altro, quando il giudice possa adeguatamente risolvere le questioni di fatto o di diritto sottoposte al suo esame in base agli atti del fascicolo ed alle osservazioni delle parti.

Non è necessaria la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale al fine di valutare la legittimità costituzionale dell’art. 375 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 117 Cost. e all’art. 6 Cedu, nella parte in cui non impone la necessità della trattazione del ricorso per cassazione in pubblica udienza nei casi in cui le parti non ne abbiano goduto nei precedenti gradi del giudizio, nonché in relazione all’art. 111 Cost. nella parte in cui accorda alla Corte di cassazione la facoltà di decidere il rito applicabile ai ricorsi alla stessa proposti.

 

Corte di Cassazione

sez. III Civile, sentenza 23 ottobre 2018 – 17 gennaio 2019, n. 1067
Presidente Spirito – Relatore Dell’Utri

Fatti di causa

1. Con provvedimento del novembre del 2004, la Corte d’appello di Venezia ha revocato il fallimento della (…) s.p.a., della (omissis) s.p.a., della (omissis) s.c.p.a. e della (omissis) s.p.a., dichiarato d’ufficio dal Tribunale di Padova nel giugno del 1996.
2. A seguito di tale provvedimento, le società illegittimamente dichiarate fallite (e tornate in bonis) hanno agito dinanzi al Tribunale di Trento al fine di sentir condannare lo Stato italiano al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Padova.
3. Il Tribunale di Trento ha dichiarato inammissibile la domanda, rilevando come il preteso danno denunciato dalle società istanti fosse ascrivibile all’attività interpretativa del giudice, come tale esente da responsabilità, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2, comma 2.
4. Con provvedimento del 5/12/2006, la Corte d’appello di Trento ha confermato la pronuncia di inammissibilità resa dal primo giudice.
5. Con sentenza n. 4719/2008, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso delle società istanti.
6. Esauriti tutti mezzi interni di ricorso, le ridette società hanno agito dinanzi al Tribunale di Roma, nell’ottobre del 2008, al fine di far valere la responsabilità dello Stato italiano per avere, attraverso il giudice di ultima istanza, violato i principi di diritto posti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nelle sentenze "Kobler" e "Traghetti del Mediterraneo", secondo cui lo Stato è chiamato a rispondere dei danni arrecati ai singoli a seguito dell’errata interpretazione delle norme, tanto di diritto comunitario, quanto di diritto interno, segnatamente nei casi (come quello occorso in relazione alla vicenda del fallimento delle società attrici) di violazione manifesta nell’interpretazione di norme interne in contrasto con l’interpretazione datane dalle corti nomofilattiche.
7. In particolare, vi sarebbe contrarietà al diritto dell’Unione Europea di una normativa interna che esonerasse lo Stato da responsabilità civile per errori dei giudici ascrivibili ad attività interpretativa.
8. Il Tribunale di Roma, pur a seguito dell’iniziale instaurazione della causa nelle forme ordinarie, con decreto del maggio del 2015 ha dichiarato inammissibile la domanda proposta dalle società attrici, in applicazione della L. n. 117 del 1988, art. 5.
9. Al riguardo, il tribunale ha escluso l’estensibilità della responsabilità civile del giudice per la manifesta violazione del diritto comunitario ai danni ascrivibili all’interpretazione delle norme di diritto interno estranee all’ambito degli obblighi comunitari dello Stato.
10. Con decreto in data 11/5/2016, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo delle società istanti, confermando il provvedimento di inammissibilità assunto dal primo giudice.
11. Avverso il provvedimento della corte territoriale, i fallimenti delle s.r.l. in liquidazione (…), (omissis) e (omissis), nonché la s.c.a r.l. (omissis) in liquidazione, hanno proposto ricorso per cassazione in questa sede, sulla base di tre motivi d’impugnazione.
12. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa dell’Avvocatura Generale dello Stato, resiste con memoria di costituzione L. n. 117 del 1988, ex art. 5, comma 4.
13. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha depositato memoria, concludendo per la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale al fine di valutare la legittimità costituzionale dell’art. 375 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 117 Cost. e all’art. 6 Cedu, nella parte in cui non impone la necessità della trattazione del ricorso per cassazione in pubblica udienza nei casi in cui le parti non ne abbiano goduto nei precedenti gradi del giudizio, nonché in relazione all’art. 111 Cost. nella parte in cui accorda alla Corte di cassazione la facoltà di decidere il rito applicabile ai ricorsi alla stessa proposti.
14. Con ordinanza in data 10/5/2017, questa Corte, ritenuta non priva di particolare rilevanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., la questione di diritto concernente l’eventuale necessità della trattazione del ricorso per cassazione nelle forme dell’udienza pubblica, tenuto conto dei principi desumibili dagli artt. 24 e 117 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, là dove individuerebbero, nella pubblicità di almeno una o di talune fasi del processo, una misura coerente alla democraticità dell’ordinamento giuridico, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, affinché ne fosse disposta la discussione in pubblica udienza.
15. Entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria.
16. All’odierna udienza, a seguito della discussione delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente, osserva il Collegio di dover affermare il principio in forza del quale, pur quando il giudizio di merito - nell’insieme delle sue articolazioni di primo e di secondo grado - si sia integralmente svolto nelle forme del procedimento in camera di consiglio, la discussione del successivo ricorso per cassazione non deve necessariamente svolgersi nelle forme dell’udienza pubblica.
2. Al riguardo, varrà riaffermare in questa sede l’insegnamento consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il principio di pubblicità dell’udienza - consacrato, oltre che nell’art. 6 della CEDU, anche in altri trattati internazionali (quali l’art. 14 del Patto internazionale di New York, relativo ai diritti civili e politici, del 16 dicembre 1966, reso esecutivo con la L. n. 881 del 1977, e l’art. 6 del Trattato UE, che ha recepito l’art. 47 della Carta di Nizza) - pur avendo valore costituzionale, non è assoluto, essendo suscettibile di deroga, tra l’altro, quando il giudice possa adeguatamente risolvere le questioni di fatto o di diritto sottoposte al suo esame in base agli atti del fascicolo ed alle osservazioni delle parti (cfr., ex plurimis, Sez. 1, Sentenza n. 20282 del 09/10/2015, Rv. 637341 - 01).
3. Nella specie, tali requisiti appaiono riscontrabili nel caso in esame, atteso che il procedimento per la verifica dell’ammissibilità della domanda avanzata ai fini della dell’accertamento della responsabilità civile dello Stato per i danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e per l’accertamento della responsabilità civile dei magistrati, ha per oggetto questioni che, indipendentemente dalla loro complessità, sono in massima parte risolubili attraverso la valutazione dei documenti acquisiti e l’esame delle deduzioni svolte dalle parti.
4. Nel merito dell’odierna impugnazione, con il primo motivo, le ricorrenti censurano la decisione impugnata per violazione della L. n. 117 del 1988, artt. 2 e 5, dell’art. 2043 c.c., dell’art. 11 preleggi, e del principio dell’affidamento processuale (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché per illogicità od omissione di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere i giudici del merito erroneamente ritenuto applicabile, al caso di specie, il filtro di ammissibilità previsto dall’art. 5 L. n. 117 del 1988, attesa l’avvenuta abrogazione di tale passaggio processuale con la L. n. 18 del 2015; e ciò, nonostante l’introduzione e l’iniziale svolgimento del procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale di Roma nelle forme ordinarie, con la conseguente violazione del principio di affidamento processuale che impone la coerenza degli atti processuali da compiere con la serie di quelli anteriormente già compiuti.
5. Con il secondo motivo, le ricorrenti censurano la decisione impugnata per violazione della L. n. 117 del 1988, artt. 2 e 5, nonché per la violazione delle norme comunitarie poste dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea "Kobler" e "Traghetti del Mediterraneo", ovvero per mancata applicazione del diritto interno in conformità al diritto comunitario (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché per omesso o contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente confermato che l’attività interpretativa della legge interna esenti il giudice dalla responsabilità per i danni provocati dal relativo cattivo esercizio, a differenza dell’attività interpretativa avente a oggetto il diritto comunitario.
6. In particolare, tale opzione interpretativa si porrebbe in contrasto con i principi del diritto comunitario fatti propri nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea richiamate in epigrafe (in coerenza, peraltro, con il dettato della legge numero 18/2015, nella parte in cui rende responsabile il giudice per la violazione manifesta, tanto della legge interna, quanto del diritto comunitario): sentenze che conferiscono ai singoli il diritto al risarcimento nei confronti dello Stato per i danni causati dal potere giudiziario nazionale a causa di una manifesta violazione di norme di diritto.
7. Con il terzo motivo, le ricorrenti censurano la decisione impugnata per violazione dell’art. 234 del Trattato CE (oggi art. 267 del TFUE), nonché del principio di non discriminazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonché omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale dell’esame della legittimità delle norme applicabili all’odierna controversia, ovvero per aver rigettato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di dirimere la questione relativa alla responsabilità civile dello Stato per l’attività interpretativa resa dal giudice con riguardo alle norme di diritto interno, anche al fine di scongiurare l’ingiustificabile discriminazione tra le situazioni dei singoli pregiudicati dalla violazione, ad opera dell’interpretazione giudiziale, dell’uno o dell’altro tipo di norme.
8. A tal fine, le ricorrenti hanno riproposto in questa sede l’istanza diretta alla sollevazione della questione di legittimità costituzionale della L. n. 117 del 1988, art. 2, comma 2, (nella parte in cui, esentando lo Stato da ogni responsabilità per attività giurisdizionale riguardante l’interpretazione del diritto interno circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, contrasta con la regola elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo cui lo Stato risponde per attività giurisdizionale in caso di violazione manifesta del diritto comunitario), nonché, in alternativa, l’istanza diretta a sollevare la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 234 del Trattato CE (oggi art. 267 TFUE), in relazione al punto concernente l’eventuale contrarietà, al diritto comunitario, di una normativa nazionale che non preveda la responsabilità dello Stato per l’attività interpretativa del diritto interno, nonché là dove non prevede che la violazione di norme derivanti da attività interpretativa costituisca violazione manifesta di legge in presenza di pronunce di corti nomofilattiche interne.
9. Tutti e tre i motivi di ricorso - congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati.
10. In linea preliminare, varrà rilevare l’improprietà del richiamo operato dalle ricorrenti all’operatività della norma di cui all’art. 2043 c.c., dovendo nella specie trovare applicazione il principio già sancito da questa Corte di legittimità, ai sensi del quale, in materia di danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie, l’azione di responsabilità fondata su una decisione di ultima istanza asseritamente contrastante con il diritto dell’Unione Europea, ove esperita anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 18 del 2015, è soggetta al rito speciale previsto dalla L. n. 117 del 1988 nel testo originario, il quale è l’unico applicabile a tutte le azioni risarcitorie per i danni suddetti, senza che residuino ipotesi di applicabilità del rito ordinario ex art. 2043 c.c.; peraltro, la scelta del legislatore nazionale di assoggettare l’azione ad un rito processuale speciale non è incompatibile con il diritto dell’Unione, ed in particolare con i principi di equivalenza ed effettività della tutela, atteso che né l’uno né l’altro sono compromessi dalle norme processuali vigenti prima della modifica normativa introdotta dalla citata legge del 2015 (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 258 del 10/01/2017 (Rv. 642354 - 01).
11. In particolare, con riguardo alla contestata applicazione, nel caso di specie, del c.d. filtro di ammissibilità previsto dalla L. n. 117 del 1988, art. 5, la corte territoriale risulta essersi correttamente allineata al principio statuito da questa Corte di legittimità (che il Collegio condivide nella sua interezza e fa proprio, ritenendo di doverne assicurare continuità), ai sensi del quale, in tema di responsabilità civile dei magistrati, la sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 5, per effetto della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, non ha efficacia retroattiva, onde l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione (Sez. 3, Sentenza n. 932 del 17/01/2017, Rv. 642702 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 25216 del 15/12/2015, Rv. 638090 - 01).
12. Da tale premessa deriva che il giudizio di ammissibilità previsto dall’art. 5 cit. continua ad applicarsi alle domande (come quella oggetto dell’odierno giudizio) avanzate con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015, data di entrata in vigore della L. n. 18 del 2015.
13. Sul punto, è appena il caso di rilevare come l’invocato principio di affidamento nell’ambito del diritto processuale non possa ritenersi tale da giustificare, nel caso di specie, la sottrazione del giudice alla doverosa e corretta applicazione delle norme di diritto (nella specie, delle norme del diritto processuale) allo stesso imposte dalla legge.
14. Quanto alla dedotta contrarietà, ai principi del diritto dell’Unione Europea, di una disciplina nazionale che escluda la responsabilità civile dello Stato per i danni provocati dall’attività interpretativa delle norme interne da parte del giudice, varrà richiamare, con specifico riguardo al caso oggetto dell’odierno giudizio, il principio fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte (anch’esso integralmente condiviso e fatto proprio dal Collegio), secondo cui, in tema di responsabilità civile dei magistrati, nel vigore della disciplina anteriore alla L. n. 18 del 2015 (come imposto ratione temporis nel caso di specie), è infondato il ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità dell’azione risarcitoria allorché l’impugnazione risulti basata esclusivamente sull’incompatibilità comunitaria e sulla conseguente richiesta di disapplicazione delle clausole di salvaguardia, di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 2, commi 2 e 3, per asserito contrasto delle stesse con i principi generali affermati nelle pronunce della Corte di Giustizia in tema di responsabilità degli Stati membri per l’attività di propri organi giurisdizionali (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 21246 del 20/10/2016, Rv. 642949 - 01).
15. Al riguardo, in relazione a tale fattispecie (conforme a quella oggetto dell’odierno giudizio) deve ritenersi insussistente, da un lato, il collegamento tra la lesione del diritto azionato e la violazione delle norme di diritto comunitario (che non interviene a regolare il diritto processuale civile degli Stati membri), ed essendo preclusa, dall’altro, la verifica pregiudiziale di compatibilità di una normativa nazionale con i principi della Carta di Nizza, laddove la materia disciplinata dalla normativa nazionale non rientri (come quella del diritto processuale civile) nell’ambito del diritto dell’Unione.
16. Le argomentazioni che precedono valgono, nel loro complesso, a rendere sufficiente ragione della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, nonché della questione riferita al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sollevata dalle odierne ricorrenti.
17. Sulla base delle argomentazioni che precedono, accertata l’infondatezza dei motivi di censura avanzati dalle ricorrenti, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso.
18. La complessità delle questioni giuridiche trattate, non ancora confortate da un adeguato consolidamento degli indirizzi della giurisprudenza di legittimità all’epoca della proposizione dell’odierna impugnazione, vale a giustificare l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.