Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
Nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto - il giudice dovrà valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé").
In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.).
Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138, lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità del 2016.
Costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico, inteso come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto sulle sue attività dinamico-relazionali, e del danno cosiddetto "esistenziale". Non costituisce duplicazione risarcitoria, invece l'autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute.
Corte di Cassazione
sez. III Civile
ordinanza 3 luglio – 4 novembre 2020, n. 24473
Presidente Armano – Relatore Iannello
Rilevato in fatto
1. G.P. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Verona R.C. e P.U. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa della caduta da un ponteggio, montato dal P. presso l’abitazione della R. , in occasione dell’esecuzione di lavori di installazione di pannelli solari sul tetto di quest’ultima.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda - liquidati i danni nel complessivo ammontare di Euro 749.194 (di cui Euro 600.000 per danno biologico da invalidità permanente, applicato l’aumento del 15% per la ritenuta "necessaria personalizzazione" sull’importo risultante dalle tabelle di Milano, in relazione alla accertata invalidità del 65%), ridotto ad Euro 559.396 per il riconosciuto concorso del fatto colposo del danneggiato e detratto il valore capitalizzato della rendita Inail, nell’importo, comunicato dallo stesso istituto, di Euro 253.280,34 -, ha condannato i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore, del residuo im28988porto di Euro 306.116, oltre rivalutazione e interessi secondo le modalità di calcolo specificate in sentenza.
2. Pronunciando sui contrapposti gravami la Corte d’appello di Venezia ha integralmente confermato tale decisione, compensando le spese del grado.
Per quanto ancora in questa sede interessa ha in particolare disatteso le censure mosse dai danneggianti - in punto di: a) personalizzazione del danno; b) calcolo dell’importo della rendita Inail portato in detrazione - sulla base delle seguenti considerazioni.
2.1. La personalizzazione del danno, pur non specificamente motivata dal primo giudice, "si dimostra corretta analizzando la tipologia e la gravità dei postumi e delle conseguenze riportate dal G. nell’incidente per cui è causa. Invero, nel caso di specie, vanno valorizzate le indubitabili conseguenze sulla sfera personale del soggetto leso, sia dal punto di vista della sofferenza, sia del pregiudizio esistenziale e relazionale conseguenti ai postumi fisici descritti dal CTU.
"In particolare: il deficit del VII nervo cranico che determina lagoftalmo, anestesia dell’emivolto destro, deviazione della rima orale; grave deficit della spalla destra, deficit deambulatorio e, nel complesso, un quadro di emiplagia destra con astenia ingravescente.
"Ancora: "difficoltà ad espletare anche i più comuni atti della vita quotidiana i quali, seppur autonomamente, non sempre riescono ad essere compiuti in modo corretto, abbisognando quindi dell’aiuto di terze persone" (relazione CTU pag. 14, non contestata dai CTP).
"Dagli elementi ora narrati non può non riconoscersi una grave limitazione non solo della sfera del danno alla salute e all’integrità fisica ma, altresì, della sfera, relazionale, morale e, più in generale, del complesso "valore uomo" che travalica, nel caso di specie, la componente media del danno biologico rappresentato dal valore del punto di cui alle tabelle applicate.
"La personalizzazione del risarcimento operata dal giudice di primo grado, pertanto, non si appalesa quale duplicazione di una medesima voce di danno ma come liquidazione esaustiva e mirata del danno patito dallo specifico soggetto vittima dell’infortunio, in considerazione della gravità delle lesioni subite, dell’alto grado di sofferenza patito attese la durata e le complicanze della malattia ed il pregiudizio complessivo subito dal soggetto nell’esplicazione della sua esistenza quotidiana".
2.2. Ai fini della quantificazione del valore della rendita riconosciuta al danneggiato, "il giudice di primo grado non poteva che attenersi a quanto indicato da Inail a seguito dell’esplicita richiesta del giudice... (comunicazione depositata il 18/2/2013 ed anticipata il 14/2/2013).
"Tale dato non può essere superato neppure in questa sede a fronte di risultanze di un atto giudiziale afferente al altro e diverso giudizio".
3. Avverso tale decisione P.U. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
R.C. deposita controricorso, con esso svolgendo ricorso incidentale con unico mezzo.
Ad entrambi i ricorsi resiste l’altro intimato, depositando controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c..
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo del ricorso principale P.U. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1916 c.c. e del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, "in relazione al diffalco solo parziale della rendita Inail dal risarcimento riconosciuto al danneggiato".
Rileva che con l’ottavo motivo d’appello egli aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva quantificato la rendita erogata dall’INAIL, scomputata dai danno liquidato, nella somma di Euro 253.280,34, anziché in quella di Euro 331.542, ed aveva a supporto allegato copia dell’atto di citazione, notificatogli dall’Inail, introduttivo di separato giudizio per il vantato diritto di surroga, nonché del prospetto di calcolo elaborato dallo stesso Istituto.
Soggiunge di avere, quindi, evidenziato, in sede di gravame, come la diversa quantificazione risultante (apparentemente) dalla comunicazione depositata in primo grado dall’Inail di Verona fosse, verosimilmente, frutto semplicemente di una modalità espositiva poco chiara adottata dall’Istituto in tale documento (ove si affermava che "si è erogata indennità di temporanea per un importo complessivo di Euro 6.054,56 relativa al periodo dal 27/04/2008 al 21/11/2008. La rendita decorre dal 22/1/2008 e sono stati - ad oggi - erogati ratei per complessivi Euro 70.169,14. Il valor capitale della stessa ammonta ad Euro 253.280,34 per un danno patrimoniale di Euro 117.492,33 ed un danno biologico di Euro 135.788,01").
Rileva che, invece, l’atto di citazione notificato per la rivalsa aveva meglio precisato le cifre, chiarendo che l’Istituto doveva sostenere "un onere complessivo di Euro 328.730,19, secondo il dettaglio che segue...: indennità temporanea: Euro 6.054,56 visite accertamento postumi: Euro 92,97 valore capitale rendita al 20.02.2013: Euro 253.280,34 acconti e ratei pagati fino al 20.02.2013: Euro 69.627,32 certificazioni medico legali: Euro 55,00".
Deduce, quindi, che "l’importo di Euro 253.280,34 rappresenta il valore della rendita quantificato dal 20/2/2013, senza tenere conto dei ratei già erogati prima di allora".
Sotto altro profilo rileva, inoltre, che "non risulta condivisibile" la motivazione sul punto resa dalla Corte di merito là dove si afferma la inutilizzabilità di "risultanze di un atto giudiziale afferente ad altro e diverso giudizio".
Osserva di contro che: l’eccezione di compensatio lucri cum damno" configura una eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio dal giudice che, a tal fine, può far riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio.
Evidenzia che, peraltro, la documentazione in atti non rende del tutto chiaro il valore delle prestazioni erogate fino al 20/2/2013, fornendo al riguardo indicazioni discordanti, e che, pertanto, si renderanno necessari, in sede di rinvio, ulteriori accertamenti sul punto.
2. Con il secondo motivo il P. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, "violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 c.c. (sulla indebita personalizzazione del danno in aumento)".
Lamenta che la Corte di merito, reiterando l’errore del primo giudice, ha personalizzato il danno in mancanza di allegazioni specifiche e sulla base di valutazioni del tutto impersonali non tenendo conto del fatto che certamente lesioni che coinvolgono la capacità di parlare o camminare incidono sulla vita personale del danneggiato. Ma proprio perché questa incidenza è ovvia, è altrettanto ovvio che di essa le tabelle già tengono conto, nel quantificare il danno "medio" derivante da tali lesioni.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale R.C. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1916 c.c. e del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 e dell’art. 111 Cost., svolgendo censure sostanzialmente sovrapponibili a quelle svolte con il primo motivo del ricorso principale.
4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato e merita accoglimento nei termini appresso precisati. Conseguentemente lo è anche quello posto a fondamento del ricorso incidentale, di identico tenore.
4.1. L’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui "tale dato (ossia quello del valore capitalizzato della rendita Inail da detrarre dalla somma liquidata a titolo di risarcimento, n.d.r.) non può essere superato neppure in questa sede a fronte di risultanze di un atto giudiziale afferente al altro e diverso giudizio", in mancanza di alcuna ulteriore spiegazione, appare incomprensibile ed espone la sentenza, per tale parte, a rilievo di nullità per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014): rilievo che appare consentito dal tenore sostanziale delle censure, indipendentemente dalla ininfluente diversa indicazione, nell’intestazione, del tipo di vizio denunciato (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931).
Non è dato comprendere infatti se tanto il giudice d’appello afferma perché: a) ritenga le risultanze dell’atto "afferente ad altro e diverso giudizio" di valore probatorio recessivo rispetto alla documentazione acquisita nel giudizio de quo (ma in tal caso di tale valutazione non offre alcuna, sia pur accennata, ragione giustificativa); b) ritenga invece, a priori, non consentito l’esame e l’attribuzione di alcun rilievo probatorio ad atti o documenti rinvenienti da diverso giudizio.
4.2. Se fosse quest’ultimo il significato da dare all’affermazione, questa paleserebbe comunque un errore processuale, reso manifesto dalla considerazione dei seguenti principi che nella specie vengono in rilievo.
"L’eccezione di compensatio lucri cum damno è una eccezione in senso lato, vale a dire non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è, come tale, oltre che rilevabile d’ufficio dal giudice (il quale, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio), anche proponibile per la prima volta in appello (così Cass. Sez. U. 22/05/2018, n. 12566, che rimanda a Cass. 14/01/2014, n. 533; Cass. 24/09/2014, n. 20111).
Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice e in assenza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, questi può porre a fondamento della decisione anche prove atipiche, non espressamente previste dal codice di rito, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (v. e plurimis Cass. n. 13229 del 26/06/2015).
Tra tali prove rientrano certamente anche le prove e le dichiarazioni raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti.
Anche queste, dunque, ove ritualmente introdotte in giudizio - il che non è in alcun modo contestato e sembra pacifico in atti - vanno certamente valutate nel contraddittorio delle parti e sottoposte, come detto, a raffronto critico con le altre risultanze ritualmente acquisite nel processo, ma non se ne può certamente a priori escludere l’utilizzabilità, come sembra voler invece affermare la sentenza impugnata nel citato passaggio, altrimenti comunque non comprensibile.
5. Il secondo motivo del ricorso principale deve, invece, ritenersi infondato, alla stregua delle seguenti considerazioni.
La motivazione della sentenza giustifica la operata personalizzazione facendo riferimento non solo alle conseguenze sulla sfera "relazionale ed esistenziale" - sulla cui pertinenza e valenza giustificativa si appuntano le critiche del ricorrente - ma anche, e ripetutamente, alle gravi conseguenze subite dal danneggiato sul piano delle sofferenze morali o soggettive.
Ancorché generiche, tali indicazioni motivazionali valgono a sottrarre la sentenza ad una censura di erronea personalizzazione.
Un problema di personalizzazione, invero - come più volte questa Corte ha avuto modo di precisare (v. da ultimo, in motivazione, Cass. 11/11/2019, n. 28988) - si pone solo per il danno biologico, proprio in quanto soggetto a liquidazione tabellare standardizzata, ma non anche invece per il danno morale, per il quale le tabelle di Milano non possono ritenersi vincolanti (v. in tal senso Cass. 04/02/2020, n. 2461;).
Sotto tale profilo può, pertanto, ritenersi che legittimamente la Corte di merito, sia pure impropriamente parlando di "personalizzazione", abbia inteso dare congruo apprezzamento al danno morale (cfr. in tal senso, in un caso analogo, Cass. 08/02/2019, n. 3722).
Varrà al riguardo richiamare la più recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469) in tema di risarcimento del danno alla persona; vanno, in particolare, ribaditi, per la loro diretta rilevanza nel caso di specie, i seguenti principi.
I. Sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).
II. La natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:
a. di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;
b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.
III. Nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 138 e 139 (Codice delle assicurazioni private), modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
IV. Nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. Sez. U. n. 6572 del 2006; Corte Cost. n. 233 del 2003) - il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé").
V. In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
VI. Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.).
VII. Non costituisce duplicazione risarcitoria, di converso, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all’art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138, lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità del 2016.
Alla luce di tali principi la decisione impugnata si sottrae pertanto, come detto, alla censura in esame, in quanto essenzialmente basata sulla invocazione di un criterio standard di liquidazione del danno morale, allo stato non predicabile alla stregua degli indici di diritto positivo sopra richiamati e, per il resto, risolventesi nella mera generica contestazione di una valutazione di merito che, in quanto motivata, non è sindacabile in questa sede".
6. In accoglimento, pertanto, del (solo) primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale; rigetta il secondo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.