Dentista non deve risarcire il danno per cure inutili se la causa del danno non è l'opera del medico, ma le condizioni pregresse del paziente e il medico ha correttamente informando il paziente e segnalandogli i possibili rischi dell'intervento.
Corte di Cassazione
VI Civile, ordinanza 11 febbraio ? 30 agosto 2016, n. 17405
Svolgimento del Processo
1. Il consigliere relatore ha depositato, d sensi dell'art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:
"1. Nel 2002 P. W. convenne davanti al Tribunale di Venezia G. C., assumendo.
- di avere stipulato col convenuto, odontoiatra, un contratto di prestazione d'opera professionale, avente ad oggetto l'esecuzione di dare dentarie; - che le cure erano state malamente eseguite dal professionista; - che a causa degli errori del medico aveva dovuto ricominciare daccapo l'intera cura. Chiese perciò la risoluzione del contratto, la restituzione del corrispettivo e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
2. Opponendosi il convenuto, il Tribunale di Venezia con sentenza n. 1111 del 2008 rigettò la domanda, ritenendo insussistente un valido nesso di causa tra l'opera dei medico convenuto e gli inconvenienti lamentati dall'attore. La Corte d'appello di Venezia, adita da ambo le parti, con sentenza n. 1660 del 2014 rigettò sia il gravame principale che quello principale. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da P. D., sulla base di un solo motivo.
3. Con tale motivo di ricorso il ricorrente lamenta - in particolare - la violatone degli tira. 1218 e 2697 c.c.. Deduce che la Corte d'appello la erroneamente posto a suo carico l'onere di provare l'esistenza del nesso di causa tra l'opera ilei professionista e l'insuccesso degli interventi protesici da questi eseguiti; soggiunge che nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è onere del convenuto provare o che inadempimento non vi far, ovvero che noti esso fu la causa del danno lamentato dall'attore.
3. 1. il motivo è infondato.
Sebbene a p. 11 della sentenza la Corte d'appello affermi - erroneamente - che spetta al danneggiato l'onere di provare l'esistenza d'un nesso di causa tra il danno e l'opera del sanitario, alle successive pp. 12-13, con una seconda ed autonoma ratio decidendi, la Corte d'appello ha ritenuto in facto che la causa del fallimento delle cure eseguite dal convenuto non andasse ricercata nell'opera di questi, ma in fattori naturali (malocclusione) o nella condotta dello stesso patente; ed ha soggiunto che in ogni caso il medico aveva agito con la [diligenza] prescritta dalle leges artis.
Quale che fosse la correttezza di tali statuizioni, esse per un verso costituiscono oggetto di una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di questa Corte; e Peraltro verso non sono state nemmeno validamente censurate dal ricorrente.
4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso ".
2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della Decisione
3. I1 Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.
Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.
4. Deve, in primo luogo, escludersi che sia necessario disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, per consentire la discussione in pubblica udienza ex art. 379 c.p.c., come invocato dal ricorrente a p. 9 della propria memoria.
Le questioni poste dal ricorso possono infatti agevolmente essere decise, per quanto si dirà, sulla base di una questione preliminare di rito, sicché non ha pregio il richiamo del ricorrente alla natura "rilevante" della materia.
Infatti quel che consente la decisione in camera di consiglio del ricorso, con le forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., non è la complessità della questione, ma la sua manifesta fondatezza od infondatezza, giusta la chiara previsione di cui all'art. 375, numero 5, c.p.c..
Pertanto, anche a prescindere da qualsiasi giudizio circa la effettiva sussistenza nel caso di specie di una questione "complessa", quel che rileva è stabilire se le questioni in diritto poste dal ricorrente siano o menofondate in modo evidente: questione, per quanto si dirà, cui va data risposta affermativa.
4. Nel merito, il ricorrente con la propria memoria ex art. 380 bis c.p.c. deduce che la Corte d'appello, addossandogli l'onere di provare la colpa del medico, avrebbe commesso un evidente errore di diritto, posto che l'art. 1218 c.c., addossava tale prova al professionista convenuto.
Soggiunge che tale affermazione ha costituito l'unica ratio decide,idi della sentenza impugnata, ed è stata validamente impugnata col ricorso per cassazione.
Nega, di conseguenza, che - così come rilevato nella relazione preliminare - la sentenza impugnata si fondasse su ulteriori ed autonome ragioni, non censurate dal ricorrente.
5. Queste allegazioni non possono essere condivise.
1 provvedimenti giurisdizionali vanno esaminati nel loro complesso (è lo stesso ricorrente ad ammetterlo, a p. 10 della propria memoria).
Nel nostro caso la sentenza impugnata, dopo avere indicato le ragioni per cui doveva ritenersi incerto il nesso di causa tra l'opera del medico ed il danno (pp. 9-11), mette un punto ferme ed introduce un nuovo tema d'indagine, introdotto dalla congiunzione "peraltro" (p. 11), che per l'appunto ha il significato di "inoltre", "per di più", "aggiungasi che".
La suddetta congiunzione avvia una serie di considerazioni in cui si afferma in sostanza che:
(a) la causa del danno non fu l'opera del medico, ma le condizioni pregresse del paziente;
(b) il medico, correttamente informando il paziente e segnalandogli i possibili rischi dell'intervento, tenne una condotta diligente (ibidem, p. 12) .
Pertanto, quand'anche si affermasse erronea la statuizione secondo cui il nesso di causa era incerto e tale incertezza ridondava a sfavore dell'attore, le suddette affermazioni sarebbero di per sé idonee a sorreggere comunque una sentenza di rigetto. E' dunque evidente che esse non costituiscono obiter dista, ma distinte ed autonome ragioni (ulteriori rispetto quelle enunciate a p. 11 della sentenza) che si sarebbero dovute impugnare autonomamente, e che non lo sono state.
6. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integralmente tra le parti, in considerazione dell'esito alterno delle consulenze d'ufficio nei gradi di merito, circostanza che di per sé poteva incolpevolmente indurre il ricorrente a ritenere incerto l'esito del ricorso.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di P. D. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 11 febbraio 2016.