E' legittima l'ostensione dei dati del beneficiario della posizione previdenziale di un fondo pensione, allorchè il
richiedente alleghi l'interesse, concreto e non pretestuoso, ad intraprendere un giudizio nei confronti del soggetto in tal
modo designato dall'aderente al fondo, come allorchè la richiesta provenga dal legittimario del de cuius.
Il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24, comma 1, lett. f), non può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo titolare dei dati soggetti a trattamento: al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati, sempre se portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Ord., (data ud. 19/11/2021) 13/12/2021, n.
39531
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente -
Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -
Dott. MARULLI Marco - Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12888/2019 proposto da:
Previndai - Fondo di Previdenza a Capitalizzazione per i Dirigenti di Aziende Industriali, in persona presidente pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, **, presso lo studio dell'avvocato CI
che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
B.N.C.L.A., Garante per la protezione dei dati personali;
- intimati -
avverso la sentenza n. 39/2019 del TRIBUNALE di ROVERETO, pubblicata il 13/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 13 febbraio 2019, il Tribunale di Rovereto ha accolto la domanda di accesso alla documentazione e ai
dati relativi alla posizione di previdenza complementare ed ai beneficiari del Fondo Pensione Previndai n. 166677.1, già
intestato al marito della richiedente, ordinando all'ente Previndai, Fondo di previdenza a capitalizzazione per i dirigenti
di aziende industriali, di consentire alla ricorrente di accedere a tutti i dati relativi e di consegnarne copia.
Il giudice del merito ha rilevato come la domanda fosse motivata dall'avere la ricorrente appreso la circostanza che il
marito, in condizioni di salute già gravemente compromesse, aveva provveduto alla sostituzione dei beneficiari,
indicando altri soggetti al posto della medesima e della figlia M.M., onde l'intenzione di promuovere un giudizio di
riduzione per lesione di legittima o l'azione di annullamento ex art. 428 c.c., anche per conto della minore, per la quale
la ricorrente ha accettato l'eredità con beneficio di inventario previa autorizzazione del giudice tutelare. Il tribunale ha
reputato la domanda fondata, posto che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24 contempla la necessità di difesa in giudizio,
tutelando tale interesse come giuridicamente prevalente.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal Fondo di previdenza, sulla base di due motivi.
Non svolgono difese gli intimati, sig.ra B. ed il Garante per la protezione dei dati personali.
La parte ricorrente ha depositato, altresì, la memoria.
Motivi della decisione
1.1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,
artt. 9 e 24 nonchè del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 14, comma 3, sulla disciplina delle forme pensionistiche
complementari, per avere il giudice del merito mancato di applicare l'art. 9 cit. (ora art. 2-terdecies), il quale prevede
l'ostensione dei soli "dati personali concernenti persone decedute", ma non di terze persone.
Il principio, valido per le polizze assicurative sulla vita, deve estendersi ai fondi pensione complementari D.Lgs. n. 252
del 2005, ex art. 14, comma 3, avendo anche la Commissione di vigilanza sui fondi pensione chiarito, negli orientamenti
del 15 luglio 2008, che il beneficiario acquista il diritto iure proprio.
Al contrario, il D.Lgs. n. 156 del 2003, art. 24 va inteso in senso restrittivo, atteso che pone un'eccezione al diritto alla
riservatezza; nè l'accesso ai dati può essere esercitato in via esplorativa, in mancanza di un giudizio già intrapreso.
In ogni caso, le azioni preannunziate non sono fondate, dato che la posizione previdenziale accantonata non rientra
nell'asse ereditario e l'azione di annullamento per incapacità del disponente presuppone un grave pregiudizio per
l'autore, nella specie assente.
Infine, il Fondo Previndai ha natura di associazione privata, per la quale non valgono le norme sul procedimento
amministrativo in tema di accesso agli atti.
1.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la falsa applicazione del D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 14, comma 3,
oltre alla "omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio", ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo
il tribunale valutato l'eccezione assorbente, secondo cui la ricorrente è priva della qualità di erede in forza del
testamento olografo, che ha istituito unica erede M.L.: invero, il D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 14, comma 3, stabilisce che
l'intera posizione individuale sia riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati, posizioni assenti in capo alla ricorrente.
2. - I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto pongono questioni interpretative connesse, sono
infondati.
2.1. - Gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei "fondi pensione" costituiscono una categoria assimilabile alle
assicurazioni sulla vita, attesa la loro causa o finalità riconducibile al genus previdenziale, vuoi con riferimento alla
primigenia fase di accumulo della provvista monetaria, vuoi con riferimento alla successiva fase di erogazione della
prestazione pecuniaria (cfr. Cass., sez. un., 20 marzo 2018, n. 6928; per la Cassazione penale, cfr. Cass. pen., sez. III,
28 febbraio 2020, n. 13660).
Ed è stato rilevato che il sistema pensionistico si divide in due grandi settori, la previdenza obbligatoria e quella
complementare, quest'ultima progressivamente affiancatasi a quella obbligatoria: i sistemi pensionistici si diversificano
in ragione dei meccanismi di gestione delle risorse, distinguendosi in sistemi "a ripartizione" e "a capitalizzazione"; la riforma organica del sistema della previdenza complementare fu realizzata con il D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252
(Cass., sez. un., 14 gennaio 2015, n. 477).
Il D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 24, comma 3, Disciplina delle forme pensionistiche complementari, stabilisce che,
in caso di morte dell'aderente ad una forma pensionistica complementare prima della maturazione del diritto alla
prestazione pensionistica, "l'intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi soggetti dallo
stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche. In mancanza di tali soggetti, la posizione, limitatamente alle
forme pensionistiche complementari individuali, viene devoluta a finalità sociali secondo le modalità stabilite con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nelle forme pensionistiche complementari collettive, la suddetta
posizione resta acquisita al fondo pensione".
La legge, dunque, ha espressamente disciplinato quali siano i soggetti, a seconda delle diverse evenienze, titolari della
posizione dell'aderente al fondo.
In tale ambito, una tutela particolarmente intensa è assicurata al titolare della posizione individuale, il quale ha facoltà di
designare i soggetti beneficiari, anche diversi dagli eredi.
2.2. - Ciò posto, reputa il Collegio che il richiamo al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 9 sia inconferente nel caso in
esame.
2.2.1. - Prevede il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 9, comma 3, nella versione in vigore all'epoca dei fatti della controversia,
che "i diritti di cui all'art. 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un
interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione".
A sua volta, l'art. 7, ratione temporis applicabile, menziona i "diritti dell'interessato", quali i diritti di accesso, di conferma,
di comunicazione in forma intelligibile, di ogni dato sul titolare, nonchè l'aggiornamento dei dati, la loro rettificazione,
integrazione o cancellazione, ed il diritto di opporsi al trattamento, per motivi legittimi; mentre l'art. 8 precisa che i diritti, di cui all'articolo precedente, sono esercitati con richiesta rivolta senza formalità al titolare o al responsabile, anche per il
tramite di un incaricato, alla quale è fornito idoneo riscontro senza ritardo.
Analogamente, il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2-terdecies inserito dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, art. 2, comma 1,
lett. f, prevede: "Diritti riguardanti le persone decedute. I diritti di cui agli artt. da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela
dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione" (comma 1), mentre "(in ogni
caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l'esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano
dalla morte dell'interessato nonchè del diritto di difendere in giudizio i propri interessi" (comma 5).
Gli artt. da 15 a 22 reg. concernono i diritto di accesso (con riguardo alle finalità del trattamento, alle categorie di dati, ai
destinatari ecc.); il diritto di rettifica, di cancellazione o di limitazione del trattamento; il diritto alla portabilità dei dati; il
diritto di opposizione; il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento
automatizzato, compresa la profilazione.
2.2.2. - Orbene, non era quello previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 9 tuttavia, il diritto invocato dalla ricorrente
innanzi al Tribunale.
La stessa, invero, non ha chiesto i dati personali del de cuius, ma i dati di terzi soggetti, invocando l'esigenza di
intraprendere una controversia giudiziale di natura ereditaria o di annullamento degli atti dispositivi del de cuius per
incapacità naturale.
Onde la norma costituita dall'art. 9 citato - il quale regolamenta i dati personali del defunto ed i correlati diritti di rettifica,
cancellazione, limitazione, opposizione e così via - viene inappropriatamente evocata.
2.3. - La norma di riferimento è il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24 correttamente considerato dal Tribunale.
Non si ignora, al riguardo, il precedente, citato anche dalla ricorrente (Cass. 8 settembre 2015, n. 17790), che ha
negato agli eredi il diritto di accesso ai dati identificativi di terze persone, quali i beneficiari della polizza sulla vita
stipulata dal de cuius, avendo ritenuto in quel caso il giudice del merito, accogliendo la tesi del ricorrente, applicabile il
D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 9 che la S.C. ha interpretato nel senso che tale disposizione concerne solo i dati del de
cuius medesimo.
Non vi è dubbio che tale interpretazione sia corretta, riferendosi la norma ai dati del dante causa.
Ma, come palesa la vicenda oggi esaminata, qui non era questione dei dati relativi al dante causa, della rettifica o
cancellazione di essi, o di altro diritto a tutela del medesimo: si tratta, invece, di una domanda di accesso a dati di terzi,
a fini di difesa giudiziaria.
2.4. - L'indagine, pertanto, si riduce alla corretta interpretazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art.
24.
Prevedeva il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24 (sino alla sua abrogazione, avvenuta ad opera del D.Lgs. 10 agosto 2018,
n. 101, art. 27, comma 1, lett. a, n. 2) gli specifici "casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso".
Fra di essi, l'art. 24, comma 1, lett. f) contempla l'esigenza di "far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre
che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento".
Questa Corte ha avuto già occasione di precisare che l'art. 24 cit. esclude che occorra il consenso dell'interessato,
allorchè il trattamento dei dati sia necessario per far valere o difendere un diritto in giudizio, pur se tali dati non
riguardino una parte del giudizio in cui la produzione viene eseguita: unica condizione richiesta, invero, è che i dati
siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, in quanto,
cioè, la produzione sia pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, con utilizzo dei dati esclusivamente nei limiti di quanto necessario al legittimo ed equilibrato esercizio della propria difesa (cfr. Cass. 3 aprile 2014, n. 7783,
non mass.; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 luglio 2013, n. 17204; Cass. 11 luglio 2013, n. 17203).
Dunque, il trattamento dei dati è ammesso ai fini della tutela giudiziaria dei propri diritti, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art.
24, lett. f).
2.5. - Al riguardo, i precedenti di questa Corte hanno concorso a delineare un principio generale, ricavabile dal diritto
positivo e volto a favorire la tutela del diritto alla difesa, di cui all'art. 24 Cost.
Detto principio generale deriva, invero: dall'art. 51 c.p., riguardante l'esimente dell'esercizio di un diritto; dalla L. 22
aprile 1941, n. 633, artt. 93 e 94 legge sul diritto d'autore, secondo cui la corrispondenza, allorchè abbia carattere
confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata, può essere divulgata senza autorizzazione, quando la
conoscenza dello scritto sia richiesta ai fini di un giudizio civile o penale; dalle specifiche norme del codice dei dati
personali, fra cui proprio il D.Lgs. n. 196 del 2004, art. 24 (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612).
E', pertanto, individuabile il principio, secondo cui l'interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte
della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall'ordinamento configurati come prevalenti nel necessario
bilanciamento operato, fra i quali l'interesse, ove autentico e non surrettizio, all'esercizio del diritto di difesa in giudizio.
2.6. - Nè il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24, comma 1, lett. f), può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo
titolare dei dati soggetti a trattamento: al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati, sempre se portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti (cfr. Cass. 3 aprile 2014, n. 7783).
Si noti che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4 "dato personale" oggetto di tutela è qualunque informazione,
relativa a "persona fisica, giuridica, ente o associazione", che siano "identificati o identificabili", anche "indirettamente
mediante riferimento a qualsiasi altra informazione": ed in tale nozione sono riconducibili i dati dei singoli beneficiari di
una polizza o di un fondo di previdenza complementare, raccolti ed utilizzati per le finalità del Fondo pensione.
2.7. - Non ha pregio la pretesa di ritenere che condizione della domanda di ostensione dei dati, ai fini di tutela giudiziaria
D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 24 sia l'attuale e preventiva pendenza di un processo, in quanto altrimenti si tratterebbe
di domanda "esplorativa".
Al contrario, un attuale giudizio già intrapreso, al momento della istanza di comunicazione dei dati, non è requisito
indefettibile della stessa.
Si è già affermato, al riguardo, che la pertinenza dei dati - in quel caso, della produzione documentale di una parte -
rispetto alla sua tesi difensiva va verificata nei suoi termini astratti e con riguardo alla sua oggettiva inerenza alla finalità
di addurre elementi atti a sostenerla, e non alla sua concreta idoneità a provare la tesi stessa o avendo riguardo alla
ammissibilità e rilevanza dello specifico mezzo istruttorio (cfr. Cass. 20 settembre 2013, n. 21612).
Invero, il diritto di difesa in giudizio - nel bilanciamento degli interessi in gioco operato ex ante dal legislatore con norma positiva univoca - prevale sul diritto alla riservatezza del soggetto, i cui dati siano resi necessari dalla necessità della tutela giudiziale dei propri diritti.
Tale principio va completato, nel senso che neppure occorre la previa pendenza di un procedimento in cui sia parte il soggetto che l'accesso ai dati abbia richiesto.
2.8. - In una lettura complessiva del sistema, una conferma delle esposte conclusioni si trova nella recente riforma della
materia.
Il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2-terdecies, comma 5 introdotto dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, art. 2, comma 1, lett.
f), ha espressamente affermato, in tema di diritti riferiti ai dati personali concernenti persone decedute, che essi
possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell'interessato o per ragioni familiari
meritevoli di protezione, salvo che (limitatamente all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione) l'interessato
lo abbia espressamente vietato con dichiarazione scritta: ma, "(fin ogni caso, il divieto non può produrre effetti
pregiudizievoli per l'esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell'interessato nonchè del diritto di difendere in giudizio i propri interessi".
2.9. - Il giudice, che sia stato adito ai sensi dell'art. 152 D.Lgs. cit., a fronte del rifiuto di ostensione, non ha il potere-
dovere di provvedere ad una valutazione preventiva in ordine alla fondatezza dell'azione che il richiedente intenda
intraprendere: onde, al riguardo, si palesa ultroneo il riferimento, operato dall'odierno ricorrente, alla non esperibilità o
infondatezza delle azioni prospettate dalla intimata ex art. 428 c.c. e art. 553 c.c. e ss..
Il solo controllo "in negativo", demandato al giudice del merito, sta nel verificare che non si tratti di un'istanza del tutto
pretestuosa, come allorchè il richiedente non vanti, neppure in astratto, una posizione di diritto soggettivo sostanziale,
che si ricolleghi all'esigenza di conoscenza dei dati per farlo valere.
Onde, a fronte di una pretesa come quella in esame, al giudice del merito compete solo di accertarne e riscontrarne la
plausibilità, in quanto essa non si presenti ictu oculi come manifestamente pretestuosa e già astrattamente
improponibile o inammissibile.
Ogni questione di merito, relativa alla fondatezza in concreto delle domande, oggetto delle cause giudiziarie prospettate
dal richiedente l'ostensione dei dati, va invece riservata al giudice del processo.
Ne deriva che non è dovuto, da parte del giudice adito D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 nè l'accertamento della
effettiva qualità di erede in capo al ricorrente (cfr. Cass. 19 luglio 2019, n. 19571, che, in tema di previdenza
complementare, nel caso di decesso dell'aderente in epoca antecedente alla maturazione del diritto alla prestazione, ha
ritenuto il diritto di riscatto riconosciuto dal D.Lgs. n. 289 del 2005, art. 14, comma 3, sorto direttamente in capo agli
eredi in virtù della previsione di legge: onde occorre, appunto, accertare quali soggetti siano divenuti eredi con
l'accettazione della eredità), nè lo stabilire se il beneficiario designato abbia acquistato un diritto proprio neppure entrato
nel patrimonio ereditario (come hanno ora ritenuto avvenire in caso di assicurazione in favore del terzo che devolva
l'indennizzo ai legittimi eredi: Cass., sez. un., 30 aprile 2021, n. 11421; v. già, in tema di contratto di assicurazione,
Cass. 15 ottobre 2018, n. 25635).
3. - In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:
"E' legittima l'ostensione dei dati del beneficiario della posizione previdenziale di un fondo pensione, allorchè il
richiedente alleghi l'interesse, concreto e non pretestuoso, ad intraprendere un giudizio nei confronti del soggetto in tal
modo designato dall'aderente al fondo, come allorchè la richiesta provenga dal legittimario del de cuius".
4. - Nulla sulle spese di lite, non svolgendo difese gli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti dell'obbligo
di versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto,
ove dovuto, per il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2021