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DNA prelevato senza formalità, è utilizzabile (Cass. 21835/24)

31 maggio 2024, Cassazione penale

Gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen, sicchè sulla loro base può essere affermata la responsabilità penale dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti: tale natura di prova piena, e non di mero elemento indiziario, deriva loro dall'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, che rende infinitesimale la possibilità di un errore, sicché sulla loro base può essere affermata la responsabilità dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti.

In tema di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA, che determinerebbe eventualmente la sua svalutazione indiziaria, non comporta l'inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità.

L'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sè, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell'art. 191 cod. proc. pen. Nè, ovviamente, possono assumere valore, ai fini del giudizio di responsabilità, ipotetiche incompletezze di una banca dati invece così ampia quale quella nazionale del DNA a disposizione delle forze di polizia, per l'illogico e fallace argomento, agitato dalla difesa, di una "specificità per eccesso di omogeneità" dell'etnia sinti cui l'imputato appartiene.

 

Corte di cassazione

Sez. V penale

Sentenza  21853 Anno 2024

Presidente: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

Relatore: BRANCACCIO MATILDE

Data Udienza: 27/02/2024 – deposito 31/05/2024

 

sul ricorso proposto da:

MR nato a ** il **/1968 avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di Romeo Maier in anni due e mesi otto di reclusione ed euro 490 di multa, confermando la sua condanna per il delitto di furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose e dall'aver cagionato un danno di rilevante gravità, oltre che dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale. La prova principale del processo è rappresentata dalle tracce ematiche ritrovate sulla scena del crimine, risultate compatibili con il DNA dell'imputato profilato alla banca dati delle forze di polizia.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di censura, che verranno enunciati nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge (artt, 192 e 533 cod. proc. pen.) e vizio di manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità del ricorrente, senza rispettare il canone valutativo dell'oltre ogni ragionevole dubbio, avuto riguardo alla prova indiziaria ed alla mancata rinnovazione della prova scientifica decisiva. Il ricorrente osserva che la prova costituita dalle tracce ematiche repertate all'interno dell'abitazione potrebbe essere stata contaminata, visto che, dalle fotografie in atti, relative alle operazioni di prelievo, risulta che esse sono state compiute a mani nude; inoltre, i reperti sono stati trasmessi il giorno dopo alla loro acquisizione e sono stati analizzati soltanto due anni dopo: tale circostanza, pur rappresentata dalla difesa nei suoi dubbi sulla "catena di custodia", non è stata tenuta in considerazione nelle motivazioni dei provvedimenti di merito. Infine, non sono stati resi noti i criteri metodologici che i RIS di Parma hanno utilizzato per analizzare i reperti inviati, tanto più che uno solo di essi è stato poi effettivamente analizzato (il reperto A); che non sono stati forniti i cd. elettroferogrammi (e cioè la rappresentazione grafica della sequenza del DNA estratto), necessari al fine di poter verificare la correttezza dei risultati delle analisi eseguite; che la genotipizzazione è stata eseguita soltanto su 15 loci piuttosto che sui 16 convenzionalmente utilizzati (ma in una tabella riepilogativa si riconduce al ricorrente anche l'ulteriore locus inizialmente eliminato).

I dati di contesto minano l'affidabilità della gravità indiziaria: mancano testimoni oculari; la villa del furto si trova in una zona facilmente accessibile, senza sistema di videosorveglianza e, nella notte in cui è stato commesso il reato, aveva una finestra lasciata aperta. Inoltre, la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con gli elementi difensivi che pongono dubbi sull'univocità e chiarezza della prova indiziaria, non tenendo in conto le osservazioni del consulente tecnico della difesa e le perplessità legate al metodo di ricerca utilizzato ed alla natura di "cold hit" ("colpo a freddo") del caso, vale a dire di abbinamento delle tracce ematiche repertate sulla scena del crimine ad un soggetto che, sino a quel momento, non era in alcun modo collegabile al delitto, In sintesi, la difesa reitera le ragioni già esposte in appello riguardo alla non infallibilità ed affidabilità della prova del DNA acquisita nel processo, ricercata su una banca dati di circa 55.000 profilazioni rapportate alla popolazione italiana, senza tener conto della etnia "sinti" dell'imputato, che determina una stretta vicinanza dei profili di appartenenza, trattandosi di nucleo sociale piuttosto chiuso.

2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione avuto riguardo: - alla mancata rinnovazione istruttoria richiesta dalla difesa per replicare le indagini genetiche ed emendarle dagli ipotizzati vizi metodologici nella ricerca del profilo genetico compatibile; - alla mancata acquisizione di una sentenza irrevocabile emessa in altro processo nei confronti del ricorrente, nella quale si era giunti all'assoluzione sul presupposto dell'inaffidabilità della prova del DNA, a causa degli errori nel repertamento delle tracce ematiche.

3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta.

3.1. Il ricorrente ha depositato memoria di replica e conclusioni scritte con le quali critica le conclusioni del PG, ribadendo le ragioni di fondatezza del proprio ricorso, prima ancora che di ammissibilità dei motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il ricorso si rivela come la prospettazione alternativa di una tesi opposta a quella della colpevolezza del ricorrente e riscrive con diffusione dettagli probatori che si contestano come sottovalutati oppure omessi oppure travisati ed equivocati, proponendo una complessiva rilettura degli elementi di fatto posti alla base dell'affermazione di responsabilità. I motivi formulati, peraltro, si atteggiano come reiterativi di analoghi argomenti difensivi, sui quali già si è espressa la Corte d'Appello, con loro piena risoluzione. Al riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte regolatrice ritiene che siano precluse al giudice di legittimità - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Non sono deducibili, infatti, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre una diversa conclusione al processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965).

2.1. In particolare, l'argomento difensivo contenuto nel primo motivo di ricorso, sintetizzabile in una denuncia di inaffidabilità della prova scientifica del DNA su cui si basa l'accusa, è inammissibile, oltre che per la sua formulazione secondo schemi di censura rivalutativi delle prove in atti, adeguatamente verificate dal provvedimento impugnato, anche per la sua genericità e strutturazione dubitativa, esplorativa. In sintesi, il ricorrente espone una serie di asserite "manchevolezze formali" delle modalità di raccolta ed esame del campione ematico, senza neppure essere sicuro della circostanza che tali fattori abbiano inciso sull'affidabilità dei risultati di prova.

Prova che ha accertato, invece, con doppia perizia comparativa sul DNA dell'imputato (inizialmente ritrovato nella banca dati nazionale e, quindi, ripetuto mediante prelievo diretto) e su quello estratto dalle tracce ematiche ritrovate sulla scena del crimine, che il profilo del ricorrente fosse esattamente corrispondente a quello del soggetto che aveva calcato i luoghi teatro del furto. La doppia perizia è stata disposta dal primo giudice proprio per rispondere alle sollecitazioni difensive relative ai dubbi sulle indagini scientifiche condotte dai RIS e, in particolare, sulle modalità di repertazione delle tracce ematiche e sull'affidabilità della banca dati di comparazione.

La denuncia di "contaminazione" del reperto ematico è, poi, palesemente assertiva e di parte, non trovando fondamento in dati reali noti nel processo e coincide con le richiamate manchevolezze formali: la sentenza impugnata (alla pagina 5 in particolare) ha spiegato esattamente l'affidabilità del risultato delle indagini dei RIS, tratta dagli accertamenti peritali, anche a confutazione della consulenza tecnica depositata dalla difesa.

In proposito, basti rammentare, anzitutto, che gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen, sicchè sulla loro base può essere affermata la responsabilità penale dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti (Sez. 2, n. 43406 del 01/06/2016, Syziu, Rv. 268161). Tale natura di prova piena, e non di mero elemento indiziario, deriva loro dall'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, che rende infinitesimale la possibilità di un errore, sicché sulla loro base può essere affermata la responsabilità dell'imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti (Sez. 2, n. 38184 del 06/07/2022, Cospito, Rv. 283904; Sez. 1, n. 48349 del 30/6/2004, Rizzetto, Rv. 231182).

Le affermazioni consolidate appena evocate sgombrano il campo dall'obiezione difensiva preliminare, collegata alla circostanza che la prova del DNA costituisca l'unico elemento d'accusa che ricolleghi il ricorrente al delitto ed all'affermazione di responsabilità "oltre ogni ragionevole dubbio": la sentenza d'appello si è mossa nel solco di una giurisprudenza incontrastata, secondo cui l'elevata affidabilità tecnica dell'accertamento del DNA chiude spazio a qualsiasi obiezione circa la sua valenza di prova, dunque anche di "unica" prova.

Il fatto che null'altro, tranne la traccia ematica repertata sulla scena del delitto subito dopo la sua scoperta, ricolleghi il ricorrente al furto amplifica e non diminuisce la portata della prova relativa alla sua identificabilità come autore del reato: non vi erano ragioni plausibili della sua presenza nell'abitazione da cui sono stati sottratti beni per circa 55.000 euro. In ogni caso, deve ribadirsi che, in tema di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA, che determinerebbe eventualmente la sua svalutazione indiziaria (cfr. Sez. 5, n. 36080 del 2015 e Sez. 2, n. 38184 del 2022, Rv. 283904-04, cit.), non comporta l'inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità (Sez. 6, n. 15140 del 24/2/2022, Neagu, Rv. 283144, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva attribuito all'imputato l'utilizzo del guanto da cui era stato estratto il DNA, pur se il prelievo non era avvenuto con guanti sterili, stante la mancanza sul supporto di tracce riferibili a soggetti diversi).

Anche nel caso che riguarda il ricorrente, non vi sono elementi per trarre alcun dubbio circa il fatto che l'asserita inosservanza di alcune regole cautelari nel prelievo del campione ematico (si deduce che gli operatori non avessero i guanti nel corso del prelievo e della repertazione), né tantomeno la distanza di tempo tra il prelievo e l'analisi, abbiano prodotto danni sulla affidabilità tecnico-scientifica della traccia repertata a fungere da elemento comparativo, stante la sua accertata chiarezza e l'assenza di echi inquinanti. D'altra parte, le Sezioni Unite, nella nota sentenza Sez. U, n. 5021 del 27/3/1996, Sala, Rv. 204644, sebbene per la diversa questione delle ricadute di una perquisizione illegittima sull'utilizzabilità del sequestro di cose pertinenti a reato, hanno stabilito un criterio di orientamento generale: l'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sè, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell'art. 191 cod. proc. pen. Nè, ovviamente, possono assumere valore, ai fini del giudizio di responsabilità, ipotetiche incompletezze di una banca dati invece così ampia quale quella nazionale del DNA a disposizione delle forze di polizia, per l'illogico e fallace argomento, agitato dalla difesa, di una "specificità per eccesso di omogeneità" dell'etnia sinti cui l'imputato appartiene.

2.2. Sono inammissibili anche le denunce difensive riferite al mancato espletamento di un'ulteriore perizia in appello, essendo stata già esclusa l'utilità di procedere ad altro accertamento tecnico (che sarebbe stato il terzo in ordine di tempo) dal perito nominato dal Tribunale, come ha ricordato la sentenza impugnata.

2.3. In conclusione, la pronuncia d'appello si rivela immune da vizi interpretativi di sorta, poiché ha applicato nella sentenza impugnata, costituente una c.d. doppia conforme con la pronuncia di primo grado, le elaborazioni della giurisprudenza di legittimità appena richiamate, inserendole in un'architettura motivazionale adeguata e coerente con i risultati della prova.

3. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000

P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27 febbraio 2024.