La connivenza non punibile richiede che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre il concorso nel reato richiede un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 18 gennaio – 7 giugno 2019, n. 25310
Presidente Aceto – Relatore Liberati
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18 giugno 2018 la Corte d’appello di Milano, provvedendo sulla impugnazione proposta da N.P. e B.M.C. nei confronti della sentenza del 15 dicembre 2017 del Tribunale di Milano, con cui, a seguito di giudizio abbreviato, gli stessi erano stati dichiarati responsabili del reato di cui all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, (per avere detenuto in concorso tra loro e a fine di spaccio 52 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con un quantitativo di principio attivo di 38,36 grammi, corrispondente a 255 dosi medie singole, in (omissis) ), e la B. era stata condannata alla pena di sei anni di reclusione e 20.000,00 Euro di multa, con la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale durante l’esecuzione della pena, ha eliminato tale sanzione, confermando nel resto la condanna della B. .
Nel disattendere le altre doglianze della appellante la Corte territoriale ha escluso che nella sua condotta fosse ravvisabile una mera connivenza non punibile, ritenendola partecipe della detenzione della droga che uno degli occupanti l’automobile condotta dalla imputata, seduto sul sedile posteriore, teneva in grembo in una busta in cellophane, che consentiva di vedere il colore bianco della sostanza, affermandone, alla luce di tali circostanze, oltre che della mancanza di altre giustificazioni della presenza degli altri due imputati a bordo della automobile della imputata, la piena partecipazione alla detenzione di tale sostanza.
2. Avverso tale sentenza quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due articolati motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato la violazione e l’erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 114 c.p., comma 1, e art. 530 c.p.p., e l’insufficienza e della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) et e), con riferimento alla affermazione della propria responsabilità, in quanto nella condotta contestatale avrebbe potuto essere ravvisata solamente una connivenza non punibile e, in ogni caso, le modalità del fatto facevano residuare un ragionevole dubbio in ordine alla propria partecipazione alla condotta, che avrebbe dovuto condurre, correttamente applicando il canone di giudizio di cui all’art. 530 c.p.p., alla assoluzione, in quanto non vi era alcuna propria condotta che consentisse di ricollegarla alla detenzione della sostanza stupefacente, essendo stata fermata dalla polizia giudiziaria mentre era alla guida della automobile, attività indipendente rispetto alla detenzione della droga rinvenuta su tale automobile, della cui presenza non era certo che la ricorrente fosse consapevole, con la conseguente insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestatole.
Ha lamentato anche l’indebita e ingiustificata esclusione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., mancando un significativo apporto della ricorrente alla detenzione della sostanza stupefacente.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., e l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) et e), con riferimento alla indebita e ingiustificata esclusione delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, la cui conferma era stata giustificata dalla Corte d’appello con motivazione insufficiente, essendo stata ritenuta "equa ed adeguata al caso", senza considerare la condizione di tossicodipendente della ricorrente.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. Il primo motivo, mediante il quale sono state lamentate la violazione e l’erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e art. 530 c.p.p., e l’insufficienza della motivazione, nella parte relativa alla conferma della affermazione della partecipazione consapevole della ricorrente alla detenzione della droga custodita da un terzo trasportato a bordo della automobile condotta dalla ricorrente medesima, nonché in riferimento alla esclusione della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 114 c.p., comma 1, non è fondato.
Tale doglianza, oltre che appuntarsi nei confronti di accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, non tiene conto di quanto evidenziato, a proposito della piena e consapevole partecipazione della ricorrente alla detenzione della sostanza stupefacente, nelle sentenze di primo e secondo grado, che, essendo di segno conforme, costituiscono un unico corpo argomentativo e si integrano reciprocamente (cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; conf. Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615).
Nella sentenza di primo grado è, infatti, stato evidenziato che in occasione del controllo eseguito dalla polizia giudiziaria la B. era alla guida del veicolo sul cui sedile anteriore, al suo fianco, si trovava il coimputato R.B. (giudicato separatamente), che teneva in grembo una busta trasparente di cellophane, contenente sostanza pulviscolare di colore bianco, poi risultata essere cocaina con una percentuale di principio attivo del 78,92%; il Tribunale ha, poi, giudicato inattendibili le dichiarazioni della B. , che aveva dichiarato di essere all’oscuro della detenzione della droga da parte del R. , sottolineandone analiticamente l’imprecisione, l’inverosimiglianza e la palese divergenza con quelle del coimputato (circa la destinazione finale del tragitto del tragitto intrapreso con il veicolo condotto dalla ricorrente), traendone, in modo logico, sia l’esistenza di un accordo per il trasporto in concorso della sostanza stupefacente detenuta materialmente in grembo da R. (che era seduto a fianco della B. ), volto a soddisfare, seppure in forma diversa, interessi comuni dei concorrenti legati allo spaccio e al consumo di sostanze stupefacenti, sia la piena e consapevole partecipazione della ricorrente a tale condotta, desunta dalla messa a disposizione della propria automobile per il trasporto dello stupefacente verso la destinazione finale di cessione della partita di droga, anche in considerazione dell’inserimento della B. nell’ambiente del traffico illecito di stupefacenti, desunto dalla sua precedente condanna per un fatto analogo.
Tali considerazioni, pienamente idonee a giustificare l’affermazione del concorso della ricorrente nel trasporto della sostanza stupefacente sequestrata a bordo della automobile che stava conducendo, sono stati recepite e ribadite dalla Corte d’appello, che ha sottolineato anche la parziale ammissione del coimputato R.B. in ordine alla consapevolezza della B. del contenuto della busta in cellophane che egli custodiva in grembo.
Ne consegue, stante la piena adeguatezza del complesso argomentativo delle sentenze di primo e di secondo grado e la idoneità degli elementi giustificativi nelle stesse sottolineati, l’infondatezza dei rilievi sollevati dalla ricorrente, sia quanto alla mancanza di elementi per poter addivenire alla affermazione della sua consapevole partecipazione al trasporto della droga, sia quanto alla configurabilità di una mera connivenza non punibile e della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1.
La connivenza non punibile postula, infatti, che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre il concorso nel reato richiede un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rapushi, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/20:15, Caradonna, Rv. 264454; Sez. 4, n. 4055 del 12/12/2013, Benocci, Rv. 258186; Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, Grosu, Rv. 258953), cosicché nel caso in esame del tutto correttamente è stata affermata la configurabilità del concorso della B. , stante la sua accertata consapevole partecipazione al trasporto della droga, ed è stata esclusa che nella sua condotta fosse ravvisabile una mera connivenza non punibile.
Tale partecipazione non è stata, poi, del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (cfr. Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 09/01/2013, Modafferi, Rv. 254051), in quanto la messa a disposizione del proprio veicolo per il trasporto della droga, nella consapevolezza di quanto trasportato e anche della destinazione finale dello stupefacente, non può essere considerata secondaria o marginale nella realizzazione della condotta di trasporto illecito contestata, essendo decisiva nell’economia del proposito criminoso, con la conseguenza che correttamente è stata esclusa la configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., comma 1.
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza della censura, sotto tutti i vari i profili in cui la stessa è stata articolata.
3. Del pari infondato risulta il secondo motivo di ricorso, mediante il quale sono state lamentate l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena.
La doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è infondata, in quanto la Corte territoriale, attraverso la sottolineatura della gravità del fatto (desunta dal quantitativo di sostanza stupefacente e dalla percentuale di purezza della stessa) e della negativa personalità dell’imputata (in considerazione delle sue precedenti condanne, tra cui una per reato della stessa specie), ha dato conto, sia pure sinteticamente, degli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 c.p., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputata.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p., non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive (peraltro, nel caso in esame, prive di adeguata specificità), a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
La misura della pena è stata confermata ritenendola adeguata al caso concreto: si tratta di motivazione sintetica che, tuttavia, può essere ritenuta sufficiente in considerazione delle censure formulate sul punto con l’atto d’appello, mediante le quali l’imputata aveva chiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la riduzione della pena in considerazione del buon comportamento processuale e della attendibilità della versione dei fatti fornita, oltre che del fatto di essere madre di un minore: si tratta di doglianze prive di specifico confronto, tantomeno critico, con le ragioni poste dal Tribunale a fondamento della determinazione della pena (consistenti nella gravità della condotta e nella esistenza di precedenti specifici a carico della B. ), che, quindi non richiedevano una analitica confutazione da parte della Corte d’appello, con la conseguente sufficienza della motivazione censurata dalla ricorrente.
4. Il ricorso in esame deve, in conclusione, essere respinto, stante l’infondatezza di entrambi i motivi cui è stato affidato.
Al rigetto del ricorso consegue, l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.