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Elezione di domicilio inidonea consente rescissione del giudicato? (Cass. 15882/22)

26 aprile 2022, Cassazoine penale

La dichiarazione od elezione di un domicilio rivelatosi  inidoneo potrà essere intesa quale espediente per sottrarsi al processo, ad esempio, nel caso in cui l'interessato abbia scientemente indicato un recapito inesistente, inveritiero o inadeguato, per l'impossibilità di reperirvi lui stesso od altre persone legittimate alla ricezione; non potrà dirsi tale, invece, per il sol fatto che l'imputato abbia soltanto dimenticato di comunicare, magari a distanza di anni dalla relativa dichiarazione od elezione, un sopravvenuto mutamento di domicilio.

Si tratta, all'evidenza, di questione da risolversi sul piano della prova, in ragione delle peculiarità del caso concreto, dalle quali poter desumere la dimostrazione logica dell'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato.

L'art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen., al pari del precedente art. 420-bis, comma 4, dà rilevanza alla mancata conoscenza del «processo», con ciò presupponendo la formalizzazione di un'accusa ed il deferimento a giudizio dell'interessato.

  

Corte di Cassazione

Sez. 6 penale Num. 15882 Anno 2022
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: ROSATI MARTINO
Data Udienza: 16/03/2022 - deposito 26 aprile 2022

 SENTENZA

sul ricorso proposto da
D Amelia, nata a Tricase (LE) il 18/07/1957
avverso l'ordinanza del 26/10/2021 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati.

RITENUTO IN FATTO

1. Attraverso il proprio difensore e procuratore speciale, AD
impugna l'ordinanza della Corte di appello di Roma del 26 ottobre scorso, che ha respinto la richiesta di rescissione del giudicato di condanna di cui alla sentenza emessa da quella Corte nei suoi confronti il 12 luglio 2019, divenuta irrevocabile il successivo 26 novembre, nell'àmbito del procedimento contrassegnato dal n. 58973/12 r.g.n.r. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma.


2. Secondo quel che riesce ad evincersi dal provvedimento impugnato e dal ricorso, entrambi non proprio chiarissimi, da un unico alterco violento intercorso tra costei e tale DF, sarebbero scaturiti tre procedimenti penali: uno, originato dalla querela sporta da lei e contrassegnato dal n. 2661/12 r.g.n.r.; altri due, da altrettante querele del DF, iscritti ai nn. 58973/12 e 997/13 r.g.n.r..

Dal n. 58973/12, a sèguito di separazione, sarebbe poi sorto il n. 6827/13 r.g.n.r., successivamente riunito in fase dibattimentale a quello nato dalla querela della D (ovvero il n. 2661/12). Il processo, così unificato, si sarebbe concluso con reciproche remissioni di querele; mentre il n. 58973/12 sarebbe proseguito per entrambi i gradi di merito, nell'assenza dell'imputata D, sino alla pronuncia di cui si chiede la rescissione, divenuta definitiva per omessa impugnazione.

Tutte le relative notifiche sarebbero state effettuate al suo difensore, a norma dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., essendo ella risultata non più rintracciabile al domicilio dichiarato. Peraltro, a seguito della rinuncia al mandato
da parte del difensore di fiducia, formalizzata il 7 ottobre 2015 alla prima udienza del giudizio di primo grado, la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello sarebbe stata effettuata, sempre in base alla medesima disposizione normativa, al difensore di ufficio.

3. E' indiscusso che il 3 dicembre 2012, convocata presso un ufficio di polizia per l'identificazione, su delega del Pubblico ministero, a seguito della denuncia- querela per lesioni, ingiurie e calunnia sporta dal DF, l'odierna ricorrente abbia in quella sede dichiarato il proprio domicilio (Roma, via Monteroduni, n. 77) ed abbia nominato un difensore di fiducia (avv. S).

E' sulla base di tale dichiarazione di domicilio, successivamente divenuto inidoneo e senza alcuna comunicazione di variazione, che le successive notifiche sono state effettuate al suo difensore, a norma del citato art. 161, comma 4.

Osserva la Corte d'appello nel provvedimento impugnato che la nomina del difensore non si riferisce ad un determinato procedimento o ad una specifica autorità giudiziaria, sicché essa ha valore «per i procedimenti incardinati in relazione ai fatti cui la stessa nomina si riferisce».

Inoltre, valorizza la circostanza per cui il difensore da costei nominato abbia avuto sicura conoscenza del procedimento n. 58973/12, in quanto: a) la nomina è stata fatta dinanzi alla polizia giudiziaria, quindi dopo essere stata l'interessata edotta della sua qualità d'indagata; b) il decreto che ha disposto il giudizio è stato a lui notificato; c) nell'avviso di rinuncia al proprio mandato, da lui trasmesso alla D presso un domicilio diverso da quello dichiarato e divenuto inidoneo, vi è un espresso riferimento a quel procedimento.

Sulla base di tali elementi, dunque, i giudici distrettuali escludono che l'eventuale mancanza di conoscenza del processo da parte dell'istante possa considerarsi incolpevole.

4. Il ricorso denuncia violazioni di legge e vizi di motivazione, rilevando, in sintesi:
a) che l'affermazione per cui la nomina di un difensore non si riferisca ad un determinato procedimento o ad una specifica autorità giudiziaria, ma abbia  valore «per i procedimenti incardinati in relazione ai fatti cui la stessa nomina si riferisce», costituisce una contraddizione in termini e, comunque, è giuricamenteerrata;
b) che, in occasione della dichiarazione di domicilio del 3 dicembre 2012, la D non è stata specificamente informata dell'indagine a suo carico, non contenendo l'atto alcuna indicazione di r.g.n.r., di titolo del reato o di autorità giudiziaria procedente, talché ella non aveva contezza del proprio dovere di comunicare eventuali variazioni di domicilio;
c) che tanto si evince anche dal fatto che, nel marzo del 2013, ella ha effettuato un'ulteriore nomina, con dichiarazione del medesimo domicilio e con procura speciale per la remissione di querela, nella convinzione di chiudere in tal modo ogni procedimento scaturito dalla lite col DF;
d) che ella non ha mai personalmente ricevuto notizia certa del processo a suo carico, essendo stati tutti gli atti notificati ai suoi difensori, e quelli relativi al giudizio di appello addirittura ad un avvocato d'ufficio, col quale non ha avuto alcun contatto;
e) non v'è prova che ella abbia avuto conoscenza neppure della rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, essendo stata la relativa missiva notificata ad un indirizzo diverso da quello da costei dichiarato e non ricevuta da le personalmente, bensì da soggetto di cui non sono specificati l'identità e la qualità;
f) che manca qualsiasi motivazione sulla concorrente istanza di rimessione in termini per l'impugnazione della sentenza.


5. Tali circostanze e le correlate doglianze sono state ribadite dalla difesa con memoria scritta, trasmessa in cancelleria per via telematica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita di essere accolto.

2. Al di là del dubbio significato dell'affermazione per cui un mandato difensivo debba avere effetto per tutti «i procedimenti incardinati in relazione ai fatti cui la stessa nomina si riferisce», dal momento che la nomina di un difensore non può essere correlata ad un fatto ma ad un procedimento giudiziario scaturente da esso, anche soltanto in via eventuale e potenziale, va rilevato, anzitutto, che tale valenza - per così dire - omnibus dell'incarico conferito al difensore comunque non si riverbera sull'eventuale dichiarazione od elezione di domicilio, ancorché materialmente contenuta in un unico atto. Per giurisprudenza di legittimità costante, oltre che coerente all'esigenza di effettività del diritto di difesa, l'elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci, infatti, unicamente nell'ambito del procedimento nel quale sono state effettuate (Sez. 2, n. 37479 del 14/05/2019, Costanzo, Rv. 277041; Sez. 5, n. 28691 del 13/06/2013, Tognetti, Rv. 256533; Sez. 6, n. 49498 del 15/10/2009, Santise, Rv. 245650).


3. Nella materia, poi, la Corte di cassazione ha già avuto modo di fissare il principio generale per cui l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" (Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716; principio ribadito da Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420).

E, nel solco di tale arresto, con specifico riferimento ad un'ipotesi del tutto analoga a quella in rassegna, è stato specificato che, in tema di rescissione del giudicato, l'effettiva conoscenza non può desumersi dalla mera dichiarazione od elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando ad essa non sia seguita la notifica dell'atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorché a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l'atto: ciò in quanto la notifica della vocatio in iudicium effettuata ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., in quanto eseguita in luogo diverso dal domicilio indicato, non consente di ritenere la sicura conoscenza del processo da parte dell'imputato (Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Cappelli, Rv. 279680; in termini, Sez. 6, n. 43140 del 19/09/2019, Shimi, Rv. 277210, e, più di recente, Sez. 6, n. 3929 del 13/12/2021, dep. 2022, Bellomo).

L'art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen., infatti, al pari del precedente art. 420-bis, comma 4, dà rilevanza alla mancata conoscenza del «processo», con ciò presupponendo la formalizzazione di un'accusa ed il deferimento a giudizio dell'interessato.

Nel rispetto delle fonti sovranazionali, così come interpretate dalle competenti Corti (Corte EDU, sentenza 18/05/2004, Somogyi c. Italia; sentenza 10/11/2004, Sejdovic c. Italia), ma anche come recepite nel nostro ordinamento (ad esempio, l'art. 19, legge n. 69 del 2005, in tema di mandato d'arresto europeo), la mancata conoscenza del processo da parte dell'imputato non osta alla celebrazione dello stesso soltanto quando egli si sia ad essa deliberatamente sottratto.

 Solo in questo caso, infatti, quel difetto di conoscenza potrà reputarsi «colpevole», come il predetto art. 629-bis richiede per escludere la possibilità di rescissione del giudicato (o l'art. 420-bis per superare le decadenze probatorie verificatesi nel processo); non anche, invece, qualora esso sia ascrivibile ad una condotta  semplicemente negligente di costui.
Ne consegue, per l'ipotesi - che qui interessa - della dichiarazione od elezione di domicilio, che la stessa potrà essere intesa quale espediente per sottrarsi al processo, ad esempio, nel caso in cui l'interessato abbia scientemente indicato un recapito inesistente, inveritiero o inadeguato, per l'impossibilità di reperirvi lui stesso od altre persone legittimate alla ricezione.

Non potrà dirsi tale, invece, per il sol fatto che l'imputato abbia soltanto dimenticato di comunicare, magari a distanza di anni dalla relativa dichiarazione od elezione, un sopravvenuto mutamento di domicilio.

Si tratta, all'evidenza, di questione da risolversi sul piano della prova, in ragione delle peculiarità del caso concreto, dalle quali poter desumere la dimostrazione logica dell'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato.

4. La relativa indagine non può che essere devoluta al giudice di merito.
E' tuttavia opportuno precisare, sin d'ora, che nessuna rilevanza può essere assegnata agli elementi valorizzati dalla Corte d'appello per ritenere dimostrata la conoscenza del processo da parte dell'allora difensore di fiducia della ricorrente, poiché quel che qui conta è che il processo sia noto all'imputato e non soltanto al suo difensore.


Né può essere decisiva, al medesimo fine, l'avvenuta rinuncia del difensore al mandato fiduciario ricevuto, con l'indicazione specifica, nel relativo atto, anche del presente processo: anche la concludenza di tale dato, infatti, dev'essere verificata alla luce dell'allegazione - non verificabile da questa Corte - per cui la relativa raccomandata non sarebbe stata ricevuta personalmente dall'imputata.


E' compito del giudice di merito, dunque, accertare compiutamente quanto accaduto, traendone le conseguenze nel rispetto degli indicati princìpi di diritto.
L'ordinanza impugnata dev'essere perciò annullata con rinvio.

P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2022