La coltivazione domestica di marijuana, considerata lecita da molti giudici di merito e da alcune sentenze della Cassazione, nonostante le contrastanti interpretazioni giurisprudenziali precedenti al revirementdelle SS.UU. del maggio 2008 non può essere scriminata dall'errore di diritto scusabile (art. 5 c.p. e sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale).
Vedi anche: La non punibilità della coltivazione di marijuana
TRIBUNALE DI ROVERETO, SENTENZA 25 FEBBRAIO - 3 MARZO 2010, N. 30
Il Giudice dell'udienza preliminare dott. Riccardo Dies all'udienza del 25.02.2010 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
- art. 442 c.p.p.
- nei confronti di:
B.G. nato il (omissis) a Trento res. ed elett.te dom.to in Rovereto - via d.Z. LIBERO - PRESENTE
assistito e difeso dall'avv. NICOLA CANESTRINI del Foro di Rovereto- di fiducia
imputato
del reato p. e p. dall'art. 73 comma 1 DPR 309/90 perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, coltivava n. 7 piante di cannabis e produceva gr. 3.038 di sostanza stupefacente del tipo marijuana avente un principio attivo medio del 5% pari a mg. 150.978. In Rovereto, fino al 21 novembre 2009
Con l'intervento del PM, dott. Rodrigo Merlo e del difensore, Avv. Nicola Canestirni. Le parti hanno concluso come segue: il PM chiede la condanna dell'imputato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.400,00 di multa; il difensore chiede l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato o, comunque, per difetto di colpevolezza a norma dell'art. 5 c.p.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di richiesta di rinvio a giudizio del PM del 18.01.2010, con decreto dd. 20.01.2010 veniva fissata l'udienza preliminare del 25.02.2010, il cui avviso veniva regolarmente notificato all'imputato e al difensore. All'udienza indicata, svoltasi in presenza dell'imputato, il difensore avanzava richiesta di rito abbreviato condizionato alla produzione di documenti. Ammesso il rito speciale, l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni e, all'esito, le parti concludevano come da verbale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene questo Giudice che accertata è la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, emergendo in modo inequivoco la prova della sussistenza del reato medesimo.
La prova si fonda sugli atti di indagine contenuti nel fascicolo del PM, che consentono di ritenere accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, il fatto nei termini che seguono.
A seguito della scoperta che sui margini del fiume Adige, in territorio del Comune di Rovereto, all'interno di un boschetto, mimetizzate tra i cespugli, vi erano 7 piante di "cannabis" alte circa 3 metri, chiaramente oggetto di coltivazione, essendo potate e legate con lacci di spago, per una loro migliore occultazione, nel novembre del 2009 fu organizzato un servizio di appostamento, onde individuare il soggetto responsabile. Alle ore 12.55 circa del 21.11.2009 veniva avvistato l'odierno imputato che, con una forbice di colore arancione, iniziava a potare le infiorescenze ancora presenti su queste piante. Si procedeva, pertanto, al sequestro delle piante e delle forbici (cfr. documentazione fotografica).
A seguito di una perquisizione domiciliare eseguita presso la sua abitazione, in via d.Z., venivano ulteriormente rinvenuti numerosi mazzetti di varie dimensioni di canapa essiccata, rametti in fase di essicazione, semi di canapa ed un trita marijuana. Anche questo materiale veniva posto sotto sequestro.
Dalla consulenza tecnica del PM in atti emerge che il totale di marijuana rinvenuto é di grammi 3.038,00 con un principio attivo medio del 5%, pari a mg. 150.978 che consentiva di ricavare 6.039 dosi medie giornaliere.
Questa versione dei fatti non è minimamente contestata dalla difesa e dallo stesso imputato, il quale a mezzo di spontanee dichiarazioni rese all'udienza preliminare, ha espressamene confessato di aver coltivato le piante di canapa in questione, precisando tuttavia, da un lato, che la condotta era finalizzata ad un suo elusivamente personale e terapeutico, dal momento che soffre da tempo di epatite e, dall'altro che era convinto che in tali casi si trattasse di condotta penalmente lecita.
A conforto di queste indicazioni la difesa ha prodotto una certificazione del SERT di Trento dd. 03.02.2010, in base alla quale risulta che l'imputato è conosciuto dal servizio dal marzo 1980, sulla base di una diagnosi di dipendenza da oppiacei, che è stato in comunità terapeutica sino al settembre del 1991, senza poi richiedere altri interventi terapeutici, salvo un trattamento psicologico attivato nel 2006 a seguito del suicidio della compagna, oltre che un'attività di monitoraggio medico in relazione ad un quadro clinico di epatopatia cronica, dal giugno 2008.
Tali essendo le emergenze dell'istruttoria dibattimentale svolta ed in mancanza di un qualsiasi elemento probatorio a discarico, deve ritenersi accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, che effettivamente l'imputato ha coltivato le piante di marijuana sotto sequestro ed oggetto dell'imputazione. Nessun dubbio può sussistere che era proprio l'imputato a coltivare le piante in questione, alla luce dell'esito del servizio di appostamento e delle stesse dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di spontanee dichiarazioni.
Tali essendo gli estremi del fatto accertato, può ritenersi comprovata l'integrazione del reato contestato, ricorrendo tutti gli estremi sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Non vi è dubbio infatti che l'imputato abbia dolosamente coltivato piantine di marijuana, sostanza stupefacente rientrante nella tabella II allegata al d.P.R. n. 309 del 1990, così venendo ad integrare il reato p. e p. dall'art. 73, comma 1 d.P.R.
Ai fini dell'integrazione del reato appare irrilevante la destinazione della sostanza stupefacente all'uso esclusivamente personale, allegata dalla difesa.
Infatti, va osservato che l'art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990 esclude l'illiceità penale del fatto, in caso di uso esclusivamente personale, solo per le condotte di detenzione, importazione ed acquisto, non anche per la condotta di coltivazione, con la conseguenza che il reato previsto dall'art. 73, comma 1 deve ritenersi integrato anche nel caso in cui la coltivazione sia finalizzata ad esclusivo uso personale, come del resto ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione assolutamente prevalente, la quale ha rilevato come il diverso trattamento riservato trova ragionevole giustificazione nel fatto che la coltivazione, a differenza della mera detenzione o acquisto, accresce il pericolo di circolazione e diffusione delle sostanze stupefacenti, attentando al bene della salute con incremento delle occasioni di spaccio (cfr., tra le tante, Cass., 10 giugno 2005, n. 22037 e Cass., 6 febbraio 2004, n. 4836).
Del resto le condotte indicate nel primo comma dell'art. 73 cit. sono ritenute di per sé illecite o perché naturalmente implicanti la circolazione o cessione dello stupefacente a terzi (vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo) o perché, appunto, aumentano la quantità disponibile sul mercato e, pertanto, indirettamente ne agevolano la diffusione (coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina). Da questo punto di vista è evidente che la condotta di coltivazione deve essere equiparata alla condotta di produzione, fabbricazione, estrazione e raffinazione. Pertanto, come si deve condannare chi produce sostanze stupefacenti a prescindere dalla destinazione della sostanza prodotta, così deve avvenire anche per chi le coltivi.
Le contrarie indicazioni contenute in un'innovativa giurisprudenza della Cassazione, in base alla quale sarebbe punita solo la coltivazione in senso tecnico-agrario, ovvero imprenditoriale, e non anche la coltivazione domestica (cfr. Cass. 06.11.2007, nr. 40712; Cass. 19.11.2007, nr. 4265 e Cass., 18.01.2007, nr. 17983), non può essere condivisa essendo contrastante col dato normativo e risulta, comunque, superata dai più recenti arresti (cfr. Cass., 10.01.2008, nr. 871 e Cass., 13.02.2008, nr. 6758).
L'interpretazione sopra riferita è stata definitivamente avvallata dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 24.04.2008 nr. 2805, intervenuta per dirimere il contrasto venutosi a creare (rv 239920 e in Cass. pen., 2008, 12, 4503), secondo la quale "costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale", con l'unico limite, chiaramente non sussistente nel caso di specie alla luce della consulenza tossicologica in atti, del caso in cui le piante coltivate non consentano di ricavare sostanza stupefacente in grado di produrre effetto drogante, integrandosi in tal caso la fattispecie del reato impossibile, a norma dell'art. 49 c.p., per inidoneità della condotta.
D'altra parte va pure osservato, in fatto, che la quantità di sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dell'imputato, di oltre 3 kg., assai difficilmente può essere considerata destinata ad un uso esclusivamente personale, se si considera che consentiva il confezionamento di oltre 6.000 dosi medie droganti, come attestato dalla consulenza in atti. Un simile quantitativo rende del tutto concreto il pericolo che, almeno in parte, la sostanza stupefacente in questione sia ceduta a terzi e ciò anche a voler considerare il rilevante fabbisogno quotidiano dell'imputato, anche quale preteso trattamento terapeutico.
La difesa invoca l'ulteriore motivo di assoluzione rappresentato dal difetto di colpevolezza per errore scusabile sulla legge penale, a norma dell'art. 5 c.p. Si sostiene che se sono dovute intervenire persino le Sezioni Unite per dirimere il contrasto interpretativo, si deve necessariamente ritenere giustificato l'errore del privato che ha ritenuto lecita penalmente la condotta di coltivazione di sostanza stupefacente finalizzata ad un uso esclusivamente personale.
La tesi difensiva è manifestamente infondata, sia in fatto che in diritto.
In fatto già si è visto che non può ritenersi che l'attività di coltivazione oggetto della presente decisione fosse destinata esclusivamente ad un uso personale, in ragione della quantità di sostanza stupefacente prodotta, incompatibile con questa conclusione. Non solo, ma le stesse modalità della coltivazione posta in essere dall'imputato, in un campo di proprietà pubblica, nei pressi del margine del fiume Adige, all'interno di un boschetto e con modalità tali da occultare le piante di canapa, mediante opportune legature con spago, rende evidente come l'imputato fosse pienamente consapevole di compiere un'attività lecita, dal momento che ha accuratamente evitato di porla in essere alla luce del sole e ha adottato specifiche cautele per occultarla ed escludere che potesse essere a lui riferibile.
In diritto va osservato che la condotta di coltivazione contestata all'imputato risale al novembre del 2009 e, pertanto, non può invocarsi il contrasto di giurisprudenza della Cassazione per ritenere incolpevole l'errore sulla legge penale, dal momento che detto contrasto è stato definitivamente risolto con la pronuncia delle Sezioni Unite dell'aprile del 2008, sopra citata, alla quale è stato dato amplissimo risalto sugli organi di comunicazione di massa.
L'eventuale errore dell'imputato, anche ammesso che sussista in fatto, andrebbe pertanto necessariamente qualificato come colpevole ed ingiustificato, con conseguente possibilità di ravvisare il dolo necessario all'integrazione del reato, con esclusivo riferimento all'atteggiarsi della volontà in ordine agli elementi del fatto e senza che possa assumere alcun rilievo l'inconsapevolezza dell'illiceità penale della condotta in forza di un errore di diritto.
Circa la determinazione concreta della pena, valutati i criteri tutti di cui all'art. 133 c.p., concessa la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, operata la riduzione di pena per il rito, stimasi equa, in conformità con le richieste del PM, la pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa (pena base anni 2 di reclusione ed euro 4.500,00 di multa, ridotta, nella misura indicata per il rito), oltre al pagamento delle spese processuali.
La circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 è giustificata dalle particolari condizioni soggettive in cui versa l'imputato, dal numero limitato delle piante coltivate e dalle modalità "domestiche" della coltivazione, pur in presenza di una quantità non minima di sostanza stupefacente ricavata.
Va, inoltre, rimarcato il fatto che l'imputato è del tutto incensurato, nonostante la lunga storia di tossicodipendenza risalente ai primi anni '80, non risulta essere accertato alcun episodio di cessione a terzi della sostanza stupefacente prodotta ed ha mantenuto un positivo comportamento processuale, con piena confessione del fatto ascrittogli.
Sussistendo tutti i presupposti di legge e dovendosi ritenere che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, attesa la sua incensuratezza, la non particolare gravità del reato posto in essere e l'assenza di un qualsiasi elemento dal quale poter desumere la sua pericolosità sociale, va concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Va, infine, disposta la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente e degli oggetti in sequestro.
P.Q.M.
Letti gli artt. 438 ss., 533 e 535 c.p.p.;
dichiara B.G. colpevole del reato ascrittogli e, concessa la circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990, operata la riduzione di pena per il rito, lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Dispone la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente e degli oggetti in sequestro.
Rovereto, 25 febbraio 2010.
IL GIUDICE
(dr. Riccardo Dies)
DEPOSITATO IL 3 marzo 2010