Non può esser accolta la richiesta di estradizione della Turchia perchè non è garantito il rispetto dei diritti fondamentali.
La Cassazione con sentenza 54467/16 ha annullato la sentenza del giudice di merito veneziano (che nel maggio 2016 scriveva che "non vi sono suffficienti e concreti elementi pr ritenere che in Turchia la situaizone delle carceri sia disumana e che oggigiorno ivi si applichi la tortura") ha tenuto in considerazione il rapporto di Amnesty International sulla Turchia nel quale “risultano segnalati casi di tortura e di maltrattamenti ai danni di detenuti, nonché un eccessivo impiego della forza da parte della polizia”. Fatti riferiti anche da altri rapporti sui diritti umani dal 2008 al 2016 e che per questo – rileva la Cassazione – “consente di ritenere che si tratti di una situazione diffusa e non episodica, di carattere sistemico o comunque generalizzato, che finisce per determinare gravi violazioni dei diritti umani”.
Nella sentenza allegata, la Suprema Corte ricorda inoltre che il resoconto di una delegazione di giuristi e avvocati italiani ha constatato “un quadro assolutamente preoccupante per il rispetto dei diritti della persona, circostanza già emersa da tempo in quanto la Turchia ha subito il maggior numero di condanne in Europa per il mancato rispetto dei diritti umani”.
Infine, a supporto della decisione di bloccare le estradizioni verso la Turchia, la Cassazione ricorda “le notizie apprese dalla stampa nazionale e internazionale che riferiscono, documentatamente, di destituzioni e sospensioni dall’incarico di migliaia di magistrati (circa 2.700), situazione talmente preoccupante da aver determinato il Consiglio superiore della magistratura a sospendere ogni cooperazione con il Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri della Turchia a causa del marcato rispetto dell’indipendenza della magistratura di quel Paese”.
La sentenza allegata- che contiene una interessante approfondimento anche sul ne bis in idem - cita e segue analaga decisione emessa da autorità giudiziarie tedesche.
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Italy's supreme Court of Cassation in december 2016 with ruling n. 54467/16 has blocked the extradition to Turkey of a drugs trafficker becauseTurkey violates human rights. The ruling says situation has "deteriorated" since the Turkish government suspended application of the human rights convention following July's failed coup.
As a result the Cassation rejected a ruling by a Venice court to deport the drugs trafficker, who had served a seven-year jail term in Turkey.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15/11/2016) 21-12-2016, n. 54467
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Presidente -
Dott. FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere -
Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -
Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.A., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/04/2016 emessa dalla Corte d'appello di Venezia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Dr. Giorgio Fidelbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dr. Cardia Delia, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
uditi gli avvocati Massimo Krogh e Nicola Canestrini, quest'ultimo sostituto processuale dell'avvocato Gilberto Tommasi, che hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha dichiarato sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione avanzata dalla Repubblica di Turchia nei confronti di R.A., sulla base del mandato di cattura emesso dall'autorità giudiziaria di Istanbul, per il reato di associazione e traffico illecito di stupefacenti, avendo trasportato dalla Turchia alla Germania 86 chili di eroina. La Corte territoriale, pur dando atto che l'estradando è stato già giudicato per lo stesso fatto in Germania, dove ha scontato la pena inflitta, ha ritenuto, in base all'art. 9 della Convenzione europea di estradizione, che la regola del ne bis in idem ha validità nell'ambito dei rapporti processuali interni e non può essere trasferita nei rapporti internazionali, in mancanza di un'apposita previsione convenzionale. Inoltre, è stata esclusa la sussistenza di condizioni ostative all'accoglimento della domanda di estradizione riferite ai trattamenti disumani e alle condizioni delle carceri in Turchia, considerando la documentazione prodotta al riguardo dalla difesa inadeguata, perchè estratta da internet e comunque insufficiente a dimostrare la condizione disumana del sistema carcerario turco.
2. Contro questa decisione gli avvocati Gilberto Tommasi e Massimo Krogh, difensori di fiducia di R., hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deducono il vizio di motivazione, in quanto la Corte d'appello non avrebbe valutato, in maniera completa, gli elementi risultanti dagli atti e prodotti dalla difesa in ordine alle ragioni che avrebbero giustificato il rifiuto dell'estradizione ai sensi dell'art. 705 c.p.p. , comma 2, lett. a) e c), ragioni legate al fatto che per il R. la consegna alla Turchia comporterebbe il rischio di essere sottoposto ad un processo senza adeguate garanzie e di subire trattamenti disumani, in violazione dei diritti fondamentali della persona. A questo proposito, lamentano che la Corte territoriale non ha preso in alcuna considerazione quanto risultante dagli atti e, in particolare: a) la collaborazione prestata dall'estradando all'autorità giudiziaria tedesca, con rivelazione dei nomi degli altri partecipanti all'associazione e la cattura degli stessi in Turchia, dove risulta che siano stati anche condannati; b) la sottoposizione ad un programma di protezione in Germania; c) i tentativi di condizionamento subiti ad opera degli appartenenti all'associazione per delinquere per farlo ritrattare; d) la situazione di compromissione dei diritti umani in Turchia, come documentato dai risultati di una visita effettuata in quel paese da rappresentanti delle Camere penali italiane e dalla documentazione di Amnesty International. Tale produzione sarebbe stata del tutto svalutata e ritenuta insufficiente. In ogni caso, si sostiene, che i giudici avrebbero, comunque, potuto acquisire e valutare elementi attraverso l'informazione proveniente dagli organi di stampa.
2.2. Con il secondo motivo denunciano la violazione dell'art. 705 c.p.p. , comma 1, e L. n. 300 del 1963, art. 9, contestando la decisione impugnata che, pur riconoscendo che R. è stato condannato per lo stesso fatto in Germania, nega rilevanza al principio del ne bis in idem. Secondo i difensori la Corte d'appello non ha tenuto conto che con il codice di procedura del 1988 e l'inserimento dell'art. 705, comma 1, è stato introdotto un principio tendenziale, a cui si ispira l'ordinamento internazionale, che risponde ad evidenti ragioni di garanzia del singolo dinanzi alle pretese punitive degli Stati, anche se non risulta assunto a regola di diritto internazionale. Richiamando molte delle Convenzioni e degli Atti internazionali - tra cui in particolare l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali della U.E. del 7 dicembre 2000 (Carta di Nizza) e il vertice europeo di Tampere del 1999 che considerano fondamentale il principio del ne bis in idem internazionale e lo definiscono quale diritto individuale, sostengono trattarsi di un principio generale, sicuramente applicabile nel nostro ordinamento interno alla luce degli artt. 3, 27 e 113 Cost. , dell'art. 12 preleggi e degli stessi artt. 649 e 705 c.p.p. , principio che deve trovare applicazione nell'ambito dell'Unione Europea, attraverso il pieno riconoscimento delle sentenze emesse dai giudici europei.
In conclusione, ogni sentenza emessa dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro della U.E., se definitiva, dispiega gli stessi effetti di una sentenza italiana, producendo anche gli effetti propri del ne bis in idem.
2.3. Con una memoria successiva e con motivi aggiunti i ricorrenti hanno ribadito le ragioni poste a base del ricorso, sia in relazione alla sussistenza delle condizioni che giustificano il rifiuto dell'estradizione a causa dei pericoli per l'incolumità del R., in base alla documentazione giunta dalla Germania e dalla Turchia, sia per quanto riguarda gli effetti del principio del ne bis in idem.
2.4. In data 3 novembre 2016 l'avvocato Nicola Canestrini, quale sostituto processuale dell'avvocato Tommasi, ha depositato un'integrazione dei motivi di ricorso, con specifico riferimento alla violazione dei diritti fondamentali e del diritto al giusto processo da parte della Turchia.
Motivi della decisione
1. Entrambi i motivi dedotti sono fondati.
2. La Corte d'appello, pur riconoscendo che è incontestato che R. è stato già giudicato in Germania - con sentenza di condanna del Tribunale di Colonia a sette anni di reclusione, divenuta esecutiva il 24.3.2003 (pena scontata) - per gli stessi fatti per cui è richiesta l'estradizione, ha ritenuto che l'art. 9 della convenzione europea di estradizione, applicabile nella specie, limita il principio del ne bis in idem al caso in cui sussista una sentenza definitiva emessa nei confronti dell'estradando nello Stato richiesto, ma non contempla l'ipotesi, che ricorre nella fattispecie, di una sentenza emessa da uno Stato terzo. I giudici richiamano un precedente di questa Corte che ha applicato il medesimo principio proprio con riferimento all'art. 9 cit., escludendo l'ipotesi del ne bis in idem nel caso di un estradando richiesto all'Italia dalla Grecia, che sosteneva di esser stato assolto, per il medesimo reato, in Albania (Sez. 6, n. 3747 del 18/12/2013, Dyrmyshi, Rv. 258250).
Tuttavia, in questa decisione vi è un passaggio rilevante, in cui si riconosce alla L. 30 settembre 1993, n. 388, art. 54, di ratifica della Convenzione di Schengen del 1990 carattere di norma convenzionale in grado di trasferire la valenza del principio del ne bis in idem dai rapporti processuali interni ai rapporti internazionali, sebbene poi si esclude che possa avere rilievo nella fattispecie in questione, probabilmente perchè - sul punto la decisione non è esplicita l'Albania non è tra i Paesi aderenti agli accordi di Schengen. Ebbene, nel presente ricorso la fattispecie è diversa, in quanto il Paese terzo (Germania), in cui è stata emessa la sentenza di condanna per gli stessi fatti oggetto della richiesta di estradizione, non solo è un Paese che ha aderito a Schengen, ma soprattutto è uno Stato membro dell'Unione europea.
Il precedente citato dalla sentenza impugnata non è, quindi, sovrapponibile alla presente fattispecie e, anzi, contiene un'affermazione che è indicativa di un'evoluzione normativa del principio del ne bis in idem in ambito europeo, come correttamente è stato evidenziato nel ricorso del R..
2.1. Come è noto il principio del ne bis in idem trova la sua disciplina interna nell'art. 649 c.p.p. , ma non è espressamente contemplato dalla Costituzione italiana; tuttavia la giurisprudenza costituzionale lo riconduce agli artt. 24 e 111 Cost. (Corte cost., sent. n. 501 del 2000 e sent. n. 129 del 2008) ed è considerato dalla Corte di cassazione un principio generale dell'ordinamento, funzionale alle esigenze di razionalità e funzionalità del sistema, principio dal quale il giudice, a norma dell'art. 12 preleggi , comma 2, non può prescindere nell'attività interpretativa (Sez. U, n. 34655 del 28/09/2005, Donati).
2.2. Sul piano internazionale il principio in esame ha sempre trovato una certa resistenza ad essere accettato, in quanto finisce per limitare la sovranità nazionale e lo stesso art. 11 c.p. , che nega qualsiasi valore preclusivo al giudicato straniero nel caso in cui il reato sia stato commesso, anche in parte, in Italia, testimonia tale tendenza.La giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla constatazione che il ne bis in idem non è un principio generale del diritto internazionale e come tale applicabile nell'ordinamento interno, ritiene che un processo celebrato nei confronti di un imputato straniero, in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell'art. 11 c.p. , non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti (Sez. 1, n. 29664 del 12/06/2014, Spalevic, Rv. 260537; Sez. 1, n. 20464 del 05/04/2013, N., Rv. 256162; Sez. 6, n. 44830 del 11/09/2004, Cuomo, Rv. 230595; Sez. 1, n. 12953 del 05/02/2004, Di Blasi, Rv. 227852).
In sostanza, una volta affermato che il principio del ne bis in idem non costituisce nè principio nè consuetudine di diritto internazionale, si è ritenuto che quando sia ravvisata la giurisdizione italiana in base alle norme di diritto interno ( artt. 6 e 11 c.p. ), queste possono recedere rispetto a quelle internazionali, che prevedano ipotesi di ne bis in idem, solo in presenza di convenzioni tra gli Stati, ratificate e rese esecutive, che vincolano unicamente gli Stati contraenti, nei limiti dell'accordo raggiunto.
Questa impostazione, ancora valida sul piano propriamente internazionale, merita di essere riconsiderata in ambito europeo, in cui il principio del ne bis in idem trova importanti e ripetute affermazioni che, anche tenuto conto delle pronunce delle Corti europee, lo qualificano piuttosto come un principio generale.
Innanzitutto, il principio trova in Europa un'applicazione pressochè generale ed è assurto al rango di diritto fondamentale del cittadino con il Protocollo aggiuntivo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, firmato il 22 novembre 1984, che all'art. 4 enuncia il diritto a non essere giudicato o punito due volte ("nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un'infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato").
Un primo importante riconoscimento del valore europeo del giudicato penale è costituito dalla Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, aperta alla firma a L'Aia il 28 maggio 1970, nonchè dalla Convenzione europea sulla trasmissione europea dei giudizi repressivi, aperta alla firma a Strasburgo il 15 maggio 1972, e dalla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, sull'applicazione del principio del ne bis in idem in ambito europeo, in cui il principio viene considerato come "effetto internazionale del giudicato reso in ciascuno degli Stati membri", una formulazione che sarà ripresa nella Convenzione di Schengen. Con specifico riferimento all'Europa, altri strumenti hanno fatto espresso riferimento al principio del ne bis in idem, tra cui, a titolo esemplificativo, la Convenzione del 26 luglio 1995 sugli interessi finanziari delle Comunità europee (art. 7) e la Convenzione sulla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee (art. 10).
Tuttavia è con la Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell'Accordo di Schengen che si consolida il riconoscimento dell'effetto del ne bis in idem su di un livello superiore a quello nazionale, sul presupposto di una comune e reciproca fiducia tra gli Stati europei, soprattutto dopo che la Convenzione è entrata a far parte dell'acquis comunitario, con il protocollo sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997. Infatti, l'art. 54 della Convenzione, recepita con L. 30 settembre 1993, n. 388 , stabilisce che "una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita".
In questo modo si attribuisce al giudicato nazionale un'efficacia preclusiva in ordine all'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto in qualunque altro Stato membro, sebbene l'operatività del principio viene limitata dalla previsione contenuta nell'art. 55, in cui si riconosce alle parti contraenti la facoltà di escludere dall'applicazione convenzionale le decisioni relative a fatti commessi, anche in parte, sul territorio nazionale ovvero a reati contro la sicurezza o contro interessi essenziali della Parte contraente o ancora commessi da pubblici ufficiali in violazione dei doveri di ufficio.
In ogni caso, con l'art. 54 cit. vi è stata un'evoluzione normativa nella considerazione del ne bis in idem europeo, evoluzione riconosciuta dalla giurisprudenza (cfr., Sez. 1, n. 28299 del 03/06/2004, Desiderio, Rv. 228779) e dalla dottrina, che ha segnalato come con la convenzione di Schengen si sia realizzata la sostanziale equiparazione tra le sentenze definitive pronunciate dagli Stati contraenti, che si giustifica sulla base della "sostanziale omogeneità degli ordinamenti dei Paesi firmatari dell'accordo per effetto della comune adesione ai principi generali del diritto comunitario e al quadro di garanzie sostanziali e processuali inerenti al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali del cittadino europeo". D'altra parte, la Corte di Giustizia di Lussemburgo individua il presupposto del principio del ne bis in idem proprio nell'esistenza di un rapporto di reciproca fiducia degli Stati membri nell'ambito di uno spazio giudiziario comune in cui ciascun Paese è tenuto ad accettare l'applicazione del diritto penale vigente negli ordinamenti degli altri Stati membri, "anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse" (Corte giustizia, 11/02/2003, Gozutok e Brugge; Corte giustizia, 10/03/2005, Miraglia; Corte giustizia, 09/03/ 2006, Van Esbroeck).Tuttavia, fino alla Convenzione del 1990, con cui si è data applicazione all'accordo di Schengen e si sono compiuti significativi progressi nel riconoscere l'esistenza di uno spazio giudiziario europeo anche per il rilievo del principio in questione, la giurisprudenza ha sempre evitato di concepire il ne bis in idem come principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto, facendone applicazione solo quando fosse previsto da una norma pattizia recepita dall'Italia.
E' con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (c.d. Carta di Nizza) che, per effetto del Trattato di Lisbona ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati istitutivi dell'Unione, che il principio del ne bis in idem si consolida ulteriormente nella sua dimensione europea e viene configurato come un vero e proprio diritto a tutela dell'imputato.
L'art. 50 della Carta enuncia il diritto di non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso reato: "nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge". Nella sua efficace sinteticità l'art. 50 offre una più ampia forma di tutela del ne bis in idem nella misura in cui va oltre la necessità di richiamare l'applicazione del principio nelle singole disposizioni pattizie e lo configura come una garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto e nei confronti della stessa persona.
Il suo inserimento nella Carta di Nizza, tra i diritti fondamentali dell'Unione europea, può assicurargli il valore di principio generale nell'ambito del diritto europeo dell'Unione, ponendosi per i giudici nazionali come norma vincolante e funzionale alla realizzazione di uno spazio giudiziario europeo in cui venga ridotto il rischio di conflitti di competenza. E' l'effetto del riconoscimento del valore vincolante della Carta dei diritti fondamentali (art. 6 par. 1 del TUE).
E' utile ricordare, a questo punto, che la Corte costituzionale già da tempo considera il ne bis in idem come un principio di civiltà giuridica, valorizzandone il ruolo di diritto dell'individuo e superando la sua originaria dimensione correlata al valore obiettivo del giudicato (da ultimo v., Corte cost. n. 200 del 2015; inoltre, Corte cost., n. 284 del 2003; n. 115 del 1987; n. 6 del 1976; n. 1 del 1973), peraltro in alcune sentenze ha evidenziato la "forza espansiva" di questo diritto, che è contraddistinto dalla natura di "garanzia" personale (Corte cost., n. 230 del 2004; n. 381 del 2006).Tuttavia, il carattere generale delle affermazioni relative ai diritti fondamentali cui si riferisce la Carta subisce una limitazione per effetto dell'art. 51 che stabilisce che la Carta di Nizza si applica agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione, previsione che circoscrive l'ambito di applicazione della Carta stessa alle materie che rientrano negli ambiti di competenza dell'Unione europea. Deve ritenersi, condividendo le conclusioni cui perviene parte della dottrina, che l'art. 51 possa essere interpretato in modo estensivo, riconoscendo che esso "imponga il rispetto dei diritti fondamentali in tutti quei casi in cui la normativa interna, pur non costituendo attuazione della normativa europea, venga comunque ad incidere in un'area di competenza dell'Unione o in settori già disciplinati dal diritto dell'Unione". Attraverso tale lettura estensiva della disposizione in questione la Carta, con il riferimento ai diritti fondamentali, verrebbe applicata nei casi in cui sia rinvenibile anche solo un "elemento di collegamento, anche se non in termini di puntuale attuazione o esecuzione del diritto dell'Unione". Anche la Commissione europea ha sostenuto che, ai fini dell'efficacia della Carta negli ordinamenti degli Stati membri, è sufficiente che la situazione esaminata dal giudice nazionale "presenti un elemento di collegamento con il diritto dell'Unione" (Comunicazione del 19 ottobre 2010).
Ma, soprattutto, in questa direzione si muove la giurisprudenza europea. Sebbene in una prima fase la Corte di giustizia abbia privilegiato un atteggiamento diretto a circoscrivere il campo di applicazione dei diritti fondamentali, limitandone la portata alla normativa dell'Unione europea e a quella nazionale sorta nell'ambito del diritto europeo, tuttavia negli ultimi tempi è presente la tendenza a dilatare il concetto di attuazione del diritto dell'Unione cui si riferisce l'art. 51 della Carta, come segnalato dalla dottrina più attenta. La Corte di giustizia ha ritenuto attuazione "ogni normativa nazionale volta anche semplicemente a incidere su ambiti regolati dalle suddette fonti UE", specificando "che i principi generali dell'Unione europea vincolano gli stati membri quando essi traspongono obblighi derivanti dal diritto UE (...) ma anche quando adottano misure in deroga a tali obblighi", sicchè "risultano sottoposti al vaglio di tali principi tutte le norme nazionali atte a entrare nel campo di applicazione del diritto dell'Unione" (cfr., Corte giustizia, 29/05/1997, Kremzow; Corte giustizia, 22/11/2005, Mangold; Corte giustizia, 19/01/2010, Kucukdeveci; Corte giustizia, 26/02/2013, Akerberg Fransson).Pertanto, sulla base di quella che è stata definita una naturale evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia, deve riconoscersi che in presenza di una concezione espansiva della nozione di "norme attuative" del diritto dell'Unione europea, risulta tendenzialmente più ampio il campo di applicazione dei diritti fondamentali contenuti nella Carta.
2.3. Nell'ambito del definito spazio applicativo dei diritti fondamentali previsti nella Carta di Nizza, deve ritenersi che il principio del ne bis in idem di cui all'art. 50 deve trovare pieno riconoscimento nel nostro ordinamento interno, nel senso che il giudice italiano deve darvi attuazione attraverso il riconoscimento delle sentenze emesse dai giudici appartenenti agli Stati membri dell'Unione. In sostanza, in ambito europeo ogni sentenza emessa da uno Stato membro deve valere quale sentenza di ogni singolo Stato, sul presupposto che si tratta di ordinamenti fondati sul rispetto dei diritti umani e delle garanzie difensive che costituiscono il nucleo del giusto processo. Il giudice interno è anche giudice dell'Unione europea e come tale è tenuto ad applicare i principi e i diritti fondamentali che fanno parte dell'assetto costituzionale dell'Unione che si basa anche sull'idea di una "comunità di diritti" (Grundrechtsgemeinschaft). Spetta, infatti, al giudice nazionale, che deve confrontarsi con il sistema integrato delle fonti costituzionali, comunitarie e internazionali nonchè con la legislazione dell'Unione, assicurare la costante tutela dei diritti fondamentali e il diritto fondamentale del ne bis in idem che, in quanto posto a tutela dell'individuo, deve essere assicurato e garantito a chiunque sia stato già giudicato da un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dell'Unione europea, a prescindere, ovviamente, dalla cittadinanza europea.
2.4. Ne deriva, tornando al caso in esame, che la Corte d'appello di Venezia avrebbe dovuto prendere in considerazione la sentenza emessa dall'autorità giudiziaria tedesca nei confronti di R. e riconoscere la sussistenza del ne bis in idem, eccepito tempestivamente dall'estradando. Non interessa che ad aver già giudicato R. sia stato un Paese terzo rispetto alla procedura di estradizione richiesta dalla Turchia, in quanto rileva il fatto che la sentenza sia stata emessa da uno Stato membro dell'Unione, nel cui ambito il diritto a non essere giudicato per la seconda volta deve essere fatto rispettare da ogni giudice nazionale che dell'Unione europea faccia parte. Nè può dirsi che il diritto fondamentale del ne bis in idem affermato dalla Carta di Nizza non possa essere assicurato perchè si è fuori dall'attuazione della materia comunitaria, in quanto l'elemento di collegamento con il diritto dell'Unione - secondo l'interpretazione che si è sopra riportata, favorevole ad una estensione del concetto di "attuazione del diritto dell'Unione" - può essere rintracciato nel fatto che l'estradizione è stata richiesta per il reato di traffico di stupefacenti, materia che, come è noto, è espressamente prevista dall'art. 83, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.3. La Corte d'appello di Venezia ha poi ritenuto insussistenti le condizioni che avrebbero potuto determinare il rigetto della domanda di estradizione ai sensi dell'art. 705 c.p.p. , comma 2, lett. a) e c), escludendo che l'estradando corra il concreto rischio di subire un trattamento disumano nelle carceri della Turchia, in violazione dei diritti fondamentali della persona.
I giudici di merito hanno ritenuto inadeguata la documentazione estratta da internet e prodotta dalla difesa a dimostrazione della difficile situazione carceraria e, in ogni caso, hanno sostenuto che non vi siano sufficienti e concreti elementi per ritenere che in Turchia la situazione della carceri sia disumana ovvero per affermare che in quel Paese si applichi la tortura.
Si tratta di considerazioni che non possono essere condivise, anzitutto nel metodo.
3.1. In alcuni casi questa Corte ha escluso che la pronuncia ostativa all'estradizione, di cui all'art. 705 c.p.p. , comma 2, potesse basarsi esclusivamente sulla documentazione tratta dal sito internet di Amnesty International, ma tali affermazioni non si riferivano certo alla fonte di informazione, quanto piuttosto al tipo di notizie fornite, da cui si evincevano solo episodi occasionali di persecuzione o discriminazione, tali da non essere ritenuti come peculiari di un sistema (Sez. 6, n. 30864 del 08/04/2014, Lytuynuk, Rv. 260055; Sez. 6, n. 2657 del 20/12/2013, Cobelean, Rv. 257852; Sez. 6, n. 15626 del 05/02/2008, Usurelu, Rv. 239672).
In altri termini, la giurisprudenza - cui sembra riferirsi la sentenza impugnata - non ha mai ritenuto inidonea in senso assoluto la documentazione in quanto estratta da internet, ma ha sempre richiesto che la documentazione allegata dall'interessato, a dimostrazione dell'esistenza di situazioni in cui risultino violati i diritti fondamentali della persona, sia affidabile e riscontri una situazione allarmante riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto alle quali sia comunque possibile attivare una tutela legale (Sez. 6, n. 10905 del 06/03/2013, Bishara Meged, Rv. 254768).Nel caso in esame, la Corte territoriale sembra far leva unicamente sulla inidoneità della fonte (internet), ritenuta oggettivamente non attendibile, omettendo ogni indagine e considerazione in ordine alla affidabilità delle informazioni contenute nella documentazione prodotta dalla difesa, peraltro trascurando che sebbene sull'estradando incombe un onere di allegazione, tuttavia, una volta adempiuto, spetta comunque al giudice la verifica dell'affidabilità delle notizie fornite.
Insomma, è dovere del giudice procedere d'ufficio alla verifica delle condizioni ostative all'estradizione, fermo restando l'onere dell'interessato di indicare elementi utili per tale verifica attraverso una attività di allegazione che, ovviamente, non deve basarsi su semplici congetture.
Del resto principi analoghi sono stati espressi dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo che, in relazione al mandato di arresto europeo, ha sostenuto che spetta all'autorità giudiziaria valutare se sussista il rischio di trattamenti inumani, basandosi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e aggiornati (Corte giustizia, 05/04/2016, Aaranyousi).La Corte d'appello di Venezia ha, invece, omesso ogni serio accertamento in ordine al contenuto della documentazione allegata, limitandosi, in maniera erronea, ad un giudizio di inidoneità della fonte, senza neppure prendere in considerazione che si trattava di notizie tratte da un rapporto di Amnesty International, cioè di un'organizzazione non governativa la cui affidabilità è generalmente riconosciuta sul piano internazionale. Questa Corte di cassazione, proprio in un caso di estradizione riguardante la Turchia, ha affermato che la decisione in ordine all'esistenza di violazione dei diritti umani nel Paese richiedente può essere affermata anche sulla base di documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative, come Amnesty International o Human Rights Watch, in quanto si tratta di organizzazioni ritenute affidabili sul piano internazionale (cfr., Sez. 6, n. 32685 del 08/07/2010, Seven, Rv. 248002). Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo considera pienamente utilizzabili i rapporti delle organizzazioni citate come fonti di documentazione di situazioni di violazione dei diritti umani (Corte EDU, 28/02/2008, Saadi c. Italia).
3.2. Ebbene dalla documentazione di Amnesty International prodotta dalla difesa risultano segnalati casi di tortura e di maltrattamenti ai danni di detenuti, nonchè un eccessivo impiego della forza da parte della polizia, una situazione che viene riferita nei vari rapporti sui diritti umani a far data dal 2008 fino al 2016 e che per questo consente di ritenere che si tratti di una situazione di fatto diffusa e non episodica, di carattere sistemico o comunque generalizzato, che finisce per determinare gravi violazioni dei diritti umani e che incide sul trattamento carcerario.
D'altra parte, a supporto di tale documentazione la difesa di R. ha riferito anche del resoconto di una delegazione di giuristi e avvocati italiani, in rappresentanza della Camera penale, che hanno constatato un quadro assolutamente preoccupante per il rispetto dei diritti della persona, circostanza già emersa da tempo in quanto la Turchia ha subito il maggior numero di condanne in Europa per il mancato rispetto dei diritti umani.
Tale situazione, già di per sè rilevante ex art. 705 c.p.p. , comma 2, ai fini della decisione sulla domanda di estradizione - tanto che in passato questa Corte di cassazione ha già avuto modo di confermare una decisione contraria all'estradizione richiesta dalla Turchia (Sez. 6, n. 32685 del 08/07/2010, Seven) - si è ulteriormente aggravata dopo le vicende del tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, a seguito delle quali il Governo della Turchia, in data 21 luglio 2016, con un comunicato ufficiale al Consiglio d'Europa, ha dichiarato di volersi avvalere della deroga prevista dall'art. 15 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, cui aderisce come Parte contraente. A seguito del ricorso alla deroga prevista dal citato art. 15, con conseguente parziale sospensione della Convenzione, oggi risultano limitati drasticamente una serie di diritti difensivi dell'imputato nel processo penale, con forte incremento dei poteri della polizia (significativa è la previsione del fermo di polizia fino a trenta giorni, senza controllo giurisdizionale). Inoltre, dalla documentazione allegata alla memoria difensiva, depositata il 3 novembre 2016, si apprende che recentemente, con una decisione del 22 settembre 2016, la Corte d'appello dello Schleswig-Holstein (Germania) ha rifiutato un'estradizione richiesta dalla Turchia, giustificando tale rifiuto proprio con riferimento alla situazione verificatasi dopo la dichiarazione di "sospensione" della Convenzione. La Corte tedesca, sulla base di una comunicazione ufficiale del Ministero degli esteri, ha rifiutato l'estradizione in considerazione della violazione degli artt. 3 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dopo aver preso atto delle limitazioni previste in Turchia al diritto di difesa, con la previsione di sostituzione del difensore senza il consenso dell'imputato da parte della Procura e con le limitazioni al diritto dell'imputato di essere presente nel dibattimento, nonchè con l'aggravamento della situazione dei luoghi di detenzione, non idonei e sovraffollati. Il Collegio ritiene di poter prendere in considerazione la sentenza prodotta, considerando che le giurisdizioni non sono "luoghi chiusi all'interno dei propri ordinamenti", ma sono condizionate dalle esperienze degli altri sistemi, soprattutto se si tratta di esperienze che avvengono nell'ambito dello spazio giuridico europeo.Si tratta di condizioni che trovano riscontro anche nell'ulteriore documentazione allegata dalla difesa e, in particolare, nella nota della sezione italiana di Amnesty International del 24 luglio 2016, in cui si evidenziano casi generali di detenzione arbitraria, di violazione delle regole del giusto processo e di pratiche di tortura eseguite ai danni di detenuti. Del resto ad ulteriore testimonianza della situazione di crisi dell'intero sistema giudiziario turco vi sono le notizie apprese dalla stampa nazionale e internazionale, di comune conoscenza, che riferiscono, documentatamente, di destituzioni e sospensioni dall'incarico di migliaia di magistrati (circa 2.700) da parte dell'Alto Consiglio dei Giudici e Procuratori, presieduto dal Ministro della giustizia, situazione talmente preoccupante da aver determinato il Consiglio Superiore della Magistratura a sospendere ogni cooperazione con il Consiglio Superiore dei giudici e dei pubblici ministeri della Turchia a causa del mancato rispetto dell'indipendenza della magistratura di quel Paese, nonchè della violazione dei diritti del giusto processo e dei diritti fondamentali affermati nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (allo stesso modo la Scuola Superiore della Magistratura italiana ha interrotto la collaborazione nell'attività di formazione dei magistrati con la Turchia).
3.3. Pertanto, anche ritenendo il carattere contingente della situazione che si è descritta, legata cioè allo stato di emergenza dichiarato in Turchia, deve riconoscersi che oggi la consegna del R. lo esporrebbe al rischio concreto di subire un processo penale con forti limitazioni dei diritti difensivi, in violazione dei principi del giusto processo, come affermati nella Convenzione dei diritti dell'uomo e ribaditi dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè di essere sottoposto a trattamenti disumani e degradanti nelle carceri di quel Paese, in violazione dei diritti fondamentali della persona.
4. In conclusione, in accoglimento dei motivi proposti, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, dovendo escludersi la sussistenza delle condizioni per l'estradizione richiesta dalla Turchia.
Di conseguenza deve essere disposta l'immediata liberazione di R.A., se non detenuto per altra causa.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. e art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata non sussistendo le condizioni per l'estradizione richiesta e ordina l'immediata liberazione di R.A. se non detenuto per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p. e art. 203 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016