La Corte d’appello deve valutare se sussiste un rischio generalizzato di trattamento penitenziario disumano o degradante nel Paese richiedente, con conseguente pericolo che ciò si realizzi anche nei confronti del singolo estradando: incombe, tuttavia, su quest’ultimo l’onere di allegare elementi oggettivi, precisi, attendibili ed opportunamente aggiornati, in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, idonei a fondare il timore che la sua estradizione preluda ad un trattamento incompatibile coni diritti fondamentali della persona.
Compatibile con gli standard di detenzione la situazione carceraria in Albania, alla luce di provvedimenti adottati e della realizzazione di nuove strutture penitenziarie, tanto che nel rapporto del 17 settembre 2019 del CPT non sono state segnalate situazioni di degrado, comportanti rischi di violazione di diritti fondamentali, e che in altri recenti rapporti ufficiali è emerso un quadro sostanzialmente positivo
Corte di Cassazione
sez. VI Penale
sentenza 26 – 28 ottobre 2020, n. 29860
Presidente Di Stefano – Relatore Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Catania ha disposto la consegna di M.E. all’Autorità Giudiziaria dello Stato dell’Albania in relazione alla richiesta di estradizione tesa a dare esecuzione alla sentenza di condanna definitiva resa dal Tribunale di Durazzo in data 29 luglio 2020, alla pena di mesi dieci di reclusione, per il reato di "appropriazione dei beni e del denaro provenienti da attività criminale" - segnatamente di un televisore Samsung 50 pollici -, stimato dal Collegio siciliano riportabile alla fattispecie del riciclaggio.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, M.E. chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 705 c.p.p., comma 2 e art. 698 c.p.p., per avere la Corte d’appello disposto l’estradizione del M. senza offrire un’esauriente e convincente risposta in merito all’incidenza, ai fini della valutazione circa l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda estradizionale, delle attuali condizioni di detenzione nelle strutture penitenziarie dello Stato richiedente, da ritenere inumane e degradanti per il sovraffollamento di popolazione carceraria.
2.2. "Mancata applicazione della Convenzione Europea di estradizione.
Dichiarazione contenuta nello strumento di ratifica depositato il 19 maggio 1998. Or. Engl.", dovendo le autorità italiane comunicare che M. è detenuto per un reato commesso in Italia.
2.3. Violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. s), ed all’art. 705 c.p.p., per omessa valutazione del pregiudizio dei figli minori, avendo il consegnando chiesto di scontare la pena in un carcere italiano in quanto sposato con una donna italiana e padre di cinque figli nonché detenuto agli arresti domiciliari per un altro reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
2. Generico e, ad ogni modo, manifestamente destituito di fondamento è il primo motivo, con cui il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 705 c.p.p., comma 2 e art. 698 c.p.p., quanto all’omesso rifiuto della consegna in relazione al rischio di sottoposizione a condizioni detentive inumane e degradanti in ragione del sovraffollamento delle carceri albanesi.
2.1. Come questa Corte regolatrice ha avuto modo di affermare in plurime occasioni in tema di estradizione per l’estero, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa prevista dall’art. 698 c.p.p., comma 1, la Corte d’appello deve valutare se sussiste un rischio generalizzato di trattamento penitenziario disumano o degradante nel Paese richiedente, con conseguente pericolo che ciò si realizzi anche nei confronti del singolo estradando. Incombe, tuttavia, su quest’ultimo l’onere di allegare elementi oggettivi, precisi, attendibili ed opportunamente aggiornati, in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, idonei a fondare il timore che la sua estradizione preluda ad un trattamento incompatibile coni diritti fondamentali della persona (Sez. 6, n. 11492 del 14/02/2019, Lia, Rv. 275166; Sez. 6, n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean, Rv. 269201; Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Diuligher, Rv. 268109; Sez. 6, n. 22827 del 26/04/2016, Ramirez Melendez, Rv. 267066).
Il principio di diritto appena enunciato è non solo consolidato nella giurisprudenza interna, ma è fatto proprio anche da quella comunitaria, che ha ribadito la necessità che il rischio di trattamento inumano o degradante delle persone sia concreto, ed altresì che detta valutazione si fondi su elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati, quali decisioni giudiziarie internazionali, sentenze della Corte EDU, decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente, nonché decisioni, relazioni ed altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (Corte Giust. UE, Grande Sezione, sent. n. 182 del 6.9.2016, Petruhhin, §§ 5859).
2.2. Nel caso sub iudice, il ricorrente si è limitato ad enunciare la doglianza, senza offrire il benché minimo supporto probatorio e pretendendo dalla Corte di appello un’inammissibile attività officiosa di tipo sostanzialmente esplorativo.
2.3. Ad ogni modo, l’assunto secondo cui sussisterebbe il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti in forza delle condizioni degli istituti penitenziari albanesi non tiene conto delle più recenti pronunce di questa Suprema Corte in casi consimili, nei quali, sulla base di informazioni aggiornate, si è dato conto del consistente miglioramento della situazione carceraria in Albania, alla luce di provvedimenti adottati e della realizzazione di nuove strutture penitenziarie, tanto che nel rapporto del 17 settembre 2019 del CPT non sono state segnalate situazioni di degrado, comportanti rischi di violazione di diritti fondamentali, e che in altri recenti rapporti ufficiali è emerso un quadro sostanzialmente positivo (si rinvia sul punto ex plurimis a Sez. 6, n. 19393 del 25/06/2020, Skarra; Sez. 6, n. 9203 del 3/3/2020, Xhiva; Sez. 6, n. 14428 del 14/1/2020, Carni; Sez. 6, n. 12213 del 4/12/2019, dep. 2020, Ademi).
3. Fumoso, inintelligibile e, pertanto, nella sostanza generico ed inammissibile è il secondo motivo, con cui il ricorrente denuncia la "mancata applicazione della Convenzione Europea di estradizione. Dichiarazione contenuta nello strumento di ratifica depositato il 19 maggio 1998. Or. Engl.", senza articolare alcun profilo di doglianza in relazione alle fonti normative menzionate.
4. Al pari generico e, comunque, all’evidenza infondato ed inammissibile è anche l’ultimo motivo, con cui il ricorrente si duole dell’omessa applicazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. s), e dell’art. 705 c.p.p., per omessa valutazione del pregiudizio dei figli minori derivante dalla esecuzione della pena all’estero.
4.1. Al riguardo, non può invero non essere ribadita la costante lezione ermeneutica di questa Corte regolatrice, secondo la quale, in tema di estradizione per l’estero, il divieto di consegna previsto per il mandato di arresto Europeo dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lett. p), come modificato dalla L. 4 ottobre 2019, n. 117, previsto nel caso di madre di prole di età inferiore ad anni tre, non si applica ai cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea, e tuttavia - avendo riguardo tale disposizione ad un principio generale informato alla primaria esigenza di tutela dell’interesse dei minori - l’estradizione potrà essere disposta, ai sensi dell’art. 705 c.p.p., solo previa verifica che lo specifico trattamento penitenziario cui sarebbe sottoposta l’estradanda consenta la salvaguardia dell’integrità psicofisica del minore.
(Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di estradizione verso l’Albania, emessa sul presupposto che la ricorrente, madre di prole di età inferiore a tre anni, sarebbe stata detenuta in una struttura riservata alle sole persone di sesso femminile, ove è garantito il diritto di tenere presso di sé i figli, in apposite sezioni e con personale qualificato) (Sez. 6, n. 1677 del 11/12/2019 - dep. 16/01/2020, Kurti Rv. 278216).
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila Euro.
5.1. La Cancelleria dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..