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Estradizione per reato comune, Egitto non tortura? (Cass.43648/19)

11 settembre 2019, Cassazione penale

Costituisce fatto notorio che nelle carceri egiziane è frequente l'impiego di forme di tortura, spesso caratterizzate da un indiscriminato uso dell'isolamento dei detenuti, talora destinatari di atti di violenza, umiliazione e riduzione dell'alimentazione: ma è estradabile il condannato per reati comuni in assenza di allegati elementi oggettivi, precisi e aggiornati idonei a fondare il timore che la estradizione preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona.

In assenza di convenzione tra gli Stati interessati ovvero in presenza di una convenzione che non preveda la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, l'autorità giudiziaria italiana non deve limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda estradizionale, ma deve accertare che in essa risultino evocate le ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato oggetto dell'estradizione.

 

Corte di Cassazione 

sez. VI n.43648 / 2019

Data Udienza: 11/09/2019

Presidente: CAPOZZI ANGELO - Relatore: APRILE ERCOLE


SENTENZA

sul ricorso presentato da
SA, nato a .. (Egitto) il ..,

avverso la sentenza del 12/04/2019 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito per l'estradando l'avv. MRT, in sostituzione dell'avv. DS, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.


RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia dichiarava l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata dalla Repubblica Araba di Egitto nei confronti del cittadino egiziano AS in relazione all'ordine di arresto emesso il 08/11/2012 dalla Corte di appello di T (Egitto) nell'ambito del procedimento nel quale il prevenuto è imputato del reato di omicidio premeditato in danno di MM, per il quale egli ha riportato la condanna all'ergastolo con sentenza emessa in quel paese il 10/11/2009.

Rilevava la Corte di appello bresciana come sussistessero tutte le condizioni previste dalla disciplina codicistica per accogliere quella richiesta di estradizione passiva, da intendersi come richiesta processuale, essendosi l'autorità richiedente impegnata a sottoporre il S ad un nuovo processo penale, in precedenza svoltosi in absentia e conclusosi con condanna. Aggiungeva la Corte lombarda che non vi erano altre ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza, posto che l'autorità straniera si era anche impegnata a non irrogare una sanzione più grave rispetto a quella già inflitta, e che non vi erano elementi da cui poter desumere che il S, resosi responsabile di un delitto consumato per motivi passionali, sarebbe stato sottoposto a discriminazioni di natura politica.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il S, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, formalmente con due distinti motivi, ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 698, comma 2, e 705, comma 1, cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto sussistenti le condizioni per la positiva valutazione della richiesta estradizionale, benché:

2.1. la stessa (peraltro erroneamente qualificata come richiesta di assistenza giudiziaria) provenisse da un Paese nel quale, secondo vari documenti redatti da organizzazioni internazionali, risulta diffusa il ricorso alla pena di morte e frequente l'impiego di pratiche di torture e maltrattamenti in ambito carcerario;

2.2. l'estradizione fosse collegata all'esecuzione di una sentenza di condanna emessa in violazione delle garanzia processuali fondamentali, perché adottata in assenza dell'imputato, che dello svolgimento di quel processo non aveva avuto notizia e nel quale non aveva avuto alcuna assistenza difensiva;

2.3. fosse del tutto inaffidabile l'attestazione, proveniente dalla Procura della Repubblica Araba, che il Salem nel nuovo giudizio non sarebbe stato condannato alla pena di morte, sanzione che pure è prevista dal codice penale di quel Paese per il grave reato contestato e che può essere sostituita con la pena detentiva solo sulla base di un 'atto di clemenza' dell'autorità giudiziaria;

2.4. la decisione favorevole all'estradizione fosse stata adottata dalla Corte territoriale sulla base della mera lettura della sentenza e della relazione informativa, senza alcun esame degli atti del relativo fascicolo processuale e senza alcuna verifica sul rispetto delle garanzie difensive nell'ascolto dei testi e dei coimputati che avevano accusato l'estradando.

3. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

3.1. Infondate sono le doglianze formulate dal ricorrente, sopra sinteticamente riportate nel punto 2.1.

Costituisce fatto notorio, sulla base dei documenti redatti da varie organizzazioni non governative e indipendenti (si veda, da ultimo, il rapporto di Amnesty International sull'Egitto del 6 maggio 2018), che nelle carceri egiziane è frequente l'impiego di forme trattamentali che possono tradursi in vere e proprie forme di tortura, spesso caratterizzate da un indiscriminato uso dell'isolamento dei detenuti, talora destinatari di atti di violenza, umiliazione e riduzione dell'alimentazione: si tratta, però - come si evince chiaramente da quei documenti - di trattamenti riservati agli attivisti per i diritti umani e ai politici delle forze di opposizione, non anche genericamente a tutti i detenuti comuni.

Sotto questo punto di vista bisogna prendere atto come i motivi dedotti sul punto in relazione alla asserita violazione dell'art. 698 cod., proc. pen. siano stati rappresentati dal ricorrente in termini molto generici, non essendo stato allegati elementi oggettivi, precisi e aggiornati idonei a fcndare il timore che la sua estradizione preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona. Al contrario, appare confacente la motivazione contenuta nella sentenza gravata con la quale i giudici di merito, dopo aver evidenziato che il S, dimorante in Italia da circa 23 anni, solo alla vigilia del suo arresto aveva in maniera chiaramente strumentale presentato una richiesta per il riconoscimento dello status di rifugiato, hanno sottolineato che l'estradando è imputato nel suo paese in relazione alla consumazione di un grave episodio delittuoso commesso verosimilmente per motivi passionali, senza alcun collegamento a ragioni o moventi che possano far pensare ad una sua eventuale
discriminazione per ragioni politiche, religiose o etniche, che non sono state neppure rappresentate dall'interessato.

3.2. Prive di pregio sono le ulteriori censure formulate con l'atto di impugnazione, innanzi tratteggiate nei punti 2.2. e 2.3.

Premesso che la Corte di appello di Brescia ha qualificato la richiesta proveniente dalla Repubblica Araba di Egitto come istanza di natura processuale e non esecutiva, in quanto l'autorità straniera ha attestato che la sentenza di condanna emessa nei riguardi del S non è passata in giudicato proprio perché emessa in absentia, è sufficiente ricordare come costituisca ius receptumnella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il divieto di pronuncia favorevole alla estradizione previsto dall'art. 705, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., nell'ipotesi in cui la sentenza per la cui esecuzione essa è stata domandata contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, non ricorre quando sia dedotta inosservanza delle regole relative alla contumacia, la disciplina della quale, nell'ordinamento processuale dello Stato richiedente, testimonia, nella valutazione dei presupposti per l'estradizione, dell'esistenza della relativa garanzia, il cui rispetto può essere verificato e ottenuto in concreto dall'interessato nello svolgimento del processo penale a suo carico nel Paese in cui sia estradato (così, tra le tante, Sez. 6, n. 25413 del 01/02/2007, David, Rv. 236847).

Nel caso di specie non è, dunque, riconoscibile alcuna delle denunciate violazioni di legge, posto che il Procuratore egiziano dell'Ufficio cooperazione internazionale, replicando ad una specifica richiesta di informazioni formulata dai giudici di merito italiani, ha espressamente indicato le norme di legge che, nel caso di specie, prevedono in favore del condannato in absentia tanto lo svolgimento di un nuovo processo quanto la regola normativa che la nuova condanna non potrà avere ad oggetto una sanzione più grave di quella che è stata già comminata nel primo giudizio.

Sotto questo ultimo punto di vista, deve pure escludersi, dunque, che possano trovare accoglimento le doglianze avanzate dal ricorrente in ordine ad una asserita violazione dell'art. 698 cod. proc. pen., in ragione della astratta previsione della pena di morte per il reato per il quale si procede nello Stato straniero nei confronti dell'estradando, in quanto nella fattispecie non vi sono solo generiche assicurazioni di non applicazione di quella sanzione provenienti dall'ufficio inquirente dello Stato istante, che non consentirebbero di pervenire a conclusioni di certezza circa la ineseguibilità di quella pena (così anche Sez. 6, n. 33980 del 02/10/2006, Dvorkin, Rv. 234877), ma - come correttamente è stato posto in risalto dai giudici di merito - una specifica norma di legge processuale che impedisce, nella specifica situazione nella quale si trova l'odierno ricorrente, l'irrogazione di una pena diversa e più grave di quella che è stata comminata nel primo giudizio svoltosi in contumacia, del quale, come si è visto, è prevista la rinnovazione.

Nel corso dell'odierna discussione il Procuratore generale ha prospettato il rischio che all'interessato, in caso di condanna all'ergastolo, possano essere negati i benefici penitenziari che rendono una siffatta pena perpetua compatibile con la funzione rieducativa prevista dalla nostra Carta costituzionale: tuttavia, bisogna prendere atto che tale ipotesi non è stata neppure ipotizzata nel ricorso oggi in esame, né è stata dedotta dinanzi alla Corte di appello che sul punto non ha formulato alcuna considerazione.

3.3. Sono, infine, manifestamente infondati i motivi del ricorso sintetizzati nel punto 2.4.

Costituisce espressione di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in tema di estradizione processuale, in assenza di convenzione tra gli Stati interessati ovvero in presenza di una convenzione che non preveda la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, l'autorità giudiziaria italiana non deve limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda estradizionale, ma deve accertare che in essa risultino evocate le ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato oggetto dell'estradizione (così, tra le tante, Sez. 6, n. 40959 del 11/07/2013, Campos Cama, Rv. 258122; Sez. 6, n. 26290 del 28/05/2013, Paredes Morales, Rv. 256566; e, più in passato, Sez. 6, n. 338 del 05/02/1993, Bouchetof, Rv. 193830, con specifico riferimento all'ipotesi di assenza di convenzione di estradizione tra lo Stato straniero richiedente e lo Stato italiano).

Di tale pacifica regula iuris la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione rilevando, con motivazione congrua e priva di vizi di manifesta illogicità, basata sull'esame del sufficiente contenuto della sentenza e della connessa relazione informativa trasmesse dallo Stato richiedente l'estradizione, come, nel caso di specie, l'autorità giudiziaria egiziana avesse reputato l'esistenza nei riguardi del Salem di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato addebitatogli, posto che lo stesso era stato raggiunto da convergenti indicazioni accusatorie rese da due suoi coimputati, che avevano trovato adeguato riscontro nella deposizione di un

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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
teste presente all'episodio delittuoso che aveva riferito di aver assistito all'aggressione della vittima da parte dei tre imputati di quel processo.

4. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento.

Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta ii ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 11/09/2019