La procedura di estensione dell'estradizione o estradizione suppletiva - come pure quelle della riestradizione (ex art. 711 c.p.p.) e della procedura in transito (ex art. 712 c.p.p.) - danno luogo a procedimenti autonomi, pur se collegati a quello della estradizione principale.
Il procedimento di estradizione suppletiva, in particolare, è instaurato da una nuova domanda di estradizione, presentata dopo la consegna dell'estradato dallo stesso Stato che l'ha ottenuta, e ha ad oggetto un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale l'estradizione è già stata concessa. Si tratta, quindi, di una richiesta di estensione di effetti della precedente estradizione attraverso la presentazione di una nuova domanda, con la quale si sollecita lo Stato richiesto ad esprimere il suo consenso al fine di rimuovere i limiti derivanti dal principio di specialità dell'estradizione imposti alla giurisdizione dello Stato richiedente e da quest'ultimo accettati con il precedente accordo.
Il divieto di pronuncia favorevole all'estradizione nell'ipotesi in cui la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato -ricorre solo quando sia prospettata l'assenza nell'ordinamento dello Stato richiedente di disposizioni a tutela delle fondamentali garanzie difensive e del diritto al giusto processo, non quando sia denunciata la mera violazione di norme processuali presenti in quest'ultimo, ovvero quando l'ordinamento straniero presenti garanzie processuali non corrispondenti o assimilabili a quelle previste nel nostro ordinamento.
Ne consegue che i diritti fondamentali dell'estradando possono essere garantiti in maniera non uniforme tra l'ordinamento richiedente e quello richiesto e che per la positiva verifica in merito alla sussistenza dei presupposti dell'estradizione non è affatto richiesta la sovrapponibilità dei rispettivi sistemi normativi, dovendosi piuttosto verificare se nell'ordinamento processuale dello Stato richiedente sia violato il nucleo essenziale dei diritti di difesa dell'imputato.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
(ud. 26/05/2021) 09-07-2021, n. 26310
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -
Dott. ROSATI Martino - Consigliere -
Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
K.W., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/03/2021 della Corte di appello di Bologna;
esaminati gli atti e letti il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del Consigliere, De Amicis Gaetano;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ORSI Luigi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dei difensori, Avv. Nicola Canestrini e Avv. Alessandro Sivelli, che hanno chiesto l'accoglimento dei motivi di ricorso;
lette le conclusioni del difensore del Governo del Cile, Avv. Maria Alicia Mejia Fritsch, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 10 marzo 2021 la Corte di appello di Bologna ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di estensione dell'estradizione presentata dalla Repubblica del Cile nei confronti di K.R.W., cittadino cileno e tedesco, per la esecuzione della pena di anni dieci e un giorno di reclusione irrogatagli con sentenza della Corte di appello di Santiago del 25 ottobre 2013, divenuta irrevocabile per effetto della sentenza emessa dalla Corte Suprema del Cile in data 23 ottobre 2014, per il concorso nei delitti, commessi nel 1973, di omicidio qualificato di sette persone e sequestro qualificato di altre quattordici persone.
Nei confronti del K., a seguito del decreto emesso dal Ministro della Giustizia in data 14 gennaio 2020, è stata già disposta la consegna in estradizione a fini processuali alla Repubblica del Cile in data 5 febbraio 2020, in quanto rinviato a giudizio per il reato di "rapimento di persona qualificato" commesso tra il mese di settembre e quello di ottobre del 1973 ai danni di C.L.A..
2. Avverso la richiamata decisione della Corte di appello hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia di K.W.R., sulla base di separati atti d'impugnazione il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
3. Con il ricorso proposto dall'Avv. Nicola Canestrini sono stati formulati tre motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente esposto.
3.1. Con un primo motivo si censurano violazioni di legge ai sensi degli artt. 18, 21, 267 TFUE e 710 c.p.p., in relazione alla erronea valutazione di non rilevanza della questione pregiudiziale d'urgenza sollevata dalla difesa dinanzi alla Corte di appello di Bologna con riferimento alla richiesta di estensione dell'estradizione presentata dallo Stato richiedente per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali il ricorrente è stato già consegnato alle Autorità cilene.
Si evidenzia, al riguardo, che erano stati posti in via preliminare tre quesiti incentrati sulla corretta interpretazione delle richiamate disposizioni del Trattato sull'Unione Europea, in considerazione del fatto che il K.R., in possesso della cittadinanza cilena e tedesca, è stato arrestato mentre si trovava momentaneamente in Italia per ragioni turistiche e che se egli, in quel frangente, si fosse trovato in Germania non avrebbe potuto essere estradato, nè oggi potrebbe essere destinatario di una richiesta di estensione dell'estradizione, poichè l'ordinamento tedesco vieta l'estradizione dei propri cittadini verso Stati terzi.
Nel richiamare la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea (sentenze Petruhin del 6 aprile 2016, Pisciotti del 10 aprile 2018 e BY del 17 dicembre 2020) si assume in particolare: a) che in conseguenza del rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale la Germania non è stata informata della richiesta di estradizione avanzata dal Governo cileno nei confronti di un suo cittadino, in modo da valutare se procedere nei suoi confronti per i reati per i quali è stato condannato dalla Corte di appello cilena; b) che pertanto il K.R., nella precedente procedura, non ha potuto godere della garanzia prevista a sua tutela dalle richiamate norme Euro-unitarie, in quanto il cittadino di uno Stato membro, la cui legislazione ne vieti l'estradizione, deve poter fruire della libertà di movimento all'interno del territorio dell'Unione Europea alle stesse condizioni della libertà di movimento di cui fruisce all'interno del territorio del suo Stato di cittadinanza, risolvendosi ogni limitazione a tale libertà all'interno dell'Unione in un inammissibile restringimento dello spazio giudiziario Europeo; c) che la richiesta di estensione dell'estradizione si innesta su una precedente domanda estradizionale che ne costituisce il presupposto logico, fattuale e giuridico, sicchè, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte felsinea, essa non può considerarsi del tutto autonoma rispetto alla precedente domanda di estradizione e deve pertanto essere esaminata in relazione a quest'ultima; d) che, in definitiva, la violazione delle norme Euro-unitarie incorsa nell'ambito della procedura di estradizione non può che riverberarsi sulla successiva richiesta di estensione oggetto del procedimento de quo.
3.2. Con un secondo motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione al rischio che l'estradando subisca, in violazione dell'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c) e dell'art. 3 CEDU, trattamenti inumani e degradanti in ragione delle condizioni di detenzione che, in caso di consegna, dovrebbe affrontare nelle carceri cilene, in quanto caratterizzate da un massivo stato di sovraffollamento per il ridotto spazio delle celle e dalla carenza di servizi minimi ed essenziali, secondo quanto emerge da recenti rilevazioni di Human Rights Watch e Amnesty International.
Elementi di conoscenza, quelli testè indicati, che la sentenza impugnata non ha preso in esame, sebbene la difesa, di contro, li avesse specificamente dedotti e documentati nel giudizio celebrato dinanzi alla Corte di appello, unitamente al rilievo dei frequenti episodi di violenza, anche di recente, verificatisi negli istituti penitenziari cileni.
3.3. Con un terzo motivo, infine, si deducono analoghi vizi in relazione al rischio che l'estradando venga sottoposto ad un procedimento che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali in fase di esecuzione della pena, tenuto conto di quanto dalla difesa allegato in merito alle indebite ingerenze del potere politico nell'operato della magistratura cilena.
4. Con il ricorso proposto dall'Avv. Alessandro Sivelli sono stati formulati quattro motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente esposto.
4.1. Il primo motivo censura l'erronea valutazione della questione pregiudiziale sollevata dalla difesa in relazione all'omessa informazione della Repubblica Federale di Germania, di cui l'estradando è cittadino, in merito alla richiesta di estensione dell'estradizione avanzata nei suoi confronti dalla Repubblica del Cile, conformemente al principio di leale collaborazione sancito dall'art. 4, par. 3, comma 1, TUE. Nel richiamare la su indicata pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione Europea del 17 dicembre 2020 (C-398-19) sull'esigenza di informare al riguardo le competenti Autorità tedesche affinchè possano valutare se procedere o meno nei confronti di un loro cittadino per i reati per i quali egli è stato condannato in Cile, si evidenzia che lo Stato di appartenenza potrebbe, così come previsto dall'ordinamento interno, rinnovare il giudizio in caso di delitto commesso dal cittadino all'estero (ex art. 11 c.p., comma 2), qualora il Ministro della giustizia dello Stato di appartenenza ne faccia richiesta.
4.2. Con un secondo motivo si censura la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), non essendo stato consentito all'estradando di intervenire e partecipare all'udienza in collegamento a distanza tramite videoconferenza, così come richiesto dalla difesa, in modo da poter riferire e precisare alla Corte d'appello il contenuto delle dichiarazioni da lui rese negli interrogatori svolti nel 2008 dinanzi al Giudice istruttore cileno. In subordine, si prospetta una questione di legittimità costituzionale dell'art. 710 c.p.p., comma 2, e dell'art. VII del Trattato di estradizione italo-cileno, nella parte in cui impongono di fatto un procedimento in assenza impedendo all'estradando l'esercizio del proprio diritto all'autodifesa in violazione dell'art. 24 Cost., comma 2.
4.3. Con un terzo motivo si prospetta la improcedibilità della richiesta di estensione dell'estradizione per violazione del principio di specialità, essendo stato l'estradando illegittimamente trattenuto nello Stato cileno nonostante l'intervenuta decisione di proscioglimento nel procedimento per il quale è stata concessa l'estradizione.
Si assume, al riguardo, l'illegittimità del provvedimento di divieto di espatrio emesso dall'autorità giudiziaria cilena, in quanto l'estradando è stato prosciolto dal Tribunale di Concepcion con sentenza del 27 novembre 2020 per non aver commesso il fatto di reato per il quale era stata concessa l'estradizione, sicchè la misura cautelare attualmente pendente sarebbe finalizzata a trattenerlo illegittimamente nel territorio dello Stato richiedente in attesa dell'eventuale accoglimento della richiesta di estensione dell'estradizione, laddove se egli fosse stato in libertà avrebbe potuto fare ritorno nel proprio Paese di residenza, la Germania, ed il Governo cileno avrebbe dovuto richiedere l'estradizione ad uno Stato che, come è noto, nega l'estradizione dei propri cittadini.
4.4. Con un quarto motivo si deduce la violazione dei diritti fondamentali ai sensi dell'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a), sull'assunto che nell'ambito del procedimento estero: a) la Corte di appello cilena ha riformato la sentenza di assoluzione del primo giudice senza rinnovare l'istruttoria e senza che fossero sopraggiunte prove nuove e diverse; b) il ricorrente ha reso più volte dichiarazioni al Giudice istruttore ed è stato interrogato senza l'assistenza di un difensore e senza l'avviso che, quale imputato, aveva la facoltà di non rispondere; c) il procedimento si è svolto in forma "cartolare", senza consentire all'imputato di confrontarsi in contraddittorio con i testi dell'accusa e di far ascoltare i propri testi a discarico.
Al riguardo si evidenzia, in particolare, il fatto che la Corte d'appello di Santiago avrebbe affermato la responsabilità dell'imputato sulla sola base delle dichiarazioni auto-incriminanti - e come tali decisive - da lui rilasciate senza assistenza difensiva al Giudice istruttore nel 2008, dando ad esse, però, una diversa interpretazione, là dove ha affermato che, essendo a conoscenza delle torture alle quali erano sottoposti i prigionieri del campo che dirigeva, egli, pur non facendone parte, avrebbe concorso causalmente alle condotte del cd. "comitato", "custodendo" i prigionieri.
Nè, inoltre, sarebbero state ammesse, in violazione del principio del contraddittorio, le prove dichiarative indicate dalla difesa nel corso del giudizio estero.
Si lamenta, infine, il fatto che la Corte d'appello cilena ha motivato la sua decisione di condanna valutando, diversamente dal primo Giudice, il contenuto delle dichiarazioni rese dal K. al Giudice istruttore nel 2008, senza procedere ad un nuovo interrogatorio, in violazione del divieto di reformatio in peius contemplato dall'art. 6, par. 3, lett. d), CEDU. 5. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 7 maggio 2021 il Procuratore generale ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
6. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 10 maggio 2021 i difensori di fiducia di K.R., Avv. Nicola Canestrini e Avv. Alessandro Sivelli, hanno svolto ulteriori argomentazioni a sostegno del secondo motivo di ricorso, ponendo in evidenza la genericità delle indicazioni offerte dalle Autorità cilene in merito alle caratteristiche degli istituti penitenziari ove l'estradando verrebbe ad essere ristretto, con il conseguente inadempimento del dovere di fornire garanzie adeguate sul rispetto dei suoi diritti fondamentali.
Ulteriori argomentazioni vengono svolte in ordine al mancato rispetto del diritto alla salute del ricorrente durante il periodo di detenzione cautelare già trascorso negli istituti penitenziari cileni, allegando in tal senso la documentazione pervenuta dal difensore cileno del K., dalla quale risulta una decisione "pretestuosa" di rigetto di un'istanza di prestazione sanitaria oggetto di successiva impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Santiago, che ha dichiarato la inammissibilità dell'istanza, con il conseguente rischio di reiterazione di tali condotte da parte dell'amministrazione penitenziaria.
7. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 19 maggio 2021 i predetti difensori hanno sinteticamente richiamato le argomentazioni già addotte a sostegno dei motivi esposti nel ricorso ed hanno illustrato le loro conclusioni, replicando alle richieste del Procuratore generale ed insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso, previa richiesta di differimento dell'udienza da svolgersi in presenza delle parti.
8. Con memoria corredata della documentazione ivi richiamata in apposito indice e trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 20 maggio 2021, l'Avv. Maria Alicia Mejia Fritsch ha esposto nell'interesse del Governo del Cile ampie ed articolate argomentazioni di replica a ciascuno dei motivi dedotti dal ricorrente, prendendone partitamente in esame i contenuti ed assumendone l'infondatezza sul rilievo che i diritti fondamentali del K. hanno trovato piena tutela ed attuazione nel corso dei giudizi celebrati dinanzi alle Autorità cilene, con la conclusiva richiesta della declaratoria di rigetto dei ricorsi nel suo interesse presentati.
Motivi della decisione
2. Deve preliminarmente rilevarsi come il presente procedimento segua le regole della trattazione scritta ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non essendo stata formulata dai difensori alcuna richiesta di discussione orale entro il termine perentorio ivi previsto, sicchè non può essere accolta la successiva richiesta di differimento dell'udienza, formulata dai difensori nella richiamata memoria del 19 maggio 2021, per consentire la presenza delle parti al fine di procedere alla trattazione orale del procedimento de quo.
3. Infondate, in primo luogo, devono ritenersi le ragioni di doglianza incentrate sulla prospettata erroneità di valutazione della questione pregiudiziale sollevata dalla difesa ex art. 267 TFUE in relazione all'omessa informazione della Repubblica Federale di Germania, di cui l'estradando è cittadino, in merito alla richiesta di estensione dell'estradizione avanzata nei suoi confronti dalla Repubblica del Cile.
A tale riguardo, infatti, pur prescindendo dal preliminare rilievo, puntualmente evidenziato dalla Corte d'appello, secondo cui, sebbene si versi nell'ipotesi di una richiesta di estensione di un'estradizione esecutiva, alcuna istanza risulta essere stata presentata dal ricorrente, già estradato in Cile, al fine di informare la Repubblica Federale di Germania per sollecitarla ad esprimersi riguardo alla volontà di espiare la pena irrogata nei suoi confronti presso gli istituti penitenziari tedeschi, deve ritenersi assorbente la decisiva considerazione che le richiamate decisioni della Corte di giustizia dell'Unione Europea (6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15; 10 aprile 2018, Pisciotti, C.191/16; 17 dicembre 2020, BY con l'intervento di Generalstaatsanwaltschaft Berlin, C-398/19) non sono applicabili al caso di specie.
Siffatte decisioni, invero, stabiliscono il principio secondo cui, quando ad uno Stato membro nel quale si sia recato un cittadino avente la cittadinanza di un altro Stato membro viene presentata una domanda di estradizione da parte di uno Stato terzo, esso è tenuto ad informare lo Stato membro del quale la persona reclamata ha la cittadinanza, al fine di consentire alle autorità di quest'ultimo la possibilità di emettere un mandato d'arresto Europeo per la sua consegna ai fini dell'esercizio dell'azione penale.
Occorre tuttavia considerare che, nella prospettiva seguita dalla Corte di giustizia, le disposizioni di cui agli artt. 18 e 21 TFUE devono essere interpretate nel senso che esse si applicano alla situazione di un cittadino dell'Unione che ha la cittadinanza di uno Stato membro, soggiorna nel territorio di un altro Stato membro ed è oggetto di una domanda di estradizione rivolta a quest'ultimo Stato da uno Stato terzo: situazione, questa, che rileva anche nell'ipotesi in cui il suddetto cittadino abbia trasferito il centro dei propri interessi in tale altro Stato membro in un momento in cui non aveva ancora lo status di cittadino dell'Unione (Grande Sezione, 6 settembre 2016, Petruhhin, cit., par. 34).
Le richiamate decisioni, dunque, fondano l'obbligo informativo dello Stato membro sul presupposto logico che l'estradando soggiorni di fatto sul territorio dell'Unione Europea nel momento in cui viene presentata la richiesta di estradizione e non riguardano, di contro, l'ipotesi in cui egli si trovi al di fuori dello spazio territoriale Europeo perchè materialmente consegnato allo Stato terzo richiedente in quanto già destinatario di un precedente provvedimento definitivo di estradizione: nel caso di specie, infatti, non solo l'estradando si trova già nel territorio cileno a seguito della positiva definizione di una precedente procedura estradizionale per altro fatto di reato, ma si versa nell'ipotesi di una procedura del tutto autonoma e differente dall'altra, ossia in un caso di estensione dell'estradizione per altri fatti di reato non collegati a quelli della precedente domanda estradizionale.
4. Nè, sotto altro ma connesso profilo, è possibile - diversamente da quanto prospettato nei ricorsi - far refluire sulla disciplina della nuova domanda l'omissione di una comunicazione informativa (in questo caso indirizzata alla Germania) cui lo Stato richiesto sarebbe stato, in tesi, obbligato al momento in cui venne attivata la prima procedura (dove la difesa, peraltro, alcuna richiesta in tal senso formulò), atteso che la procedura di estensione dell'estradizione segue regole del tutto diverse (art. 710 c.p.p.) rispetto a quelle proprie del procedimento estradizionale e viene utilizzata, di regola, per superare il limite della specialità, basandosi su una domanda diversa ed autonoma dalla precedente.
Invero, la procedura di estensione dell'estradizione o estradizione suppletiva - come pure quelle della riestradizione (ex art. 711 c.p.p.) e della procedura in transito (ex art. 712 c.p.p.) - danno luogo a procedimenti autonomi, pur se collegati a quello della estradizione principale.
Il procedimento di estradizione suppletiva, in particolare, è instaurato da una nuova domanda di estradizione, presentata dopo la consegna dell'estradato dallo stesso Stato che l'ha ottenuta, e ha ad oggetto un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale l'estradizione è già stata concessa. Si tratta, quindi, di una richiesta di estensione di effetti della precedente estradizione attraverso la presentazione di una nuova domanda, con la quale si sollecita lo Stato richiesto ad esprimere il suo consenso al fine di rimuovere i limiti derivanti dal principio di specialità dell'estradizione imposti alla giurisdizione dello Stato richiedente e da quest'ultimo accettati con il precedente accordo.
Non a caso, la disposizione racchiusa nell'art. 710 c.p.p., comma 1, fa espressamente riferimento ad una "nuova domanda di estradizione" presentata dopo la consegna dell'estradato, non certo ad un puro e semplice operare della prima concessione anche in relazione ad un fatto diverso ed anteriore: la procedura estensiva, infatti, si modella in linea di principio sulle stesse regole "in quanto applicabili", ai sensi del primo inciso dell'art. 710, comma 1 che operano per l'originaria domanda di estradizione formulata in via ordinaria, ma contempla alcune deroghe, poichè il giudizio dinanzi alla corte d'appello si svolge in assenza della persona interessata e alla nuova domanda vanno allegate le dichiarazioni rese dall'interessato dinanzi ad un giudice dello Stato richiedente, nelle quali la persona richiesta possa esprimersi in ordine alla domanda di estensione. Al giudizio, inoltre, neppure si fa luogo ove l'estradato, con le sue dichiarazioni, presti il suo consenso alla richiesta estensiva.
Analoga autonomia, sia sul piano procedimentale che valutativo, prevede inoltre la disposizione di cui all'art. 14, par. 1, lett. a), della Convenzione Europea di estradizione del 13 dicembre 1957, al fine di superare i limiti derivanti dall'applicazione della regola della specialità.
E disposizioni di identico contenuto sono dettate, soprattutto, nella normativa pattizia prioritariamente applicabile nel caso di specie secondo la regola della prevalenza delle fonti internazionali stabilita dall'art. 696 c.p.p., commi 2 e 3, ove si consideri il contenuto dell'art. VII, par. 2, del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Cile, sottoscritto a Roma il 27 febbraio 2002 e ratificato con L. 3 novembre 2016, n. 211, secondo cui, per ottenere il consenso della Parte richiesta, " la Parte alla quale la persona è estradata deve presentare una domanda allegando la documentazione indicata nell'art. X. La domanda deve, inoltre, essere accompagnata dalle dichiarazioni rese dalla persona interessata davanti ad una autorità giudiziaria della suddetta parte in ordine alla richiesta di estensione dell'estradizione".
5. Alcuna violazione del diritto di difesa rilevante ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), si è verificata per il fatto di non essere stato consentito al ricorrente di partecipare, nella forma della videoconferenza, all'udienza celebrata dinanzi alla Corte di appello, così come in quella sede richiesto dalla difesa.
Non v'è, nel nostro ordinamento, alcuna base normativa idonea a sorreggere la configurabilità dell'evocato diritto dell'estradando di partecipare in videoconferenza all'udienza camerale che la Corte d'appello deve fissare ai sensi dell'art. 710, comma 2, cit.: non solo tale forma di intervento non è prevista dal codice di rito, nè dalla richiamata, e prevalente, normativa pattizia applicabile nel caso di specie, ma la stessa deve ritenersi addirittura esclusa, ove si consideri che la condizione essenziale per procedere al collegamento audiovisivo dell'imputato che si trovi all'estero è rappresentata, come espressamente stabilito dall'art. 205-ter disp. att. c.p.p., comma 1, dalla presenza di una convenzione internazionale che specificamente lo preveda, regolandone le forme e le modalità di attuazione.
Non solo il Trattato di estradizione italo-cileno, come testè rammentato, non prevede affatto tale possibilità, ma la richiamata disposizione codicistica stabilisce espressamente che "la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero, che non possa essere trasferito in Italia, ha luogo attraverso il collegamento audiovisivo, quando previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta. Per quanto non espressamente disciplinato dagli accordi internazionali, si applica la disposizione dell'art. 146-bis".
Analoga disposizione, del resto, è dettata, in materia di rogatorie all'estero, dall'art. 729-quater c.p.p., commi 1 e 2, che, nel richiamare la su menzionata disposizione di cui all'art. 205-ter, disciplina il procedimento di audizione mediante videoconferenza sulla base della pertinente disciplina prevista dagli accordi internazionali.
V'è, ancora, da osservare che la Corte costituzionale, nel dichiarare, con ordinanza del 9 marzo 2004, n. 88, la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., ha affermato che, in mancanza di una convenzione, non è possibile la partecipazione a distanza ai sensi dell'art. 205-ter, comma 1, cit., osservando al riguardo: "(...) il giudice a quo, pur essendo consapevole che, a norma dell'art. 205-ter disp. att. c.p.p., comma 1, presupposto per la partecipazione al dibattimento a distanza è che tale procedura sia prevista e disciplinata da accordi internazionali, omette di considerare che non sussiste alcun accordo internazionale generale, nè alcun accordo bilaterale con la Repubblica federale tedesca, che consenta di ricorrere all'istituto della partecipazione al dibattimento a distanza qualora l'imputato sia detenuto all'estero (...)".
Nel procedimento di estradizione suppletiva - la cui attivazione logicamente presuppone la positiva definizione di una precedente ed autonoma domanda di estradizione - manca la fase della consegna dell'estradando e non sono applicabili le norme relative alla sua libertà personale, nè può formarsi, analogamente a quanto avviene nella procedura di estradizione ordinaria, alcun contraddittorio "sostanziale" sulla fondatezza o meno dei temi d'accusa oggetto del relativo petitum, ossia sul merito del giudizio, svolto o da svolgere, nell'ambito del procedimento estero: tali oggettive e specifiche evenienze procedimentali giustificano, dunque, la scelta dal legislatore operata con l'evocata previsione codicistica (art. 710, comma 2, cit.) secondo cui la Corte di appello procede in assenza dell'interessato, escludendosi, di contro, la possibilità del giudizio nella sola ipotesi in cui l'estradato abbia acconsentito alla estensione richiesta con le dichiarazioni da lui rese a norma del comma 1 della disposizione da ultimo citata.
Corretta, muovendo da tali premesse argomentative, deve pertanto ritenersi l'affermazione della decisione impugnata secondo cui "è pacifico che per alcuni tipi di procedimenti il legislatore è libero di prevedere (come prevede spesso) che la garanzia difensiva sia assicurata con la sola forma della partecipazione del difensore", tenuto conto delle specifiche e peculiari finalità che caratterizzano la previsione e il concreto funzionamento dei procedimenti speciali, talora del tutto differenti - come per l'appunto rilevabile nel caso in esame - da quelle relative "al contraddittorio sostanziale sulle accuse".
Rientra infatti nella discrezionalità delle scelte effettuate dal legislatore la concreta modulazione delle forme e dei limiti di operatività dell'esercizio del diritto di difesa ai sensi dell'art. 24 Cost., comma 2, la cui effettività nel tipo di procedimento in esame deve ritenersi pienamente assicurata non solo dalla facoltà di nominare un difensore di fiducia dinanzi all'organo giurisdizionale procedente nello Stato richiesto, ma anche dalla possibilità, parimenti rispettata nel caso di specie, di formulare dichiarazioni, davanti a un giudice dello Stato richiedente, in merito ai fatti relativi alla domanda di estensione dell'estradizione: dichiarazioni che vengono vagliate dalla competente autorità giurisdizionale dello Stato richiesto e che, a tal fine, devono essere allegate a quella domanda.
Siffatte dichiarazioni l'interessato ha in effetti reso, a sua difesa, nel corso della procedura in esame, esponendo liberamente le proprie ragioni di doglianza in ordine alla prospettata inosservanza dei principi del giusto processo che si sarebbe verificata nel giudizio che ha portato alla condanna oggetto della richiesta estensione.
Nè può tralasciarsi di considerare, come al riguardo è stato rimarcato nella decisione impugnata, il fatto che il diritto di difesa del ricorrente è stato pienamente garantito anche nel corso del procedimento svoltosi davanti alla Corte territoriale, avendo potuto la difesa interloquire con il proprio assistito in merito alla possibilità di presentare una dichiarazione di ricusazione del presidente del collegio: dichiarazione che è stata presentata dopo che la Corte d'appello aveva rinviato il procedimento a nuova data - in modo da permettere alla difesa di ottenere la procura speciale dall'assistito - e che nelle more è stata dichiarata inammissibile dall'apposita sezione di quella Corte.
Manifestamente infondata, di conseguenza, deve ritenersi la richiamata questione di legittimità costituzionale dell'art. 710 c.p.p., comma 2, e dell'art. VII del Trattato di estradizione italo-cileno (v., in narrativa, il par. 4.2.).
6. Analoghe considerazioni devono svolgersi riguardo alla evocata illegittimità della misura cautelare (divieto di espatrio) adottata dalle Autorità cilene a carico dell'estradato in pendenza dell'impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado con la quale era stato assolto dall'imputazione di sequestro di persona oggetto della già definita procedura di estradizione.
Deve sotto tale profilo ritenersi corretta, alla luce di quanto dianzi esposto, l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui tra le due procedure - quella già definita e quella tuttora in corso - non v'è alcuna relazione di interdipendenza, sia in quanto le stesse hanno ad oggetto fatti diversi, sia in quanto nell'ambito della presente procedura (di natura esecutiva, laddove la prima era di natura processuale) l'estradato è in stato di libertà, sicchè le questioni afferenti all'una non possono refluire sulla legittimità dell'altra.
Deve solo soggiungersi, al riguardo: a) che i fatti oggetto della precedente procedura estradizionale risultano tuttora sub iudice dinanzi alle competenti autorità dell'ordinamento cileno; b) che, sulla base di quanto previsto dalla normativa processuale menzionata nella memoria presentata in questa Sede dalla difesa del Governo cileno, all'interessato è stata concessa la libertà condizionale con cauzione; c) che in forza delle pertinenti disposizioni processuali dell'ordinamento cileno (artt. 305-bis e 360 c.p.p.) è in tal caso consentita, in pendenza del procedimento di impugnazione e sino al passaggio in giudicato della relativa decisione, l'applicazione della predetta misura cautelare alla persona nei cui confronti sia stata esercitata l'azione penale; d) che la difesa del Governo cileno ha altresì documentato l'assenza di qualsiasi riferimento testuale - nel provvedimento impositivo del divieto di espatrio - alla procedura di estensione dell'estradizione, fatta salva la materiale trasmissione della copia dell'ordinanza al giudice della diversa procedura, "per sua conoscenza e per gli scopi che ritenga opportuni".
Ne discende che il Governo cileno ha dimostrato, sulla base della sua legislazione, che l'estradato è stato legittimamente trattenuto sul suo territorio in forza di una misura cautelare che ben poteva essere emessa dopo il proscioglimento in primo grado per i fatti oggetto della precedente procedura estradizionale.
Manifestamente infondate, conclusivamente, devono ritenersi le censure dal ricorrente prospettate in merito all'ipotizzata illegittimità del provvedimento impositivo del divieto di espatrio emesso dall'autorità giudiziaria cilena.
7. Infondate devono ritenersi le asserite violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente nell'ambito del procedimento celebrato nei suoi confronti dalle Autorità dello Stato richiedente (v., supra, il par. 4.4.), atteso che le relative censure poggiano sull'erronea pretesa di trasporre nell'ordinamento richiedente il complesso delle disposizioni normative interne in tema di giusto processo e rispetto delle garanzie difensive, senza considerare il fatto che l'Italia ed il Cile sono legati da un Trattato di estradizione il cui art. IV, nell'enumerare le possibili cause di rifiuto dell'estradizione prevede, nella lett. g), una specifica ipotesi di rifiuto solo quando, per il fatto oggetto della domanda di estradizione, la persona richiesta è stata o sarà sottoposta "ad un procedimento che non garantisce il rispetto dei diritti minimi della difesa".
Costituisce infatti ius receptum, nell'elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte, il principio secondo cui il divieto di pronuncia favorevole all'estradizione - previsto dall'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. b), nell'ipotesi in cui la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata contenga disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato - ricorre solo quando sia prospettata l'assenza nell'ordinamento dello Stato richiedente di disposizioni a tutela delle fondamentali garanzie difensive e del diritto al giusto processo, non quando sia denunciata la mera violazione di norme processuali presenti in quest'ultimo (Sez. 6, n. 4974 del 08/09/2015, dep. 2016, Siepak, Rv. 266263; Sez. 6, n. 10693 del 20/02/2009, Bielas Malgorzata, Rv. 242926; Sez. 6, n. 21370 del 19/04/2005, Niculita, Rv. 232060), ovvero quando l'ordinamento straniero presenti garanzie processuali non corrispondenti o assimilabili a quelle previste nel nostro ordinamento (Sez. 6, n. 3125 del 21/09/1995, Di Maio, Rv. 202727).
Ne consegue che i diritti fondamentali dell'estradando possono essere garantiti in maniera non uniforme tra l'ordinamento richiedente e quello richiesto e che per la positiva verifica in merito alla sussistenza dei presupposti dell'estradizione non è affatto richiesta la sovrapponibilità dei rispettivi sistemi normativi, dovendosi piuttosto verificare se nell'ordinamento processuale dello Stato richiedente sia violato il nucleo essenziale dei diritti di difesa dell'imputato.
Anche nella prospettiva seguita dalla Corte EDU si afferma che la procedura di estradizione non attiene alla fondatezza di un'accusa penale diretta contro l'estradando ai sensi dell'art. 6 CEDU (Raf c. Spagna, n. 53652/00 del 21 novembre 2000; A.B. c. Polonia, n. 33878/96 del 18 ottobre 2001) e che la stessa può essere valutata nei suoi eventuali profili di iniquità solo nell'ipotesi, non ravvisabile nel caso di specie, che il ricorrente rischi di subire un flagrante diniego di giustizia nello Stato richiedente (Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989; Einhorn c. Francia, 16 ottobre 2001).
Nel caso in esame, infatti, il processo instaurato nei confronti del ricorrente si è concluso con una sentenza di condanna pronunciata dopo tre gradi di giudizio (due di merito e uno di legittimità), nel corso dei quali egli non solo è stato rappresentato da un difensore, ma ha potuto esercitare il suo diritto all'impugnazione e, ancor prima, quello di illustrare ampiamente le sue ragioni sia nel depositare i risultati delle indagini difensive che nel rendere spontanee dichiarazioni all'interno del processo.
Nè, peraltro, è consentito rivalutare o rileggere nel corso della procedura estradizionale, come puntualmente rammentato nella decisione impugnata, gli elementi probatori già apprezzati nel processo estero: costituisce infatti un consolidato canone di diritto il principio secondo cui la procedura di consegna passiva estradizionale non offre alcuno spazio per la rivisitazione o il riesame sia della dinamica evolutiva interna ai processi cui afferisce la domanda di consegna per fini di esecuzione penale, sia delle regole di valutazione dei dati probatori che hanno condotto l'autorità giudiziaria dello Stato richiedente l'estradizione ad affermare la responsabilità dell'estradando.
7.1. Infondata deve pertanto ritenersi, entro la prospettiva delineata dalle richiamate coordinate ermeneutiche, la censura imperniata sulla violazione del divieto di reformatio in peius, atteso che siffatto principio, che nell'ordinamento italiano vige allorchè l'impugnazione sia stata proposta dal solo imputato, non possiede, come già affermato da questa Corte, pregnanza di criterio processuale univoco, di valore fondamentale ovvero di rango costituzionale (Sez. 6, n. 43765 del 02/07/2008, Criollo Puma, Rv. 241915).
Parimenti infondato deve ritenersi il connesso profilo di doglianza inerente alla prospettata violazione della regola processuale stabilita dall'art. 603 c.p.p., comma 3-bis, sia per le dirimenti ragioni dianzi esposte, sia perchè, in caso di appello della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l'obbligo di rinnovazione dibattimentale non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma è limitato alle sole prove dichiarative che, secondo le puntuali e specifiche ragioni prospettate nell'atto di impugnazione, siano state oggetto di un'erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano state ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità (v., in motivazione, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430; da ultimo v. Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425).
7.2. Analoghe considerazioni devono svolgersi riguardo all'evocato obbligo di rinnovazione delle spontanee dichiarazioni rese al giudice istruttore senza l'assistenza di un difensore, poichè il giudice di appello che, sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni spontanee rese dall'imputato, riforma la sentenza assolutoria di primo grado, non è obbligato a rinnovarne l'audizione, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., in quanto, a differenza dell'esame, disciplinato dall'art. 210 c.p.p., che costituisce una prova dichiarativa caratterizzata dalla formazione in contraddittorio, le dichiarazioni spontanee sono rimesse alla libera scelta dell'imputato, non sono acquisite in contraddittorio nè sono acquisibili d'ufficio (Sez. 2, n. 51983 del 06/10/2016, Sall, Rv. 268524).
Nè in questa sede possono essere oggetto di sindacato le forme di ingresso e utilizzazione probatoria di tali dichiarazioni nell'ambito del processo estero, ovvero le modalità con le quali esse siano state valutate dalle competenti Autorità giudiziarie.
Del resto, il canone della difesa o rappresentanza tecnica è reputato dalla stessa Corte EDU (Lagerblom c. Svezia, 14 gennaio 2003) pienamente compatibile, ai sensi dell'art. 6, par. 3, lett. e), CEDU, con il diritto dell'accusato di difendersi di persona, in alternativa all'opzione per una difesa tecnica professionale, sicchè, ove la legislazione dello Stato richiedente rimetta all'imputato la scelta di difendersi personalmente, non può ritenersi preclusiva ai fini dell'estradizione la libera scelta di rilasciare dichiarazioni spontanee, ovvero di presentare documenti, memorie e risultati di indagini difensive direttamente all'autorità giudiziaria procedente, avvalendosi di norme processuali che consentano l'esercizio di tali facoltà (arg. ex Sez. 6, n. 33577 del 01/07/2015, Tennina, Rv. 264430).
Corretta, dunque, deve ritenersi l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui la regola basata sul divieto di utilizzazione di dichiarazioni dal contenuto autoindiziante non assume connotazioni universalmente omogenee, ma può presentare modulazioni variamente articolate a seconda dei diversi ordinamenti, fatto salvo il limite di ordine generale opponibile in forza di una patente violazione del diritto di difesa nell'ipotesi in cui tali dichiarazioni siano state illecitamente acquisite, ossia rilasciate con minaccia, violenza o tortura: ipotesi, questa, non ravvisabile nel caso in esame, dove lo stesso ricorrente ebbe a svolgere attività investigative con l'ausilio di un investigatore privato e a farne successivamente l'oggetto delle sue spontanee dichiarazioni.
7.3. Infondate devono altresì ritenersi le denunciate violazioni del contraddittorio nell'assunzione della prova, poichè i diritti fondamentali, tra i quali rientra anche il principio del contraddittorio nella formazione della prova, possono essere garantiti in maniera non uniforme dai vari ordinamenti, essendo solo sufficiente che venga salvaguardato il nucleo essenziale dei diritti di difesa dell'imputato (ex multis v. Sez. 6, n. 36583 del 26/06/2012, Stefan Flavius, Rv. 253539).
Nel caso in esame, come si è già osservato, il ricorrente è stato messo in condizione di esercitare il suo diritto di difesa producendo elementi di prova a discarico e facendo ricorso agli strumenti previsti dalla normativa processuale cilena al fine di dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati, avuto riguardo al fatto che la decisione di condanna pronunciata dall'autorità estera si fonda su un complesso di elementi di prova ritenuti dimostrativi della sua responsabilità non quale coautore, ma a titolo concorsuale nella realizzazione dei reati che hanno portato alla morte e al sequestro delle persone che si trovavano sotto la sua custodia, e che alcuna connotazione di decisività - comunque non apprezzabile in questa sede - è stata prospettata in relazione al contenuto delle prove a discarico la cui ammissione sarebbe stata ingiustamente denegata.
8. Infondate devono ritenersi le questioni dal ricorrente dedotte in merito alle condizioni del trattamento carcerario cui egli sarebbe sottoposto negli istituti penitenziari dello Stato richiedente.
A fronte delle rappresentate difficoltà in cui versano taluni istituti di pena dello Stato richiedente, la difesa del Governo cileno ha indicato esattamente il carcere - appositamente destinato al personale militare - ove l'estradando verrebbe ad essere detenuto (l'istituto penitenziario di Penta Peuco), non solo allegando positive informazioni sull'adeguatezza delle relative infrastrutture e documentate attestazioni riguardo alla accertata effettività della tutela dei diritti fondamentali delle persone ivi ristrette, ma assicurandone anche il rispetto, senza che sulle peculiari condizioni e caratteristiche di tale struttura carceraria - cui il ricorrente fin dal novembre 2014 è stato destinato - siano state dedotte valide e specifiche contro-argomentazioni volte ad infirmare la fondatezza delle predette allegazioni.
Inammissibili, perchè genericamente formulate e sfornite di congrui elementi giustificativi, devono infine ritenersi le doglianze dal ricorrente enunciate (v., in narrativa, il par. 3.3.) con riferimento a non meglio precisati rischi di inosservanza dei diritti fondamentali in fase di esecuzione della pena ovvero a indebite ingerenze del potere politico nell'operato della magistratura cilena.
9. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà all'espletamento degli incombenti ex art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021