La detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto è reato anche in caso di contraffazione grossolana, poiché la norma indicata tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno non ricorrendo quindi l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno.
Corte di Cassazione
sez. II Penale, sentenza 8 gennaio – 28 febbraio 2019, n. 8783
Presidente Diotallevi – Relatore Di Paola
Ritenuto in fatto
1. La Corte d'appello di Genova, con sentenza in data 18/9/2017, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Genova in data 5 dicembre 2016, riduceva la pena inflitta a Di. El., confermando la dichiarazione di responsabilità per i delitti di cui agli artt. 474, comma 2, 473, comma 1, seconda parte, 648 cod. pen.
2. L'accertamento dei fatti oggetto di contestazione era scaturito da un controllo effettuato presso l'abitazione occupata dall'imputato che, all'atto dell'intervento degli operanti, aveva cercato di ostacolare l'ingresso dei militari che ritrovavano numerose etichette di noti marchi di moda, una macchina da cucire, capi di abbigliamento, accessori e profumi, tutti con marchi contraffatti, assieme all'attrezzatura necessaria per la contraffazione dei marchi. L'intervento era sorto in quanto era stata notata l'uscita dallo stabile, ove si trovava l'abitazione dell'imputato, di un cittadino straniero che, sorpreso con un sacco contenente merce contraffatta, aveva dichiarato di essersi recato in quel luogo per farsi cucire alcune etichette.
3.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso vizio di motivazione, ritenuta mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, ai sensi dell'art. 606, lett. E) cod. proc. pen., in relazione all'affermazione di responsabilità dell'imputato, fondata sull'assunto che la qualità di detentore dell'immobile, ove erano state cucite alcune etichette false, comportasse la responsabilità del ricorrente per la detenzione di tutto il materiale ivi rinvenuto, pur in presenza di altri soggetti all'interno della medesima abitazione e senza la precisa dimostrazione della finalità della detenzione del materiale per la successiva vendita.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, ritenuta mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, ai sensi dell'art. 606, lett. E) cod. proc. pen., in relazione all'esclusione della circostanza attenuante di cui all'art. 648, comma 2 cod. pen., desunta dall'attribuzione dell'intero materiale sequestrato al solo ricorrente.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge, ai sensi dell'art. 606, lett. B) cod. proc. pen., in relazione all'art. 474 cod. pen., per ciò che concerne la prova della falsificazione dei contrassegni dei prodotti detenuti, intesa come capacità di indurre confusione nel consumatore medio sull'origine e provenienza dei prodotti, risultando con evidenza il carattere grossolano della contraffazione.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'art. 606, lett. B) cod. proc. pen., la violazione della legge penale in relazione agli artt. 474 e 648, cod. pen.; la sentenza aveva erroneamente affermato il concorso tra i due reati contestati, ipotesi che invece andava esclusa per l'identità dei beni tutelati dalle norme.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'art. 606, lett. E) cod. proc. pen., il vizio della motivazione in relazione all'operato trattamento sanzionatorio, considerata la misura dell'aumento per la continuazione, del tutto ingiustificato.
Considerato in diritto
1.1. Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato oltre che generico.
1.2. Il primo e il secondo motivo di ricorso, tra loro logicamente collegati dalla comune censura relativa all'attribuzione all'imputato della disponibilità della merce sequestrata e, quindi, delle condotte desunte da tale condizione di fatto, sono entrambi inammissibili, poiché il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata e di quella di primo grado (atteso l'esito conforme nei giudizi di merito che consente la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della cd. doppia conforme - su cui v., da ultimo, Sez. 3, n. 23767 del 24/11/2016, dep. 2017, Aprea -; Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096).
La decisione d'appello, infatti, ha fornito una motivazione congrua e logica a sostegno dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, non desumendola dal solo dato dell'essere il ricorrente il detentore dell'immobile, ove erano state cucite alcune etichette false; la decisione ha rilevato che per le caratteristiche dell'immobile detenuto, per la disposizione del materiale illecito, per lo più concentrato nella stanza usata con esclusività dal ricorrente, il quale peraltro aveva ammesso la detenzione degli oggetti rinvenuti nell'appartamento (v. pag. 1 della sentenza del Tribunale), era corretta la deduzione logica della disponibilità dell'intero quantitativo del materiale in capo al ricorrente, senza che la presenza di altri soggetti, ospitati e presenti a vario titolo, potesse alterare il risultato del rinvenimento della merce poi sequestrata.
Una volta stabilita la logicità della motivazione sul punto, è evidente che l'esclusione della circostanza attenuante di cui all'art. 648, comma 2, cod. pen. è stata correttamente motivata richiamando il valore, economicamente rilevante, dell'intero quantitativo dei capi di abbigliamento e degli accessori contraffatti e destinati a esser messi in commercio.
1.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato: la costante giurisprudenza di legittimità insegna che la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto integra il delitto di cui all'art. 474 cod. pen., senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, poiché la norma indicata tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, «ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno non ricorrendo quindi l'ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno» (in questi termini, tra le tante, Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, Faje, Rv. 258722; nello stesso senso, Sez. 5, n. 21049 del 26/04/2012, Pascale, Rv. 252974; Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, Diasse, Rv. 252836; Sez. 2, n. 28423 del 27/04/2012, Fabbri, Rv. 253417, relativa a ipotesi in ci sia espressamente indicata la falsità del prodotto offerto n vendita).
1.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, perché anch'esso manifestamente infondato: costituisce patrimonio consolidato della giurisprudenza di legittimità il riconoscimento della possibilità del concorso tra i delitti di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) e il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.), atteso che «le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore» (Sez. Unite, n. 23427 del 09/05/2001, Ndiaye, Rv. 218771, seguita da Sez. 3, n. 23636 del 07/05/2002, Di. Serigne Mbacke, Rv. 221996; Sez. 2, n. 11764 del 20/01/2003, Corneti, Rv. 223902; Sez. 2, n. 12452 del 04/03/2008, Altobello, Rv. 239745).
1.5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, perché generico e aspecifico; la doglianza prospettata è priva di autonomo e specifico contenuto, a fronte di una motivazione che ha rappresentato in modo adeguato le ragioni, di fatto e logiche, che hanno determinato l'individuazione della misura degli aumenti per la continuazione, tra i reati ravvisati nelle condotte dell'imputato, avendo considerato il ragguardevole numero (oltre il centinaio) delle merci contraffatte.
3. All' inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.