Le disposizioni legislative e regolamentari, che disciplinano le modalità di formazione dei fascicoli, non hanno una semplice finalità di razionale ed omogenea sistemazione degli atti processuali, ma sono volte a rendere possibile e, in certa misura, ad agevolare l’esercizio dei diritti spettanti alle parti.
Nell’ipotesi che il fascicolo trasmesso, specie se voluminoso, presenti difficoltà di consultazione, a causa del disordine con cui sono stati inseriti gli atti e della mancanza di un indice, sia le parti che lo stesso giudice non sono posti nelle condizioni per esercitare con la dovuta accuratezza ed efficacia il proprio mandato e la propria funzione. A ciò si aggiunge, quando manchi l’indice degli atti, la maggior difficoltà di rilevare indebite manipolazioni del fascicolo stesso, in ipotesi effettuate mediante la sottrazione o l’inserimento di documenti in tempi successivi alla richiesta di rinvio a giudizio.
La situazione di difficoltà ben può essere rilevata dal giudice, il quale può sollecitare il pubblico ministero ad effettuare la corretta sistemazione del fascicolo, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 3 del decreto ministeriale n. 334 del 1989. L’invito a riordinare il fascicolo trova il suo fondamento nell’art. 124 cod. proc. pen., che fa obbligo ai magistrati, ai cancellieri e agli altri ausiliari del giudice di osservare le norme processuali, la cui violazione, in aggiunta alle specifiche conseguenze processuali, è causa di responsabilità disciplinare.
Una sollecitazione al rispetto delle disposizioni concernenti il fascicolo non comporta una regressione del procedimento: in una normale dialettica tra uffici, il pubblico ministero è invitato dal giudice a perfezionare un adempimento collaterale rispetto alla richiesta del decreto che dispone il giudizio.
Rientra nei poteri del giudice regolarne le cadenze in guisa da rendere concreta la possibilità per le parti di spiegare la propria attività, garantendo l’effettività del contraddittorio, anche, se del caso, mediante il rinvio per un tempo necessario e sufficiente a compensare le difficoltà «aggiuntive» derivanti da fascicoli non razionalmente organizzati o molto complessi.
Non si può escludere in assoluto che la caoticità del fascicolo – in ipotesi composto da migliaia di pagine – sia tale, anche dopo un insufficiente riordino, da incidere seriamente sul diritto di difesa delle parti. Solo in tale eccezionale eventualità si deve ritenere che l’irregolarità del fascicolo depositato equivalga ad omesso deposito, con la conseguenza della inutilizzabilità degli atti e dei documenti non trasmessi, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, o addirittura della nullità ex art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., ove si ritenesse, secondo altro orientamento interpretativo, che l’attività difensiva è in concreto compromessa dalla mancata conoscenza degli elementi di indagine.
L’effettività dei diritti fondamentali, tra i quali va certamente annoverato il diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., viene meno non soltanto se le norme vigenti consentono che sia radicalmente impedito il loro esercizio, pur formalmente riconosciuto, ma anche se è possibile che si creino, senza la previsione di adeguati rimedi, situazioni tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio stesso. Solo in assenza di tali efficaci rimedi, desumibili dal sistema processuale vigente, questa Corte dovrebbe intervenire per ripristinare, anche con una pronuncia additiva, la tutela del diritto illegittimamente compresso.
Nel caso di specie, l’ordinamento rende praticabile una gamma di possibili reazioni all’eventuale, censurabile comportamento dell’ufficio del pubblico ministero, che abbia depositato un fascicolo difforme dalle prescrizioni legislative e regolamentari in materia. Gli effetti che si possono verificare, proporzionati alla gravità delle anomalie concretamente riscontrate, vanno da una sollecitazione a regolarizzare la documentazione allegata alla richiesta del decreto che dispone il giudizio ad un rinvio disposto dal giudice − con segnalazione della disfunzione al capo dell’ufficio ai sensi dell’art. 124, comma 2, cod. proc. pen. − sino alla equiparazione della impossibile o troppo difficile lettura degli atti e documenti contenuti nel fascicolo al mancato deposito dello stesso.
Corte Costituzionale
SENTENZA N. 142 ANNO 2009
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 416 del codice di procedura penale promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese con ordinanza del 29 novembre 2007, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, con ordinanza del 29 novembre 2007, ha sollevato – in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma (recte: terzo comma), della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 416 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede una sanzione di nullità per i casi in cui il fascicolo trasmesso al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio sia predisposto senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nello stesso art. 416 cod. proc. pen., nell’art. 130 delle «Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale» (approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) e nell’art. 3 del decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale).
Il rimettente, che procede in ordine ad un fatto di omicidio per colpa professionale medica, riferisce delle doglianze difensive manifestate riguardo alle caratteristiche del fascicolo processuale trasmesso dal pubblico ministero in vista dell’udienza preliminare. Detto fascicolo, secondo quanto riferito dal giudice a quo, contiene documentazione processuale non (più) pertinente, ma, «soprattutto, contiene atti e produzioni raccolti non in ordine cronologico, numerati in progressione; la copertina contiene anche i nomi delle persone non imputate e non contiene la data di iscrizione dell’imputata […] nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p.; l’indice degli atti e delle produzioni è assolutamente generico, accorpando in macro-voci centinaia di atti e rendendo di fatto impossibile, solo in base ad esso, il rinvenimento nel carteggio di atti riguardanti la posizione di singoli imputati».
Secondo il rimettente, che disattende in proposito un’eccezione difensiva, la pur palese violazione dei criteri fissati dalla legge per la formazione del fascicolo (art. 130 disp. att. cod. proc. pen. e art. 3 reg. esec. cod. proc. pen.) non sarebbe produttiva di nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera b) del codice di rito penale. Infatti, nella specie, sarebbe in questione non l’iniziativa del pubblico ministero per il promovimento dell’azione penale, quanto piuttosto la modalità dell’esercizio di tale azione nel caso concreto.
Il giudice a quo esclude, nel prosieguo, che la ricorrenza della nullità possa essere desunta da altri parametri normativi. Sarebbe irrilevante, in proposito, il disposto della lettera c) del comma 1 dell’art. 178 cod. proc. pen., dato che le irregolarità della fascicolazione non potrebbero dirsi «concernenti» l’assistenza tecnica dell’imputato. Nessuna specifica nullità, per altro verso, è prevista nell’art. 416 cod. proc. pen. riguardo alla trasmissione degli atti, e la circostanza sarebbe risolutiva, a parere del rimettente, in forza del principio di tassatività delle sanzioni processuali fissato nell’art. 177 dello stesso codice. Del resto, la giurisprudenza escluderebbe con orientamento unanime che l’assenza di determinati atti nel fascicolo trasmesso per l’udienza preliminare comporti una nullità, e non la semplice inutilizzabilità degli atti medesimi.
Tutto ciò premesso, il giudice a quo ritiene che la carenza di una sanzione processuale nella fattispecie descritta determini un duplice vulnus per il diritto di difesa, come garantito dal secondo comma dell’art. 24 Cost. In primo luogo, sarebbe pregiudicato l’interesse alla «certezza» circa la «identità» degli atti destinati a formare la base cognitiva del giudizio. Una tale certezza sarebbe tanto più essenziale in un sistema fondato sulla pluralità dei «canestri documentali», che si formano a seconda della fase e della tipologia del giudizio, e fondato anche sulla rilevanza conferita al tempo dell’acquisizione di singoli atti, attraverso un complesso sistema di limiti all’utilizzabilità delle fonti di prova. La violazione delle norme sulla composizione del fascicolo non consentirebbe, in particolare, di escludere che determinati atti vengano inseriti in fasi successive alla trasmissione del fascicolo ex art. 416 cod. proc. pen. D’altra parte, l’omessa indicazione della data della iscrizione del nominativo di un singolo imputato nel registro delle notizie di reato sarebbe d’ostacolo al relativo computo dei termini di durata dell’indagine, e dunque all’identificazione degli atti effettivamente utilizzabili nei confronti dell’interessato.
Una lesione del diritto di difesa, in secondo luogo, deriverebbe dall’ostacolo frapposto ad un tempestivo e completo esame del carteggio processuale. Le difficoltà connesse alla mole degli atti ed all’assenza di indici attendibili potrebbero comportare carenze cognitive, «con pericolose ricadute in termini di adeguatezza dell’attività difensiva». Il rischio sarebbe particolarmente grave nella fase dell’udienza preliminare, quando la difesa è chiamata a compiere scelte avvertite, e non più revocabili, a proposito dell’eventuale ricorso a riti alternativi.
Secondo il rimettente la questione proposta – di sicura rilevanza, non potendosi valutare «senza la certezza circa il canestro documentale» la richiesta di rinvio a giudizio e quella eventuale di accesso ad un rito speciale – non potrebbe essere superata attraverso una soluzione «adeguatrice». La restituzione degli atti al pubblico ministero, al fine di determinare una nuova e corretta fascicolazione della documentazione processuale, non potrebbe prescindere da una dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, della quale però, ancora una volta, lo stesso rimettente esclude i presupposti.
Il giudice a quo non ritiene, a tale ultimo proposito, che possa utilmente evocarsi l’orientamento giurisprudenziale che nega l’abnormità dei provvedimenti di annullamento della richiesta di rinvio a giudizio assunti su base sistematica (orientamento che si manifesta nei casi di perdurante indeterminatezza dell’imputazione). L’art. 416 cod. proc. pen.prevede al primo comma una serie tassativa di ipotesi di nullità della richiesta in questione, e «relega» al secondo comma le disposizioni sulla formazione del fascicolo. In queste condizioni – assume il rimettente – la configurazione di una nullità implicherebbe palese violazione del principio di tassatività delle sanzioni processuali.
Da ultimo, il giudice a quo assume che la disciplina censurata contrasterebbe anche con il secondo comma (recte: terzo comma) dell’art. 111 Cost., posto che non sarebbero assicurati alla difesa il tempo e le condizioni per il concreto suo esplicarsi, almeno nei casi, come quello di specie, di fascicoli composti da migliaia di pagine e pertinenti a fatti molto complessi.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 17 giugno 2008, concludendo per la inammissibilità o la infondatezza della questione sollevata.
La difesa erariale assume, in particolare, che le doglianze del rimettente sarebbero (manifestamente) infondate in quanto il sistema assicura, nel suo complesso, le condizioni per un pieno ed efficace accesso della difesa agli atti che formano la base cognitiva del procedimento.
La richiesta di rinvio a giudizio è preceduta, a norma dell’art. 415-bis cod. proc. pen., dal deposito degli atti, che restano a disposizione delle parti e dei loro difensori per venti giorni almeno. Un esame ulteriore è consentito per almeno dieci giorni, e cioè per il termine dilatorio che deve intercorrere tra la notifica dell’avviso per l’udienza preliminare e la celebrazione dell’udienza medesima. Il relativo decreto di fissazione, d’altronde, contiene l’invito alla trasmissione della documentazione pertinente ad indagini svolte dopo la richiesta di rinvio a giudizio.
La disponibilità di un termine generale mai inferiore a trenta giorni (e, in realtà, necessariamente superiore) comporta, secondo l’Avvocatura generale, la possibilità di un adeguato espletamento della funzione difensiva anche in caso di fascicoli voluminosi e non ordinati secondo il disposto dell’art. 3 reg. esec. cod. proc. pen. Quanto all’eventualità di atti mancanti, lo stesso rimettente ricorda che, per giurisprudenza costante, la lesione del diritto di difesa è preclusa dalla inutilizzabilità degli atti medesimi.
Non avrebbe pregio, infine, la particolare doglianza concernente la valutazione finalizzata ad una eventuale richiesta di accesso ai riti speciali. La domanda di giudizio abbreviato, infatti, può essere posticipata fino alla fine della discussione nell’udienza preliminare, e cioè avendo modo di attendere che il giudice corregga eventuali irregolarità. Per una eventuale richiesta di giudizio immediato, poi, le prerogative della difesa sarebbero comunque garantite, «in quanto il fascicolo verrebbe formato nel contraddittorio tra le parti».
Considerato in diritto
1. – Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, con l’ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 416 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede una sanzione di nullità per i casi in cui il fascicolo trasmesso al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio sia predisposto senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nello stesso art. 416 cod. proc. pen., nell’art. 130 delle «Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale» (approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) e nell’art. 3 del decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334 (Regolamento per l’esecuzione del codice di procedura penale).
La norma violerebbe l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dato che un fascicolo composto in guisa da non consentire la identificazione degli atti tempestivamente depositati, e l’epoca della loro acquisizione, lede il diritto della difesa ad ottenere «certezza» circa la base cognitiva per l’udienza preliminare, anche al fine di valutare le opzioni concernenti i riti speciali, ed inoltre può pregiudicare, nell’ambito di procedimenti complessi, la concreta possibilità di un’adeguata conoscenza degli atti. Si prospetta inoltre la violazione dell’art. 111, secondo comma (recte: terzo comma), Cost., in quanto un fascicolo composto con le modalità indicate, nel caso comprenda atti numerosi e complessi, non garantirebbe il tempo e le condizioni necessari per preparare la difesa dell’imputato.
2. – La questione non è fondata.
2.1. – Il rimettente segnala un problema reale, che può assumere, nello svolgimento dei singoli procedimenti, gravità maggiore o minore, a seconda delle concrete situazioni. Si deve rilevare, infatti, che le disposizioni legislative e regolamentari, che disciplinano le modalità di formazione dei fascicoli, non hanno una semplice finalità di razionale ed omogenea sistemazione degli atti processuali, ma sono volte a rendere possibile e, in certa misura, ad agevolare l’esercizio dei diritti spettanti alle parti. Lo stesso rimettente tuttavia ritiene che non esistano nel sistema processuale penale vigente strumenti idonei a porre rimedio alle eventuali anomalie riscontrabili nel fascicolo, contenente la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari, che il pubblico ministero deve trasmettere per il deposito nella cancelleria del giudice, a corredo della richiesta di rinvio a giudizio, a norma dell’art. 416, comma 2, cod. proc. pen.
Nell’ipotesi che il fascicolo di cui sopra, specie se voluminoso, presenti difficoltà di consultazione, a causa del disordine con cui sono stati inseriti gli atti e della mancanza di un indice, sia le parti che lo stesso giudice non sono posti nelle condizioni per esercitare con la dovuta accuratezza ed efficacia il proprio mandato e la propria funzione. A ciò si aggiunge, quando manchi l’indice degli atti, la maggior difficoltà di rilevare indebite manipolazioni del fascicolo stesso, in ipotesi effettuate mediante la sottrazione o l’inserimento di documenti in tempi successivi alla richiesta di rinvio a giudizio.
2.2. – La situazione di difficoltà ben può essere rilevata dal giudice, il quale – contrariamente a quanto si argomenta nell’atto introduttivo – può sollecitare il pubblico ministero ad effettuare la corretta sistemazione del fascicolo, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 3 del decreto ministeriale n. 334 del 1989. L’invito a riordinare il fascicolo trova il suo fondamento nell’art. 124 cod. proc. pen., che fa obbligo ai magistrati, ai cancellieri e agli altri ausiliari del giudice di osservare le norme processuali, la cui violazione, in aggiunta alle specifiche conseguenze processuali, è causa di responsabilità disciplinare.
Non si può condividere l’assunto del rimettente, basato sulla considerazione che una sollecitazione al rispetto delle disposizioni concernenti il fascicolo comporterebbe una regressione del procedimento, possibile solo se venisse dichiarata la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, preclusa dall’attuale quadro normativo. Si deve osservare invece che il procedimento regredisce quando viene annullato l’atto introduttivo di una fase e non certamente quando, in una normale dialettica tra uffici, il pubblico ministero è invitato dal giudice a perfezionare un adempimento collaterale rispetto alla richiesta del decreto che dispone il giudizio. Il rinvio di fatto conseguente al provvedimento del giudice avrebbe peraltro una funzione compensativa per le parti, dando alle stesse un margine di tempo aggiuntivo per la preparazione delle rispettive difese, anche considerato che la richiesta di rinvio a giudizio è preceduta, comunque, da un deposito preliminare degli atti a norma dell’art. 415-bis cod. proc. pen.
Si consideri ulteriormente, per il caso che l’udienza sia già stata fissata, che rientra nei poteri del giudice regolarne le cadenze in guisa da rendere concreta la possibilità per le parti di spiegare la propria attività, garantendo l’effettività del contraddittorio, anche, se del caso, mediante il rinvio per un tempo necessario e sufficiente a compensare le difficoltà «aggiuntive» derivanti da fascicoli non razionalmente organizzati o molto complessi (questa Corte ha già rilevato, ad esempio con la sentenza n. 16 del 1994, che anche per l’udienza preliminare, nei limiti del relativo oggetto, l’esigenza di celerità va contemperata con la garanzia di effettività del contraddittorio).
L’introduzione di una nuova causa di nullità per mezzo di una sentenza additiva di questa Corte – come richiesto dal giudice a quo – determinerebbe una eccessiva rigidità delle conseguenze derivanti da una irregolare formazione del fascicolo, che potrebbe essere contraria agli stessi legittimi interessi delle parti ed in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo fissato dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione. In altre parole, la sanzione processuale invocata finirebbe per essere sproporzionata, in molti casi, e quindi controproducente rispetto alle stesse finalità di tutela che hanno mosso il rimettente a sollevare la questione. Il giudice infatti deve avere la possibilità di valutare caso per caso la gravità della situazione venutasi a creare, allo scopo di indicare, quando ciò sia possibile, un congruo termine, entro il quale il pubblico ministero deve provvedere al riordino della documentazione secondo i criteri dettati dalle norme vigenti, e comunque allo scopo di garantire effettività di esercizio per i diritti delle parti.
2.3. – Non si può escludere in assoluto che la caoticità del fascicolo – in ipotesi composto da migliaia di pagine – sia tale, anche dopo un insufficiente riordino, da incidere seriamente sul diritto di difesa delle parti.
Solo in tale eccezionale eventualità si deve ritenere che l’irregolarità del fascicolo depositato equivalga ad omesso deposito, con la conseguenza della inutilizzabilità degli atti e dei documenti non trasmessi, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, o addirittura della nullità ex art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., ove si ritenesse, secondo altro orientamento interpretativo, che «l’attività difensiva è in concreto compromessa dalla mancata conoscenza degli elementi di indagine» (Cass. pen., sentenza n. 14588 del 1999).
L’effettività dei diritti fondamentali, tra i quali va certamente annoverato il diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., viene meno non soltanto se le norme vigenti consentono che sia radicalmente impedito il loro esercizio, pur formalmente riconosciuto, ma anche se è possibile che si creino, senza la previsione di adeguati rimedi, situazioni tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio stesso. Solo in assenza di tali efficaci rimedi, desumibili dal sistema processuale vigente, questa Corte dovrebbe intervenire per ripristinare, anche con una pronuncia additiva, la tutela del diritto illegittimamente compresso.
Nel caso di specie, l’ordinamento rende praticabile una gamma di possibili reazioni all’eventuale, censurabile comportamento dell’ufficio del pubblico ministero, che abbia depositato un fascicolo difforme dalle prescrizioni legislative e regolamentari in materia. Gli effetti che si possono verificare, proporzionati alla gravità delle anomalie concretamente riscontrate, vanno da una sollecitazione a regolarizzare la documentazione allegata alla richiesta del decreto che dispone il giudizio ad un rinvio disposto dal giudice − con segnalazione della disfunzione al capo dell’ufficio ai sensi dell’art. 124, comma 2, cod. proc. pen. − sino alla equiparazione della impossibile o troppo difficile lettura degli atti e documenti contenuti nel fascicolo al mancato deposito dello stesso. È evidente infatti – come già s’è detto – che l’adempimento imposto dall’art. 416, comma 2, cod. proc. pen. è finalizzato all’esercizio del diritto di difesa delle parti del giudizio, oltre che a rendere possibile al giudicante la conoscenza degli atti delle indagini preliminari. Se l’uno e l’altro sono resi impossibili o irragionevolmente difficili – alimentando peraltro il dubbio, in caso di assenza dell’indice, circa possibili manipolazioni del materiale allegato – il deposito del fascicolo deve ritenersi solo apparente, con tutte le possibili conseguenze processuali, sopra indicate, da ciò derivanti.
3. – In definitiva, proprio l’interesse costituzionalmente tutelato delle parti e dell’intera collettività ad un sollecito svolgimento del processo penale richiede che non si irrigidisca, con una previsione di nullità, l’effetto della violazione delle disposizioni sulla formazione del fascicolo, ma che si lasci al giudice il potere e la responsabilità di adottare provvedimenti ispirati ad una reazione flessibile, proporzionale alle irregolarità riscontrate, nella prospettiva del soddisfacimento, nei singoli specifici casi, della prescrizione di cui all’art. 111, terzo comma, Cost.: «la legge assicura che la persona accusata di un reato […] disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 416 del codice di procedura penale, sollevata, con riferimento agli articoli 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.