Non per qualsiasi tipo di contatto con zone anche erogene del corpo può essere considerato di per sè atto sessuale, senza che ne siano prese in esame e valutate le modalità e le finalità.
La condotta vietata dall'art. 609-bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere nel debito conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, l'intero contesto in cui il contatto si è realizzato anche in relazione alla dinamica intersoggettiva in cui esso è inserito.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
(ud. 02/03/2017) 13-11-2017, n. 51582
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -
Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - rel. Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -
Dott. CIRIELLO Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.L., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 307/2013 della Corte di appello de L'Aquila del 3 giugno 2013;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORASANITI Giuseppe, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
sentiti, altresì, per la parte civile V.F.L., l'avv. Gianluca TOTANI, del foro de L'Aquila, e, per la parte civile R.V.L., l'avv. Massimo MANIERI, del foro de L'Aquila, che hanno depositato conclusioni scritte, e, per il ricorrente, l'avv. Francesco VECCHIONI, del foro di Teramo, il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di appello de L'Aquila, con sentenza del 11 maggio 2015, ha solo parzialmente confermato la precedente sentenza con la quale, in data 3 giugno 2013, il Tribunale della medesima città aveva condannato alla pena di anni 2 di reclusione, oltre accessori, T.L. per avere compiuto atti di violenza sessuale in danno di R.L., all'epoca dei fatti soggetto di età inferiore ai 10 anni, disponendo a carico dell'imputato il risarcimento del danno ed il rimborso delle spese di lite in favore delle costituite parti civili.
La Corte territoriale, in tal senso correggendo una evidente discrasia contenuta nella sentenza di primo grado - nella quale ad una motivazione ove era chiaramente limitata l'affermazione della penale responsabilità ad uno solo degli episodi di cui al capo di imputazione, corrispondeva, invece, un dispositivo nel quale la condanna era riferita alla integralità della contestazione mossa al prevenuto -, ha provveduto a chiarire che la affermazione della responsabilità del T. doveva essere limitata ad uno solo degli episodio di violenza, in particolare a quello che si sarebbe verificato in data (OMISSIS), assolvendolo con la formula della insussistenza del fatto relativamente alle restanti condotte ma conservando, tuttavia, immutata la entità della sanzione irrogata.
Avverso la sentenza del giudice del gravame ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto, contestandone la legittimità con riferimento ad un ritenuto vizio di motivazione quanto alla riconducibilità della condotte poste in essere dal T. alla categoria concettuale degli atti di natura sessuale e non a condotte di gioco, come, peraltro, sostenuto, secondo il ricorrente, dagli stessi testi di accusa che avevano preso diretta visione dei fatti.
Il ricorrente ha, altresì, contestato la motivazione della sentenza anche sotto il profilo della sua intima contraddittorietà, posto che, in sede di merito, le dichiarazioni della persona offesa sono state per un verso ritenute insufficienti per la affermazione della responsabilità dell'imputato riguardo alle condotte diverse rispetto a quella posta in essere in data (OMISSIS), e, per altro verso, sono state valorizzate ai fini della condanna del T. in relazione a quel solo restante fatto a lui addebitato, essendo stato precisato dalla Corte territoriale che la natura di atto sessuale attribuibile alle condotte del T. sarebbe stata desunta anche dalla percezione di esse come tali da parte della stessa parte offesa, secondo quanto dalla medesima riferito.
Il ricorrente ha, infine, contestato la motivazione della sentenza impugnata, sostenendone la omessa considerazione della esistenza di elementi che avrebbero ben potuto giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
In data 6 febbraio 2017 il difensore del prevenuto ha depositato una memoria con la quale ha ulteriormente illustrato il primo motivo di impugnazione, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Essendo fondato il ricorso, la sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, annullata.
Ritiene la Corte di dovere esaminare prioritariamente la censura avente ad oggetto la astratta configurabilità delle condotte attribuite al T. come tali da integrare, secondo la qualificazione normativa di cui all'art. 609-bis c.p. e segg., la nozione di atto sessuale.
Nella giurisprudenza di questa Corte ai fini della configurabilità di una determinata condotta materia in guisa di "atto sessuale" sono stati espressi almeno due principali orientamenti; secondo il primo, numericamente prevalente e che ben può definirsi espressione di una concezione certamente più rigorosamente orientata verso la oggettività della condotta, la materialità del reato di cui all'art. 609-bis c.p. , comprende, ovviamente oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne l'eccitazione, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, fossero pure queste volte esclusivamente ad offendere ovvero umiliare la persona offesa o comunque a lederne altri beni-interessi diversi dalla libertà sessuale; essendo sufficiente ai fini della materialità del fatto-reato che l'agente sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 21 maggio 2015, n. 21020).
Nello stesso ordine di idee, ma con una più intensa caratterizzazione casistica, questa Corte, pur valorizzando l'aspetto soggettivo come elemento tale da dare un particolare contenuto alla materialità della condotta, ha rilevato che il profilo del dolo generico del reato di cui all'art. 609-bis c.p. , è consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicchè, onde integrare il reato, non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri fisici dell'agente nè rilevano possibili fini ulteriori - di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale dal medesimo perseguiti (così, in particolare, Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 3 febbraio 2015, n. 4913; parimenti orientata nel senso della irrilevanza della finalità della condotta ai fini della integrazione del reato, ove la sua materialità si realizzi attraverso condotte il cui obbiettivo contenuto attinga - attraverso il coinvolgimento di quelle che, secondo una diffusa cultura ed un condiviso costume sociale, vengono considerate la parti del corpo tali da suscitare il compiacimento erotico - alla sfera della verecondia sessuale della vittima, cfr. Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 3 novembre 2011, n. 39710; idem Sezione 3 penale, 4 maggio 2000, n. 1405).
Secondo un diverso orientamento, volto, invece, ad valorizzare, rispetto alla materialità della condotta, la sia direzione escatologica, la condotta vietata dall'art. 609-bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere nel debito conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, l'intero contesto in cui il contatto si è realizzato anche in relazione alla dinamica intersoggettiva in cui esso è inserito (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 1 giugno 2015, n. 24683).
Dovendosi, pertanto, escludere, secondo il riportato orientamento, il reato ogniqualvolta la condotta dell'agente appaia tale da non comportare, come propria direzione, la violazione della libertà sessuale della vittima, anche laddove, per avventura, da essa sia interessata una porzione corporea del soggetto passivo che sia ordinariamente considerata erogena.
Un tale ragionamento, che questo Collegio convintamente condivide, vale, a fortiori, ove si rifletta sulla circostanza che la idoneità a stimolare per contatto l'istinto sessuale, stante la complessità dei moventi che sottendono ad esso, non è certo esclusiva prerogativa solo di taluni specifici distretti corporei, quali sono quelli elettivamente deputati alla funzione riproduttiva.
Come è, infatti, stato puntualmente osservato, tutte le parti del corpo potrebbero in ipotesi essere considerate zone erogene a seconda delle modalità, dell'intenzione e della finalità con cui avviene l'invasione di esse.
Estremizzando i concetti, dovrebbe ritenersi che anche i semplici toccamenti di una mano, o di un piede, o di un braccio, o del collo e così via potrebbero dar luogo ad un atto sessuale ai sensi dell'art. 609-bis c.p. (e così difatti sono stati ritenuti, in particolari occasioni, dalla giurisprudenza; a tale proposito cfr.: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 12 dicembre 2011, n. 45950, nella quale, sia pure con la riserva della particolare tutela che deve essere riservata al bene libertà sessuale ove esso sia riconducibile ad un titolare minore di età, si è ritenuto fatto idoneo ad integrare il reato di violenza sessuale il contatto, sia pure corredato da altri elementi di condotta, con il ginocchio della vittima; sovviene - onde dimostrare la possibile varietà della casistica, che, come si è testè dimostrato, non è frutto solo della finzione artistica - un considerevole esempio tratto dalla letteratura cinematografica in cui la passione erotica, non trasmodante nella parafilia, del protagonista della pellicola era alimentata proprio dall'immagine del ginocchio di una donna), tuttavia è di intuitiva percezione che non per questo qualsiasi tipo di contatto con quelle zone, come un pugno, un calcio, uno schiaffo e così via potrebbe essere considerato di per sè atto sessuale, senza che ne siano prese in esame e valutate appunto le modalità e le finalità (nel senso della rilevanza del fine della concupiscenza quale elemento del reato si veda anche: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 25 settembre 2003, n. 36758).
A seguire acriticamente la tesi della mera oggettività della condotta, si creerebbero di zone corporee (di cui peraltro neppure sarebbe chiara la delimitazione attesa la già ricordata elevata soggettività concernente il tema in argomento) aggredendo le quali, a prescindere dalle finalità del soggetto agente e del contesto nel quale avviene il fatto, dovrebbe ritenersi integrato per ciò stesso il reato di violenza sessuale.
In tal senso si immagini, oltre ai perspicui esempi ricordati nella sentenza n. 24683 del 2015 di questa Corte, il caso in cui il borseggiatore, onde derubare una persona del portafogli, insinui la propria mano all'interno della giacca di questa, attingendola al seno, ovvero, mosso dal medesimo fine, introduca la mano nella tasca posteriore dei pantaloni del soggetto da derubare, in tal modo entrando in contatto, ancorchè non immediato con i suoi glutei.
In ambedue i casi, come è evidente, il finalismo della condotta è tale da far escludere, ad onta della materialità di essa, che la stessa fosse diretta a violare la, pur attinta, zona erogena della persona offesa, di tal che sarebbe illogico, oltre che palesemente inaccettabile, qualificare la condotta dell'agente nei termini di cui all'art. 609-bis c.p..
Tanto premesso, osserva il Collegio che, quanto al caso di specie, la Corte territoriale ha desunto la connotazione di atto sessuale da attribuire alle condotte del prevenuto sulla sola base della loro apparenza morfologica, come descritta dai due testi di accusa Z. e F., senza prendere in considerazione o, quanto meno, senza fornire adeguati elementi in relazione alla concreta possibilità che il comportamento del T., il quale svolgeva le mansioni di clown animatore volontario presso la (OMISSIS), ove erano ospitati, fra gli altri, alcuni bambini ed adolescenti sfollati a seguito del sisma del 6 aprile del 2009, fosse ascrivibile, invece che alla realizzazione di atti a contenuto sessuale, al compimento di giochi, pur fortemente coinvolgenti il profilo del contatto corporeo, volti a far divagare gli ospiti della struttura ricettiva.
Ciò tanto più ove si rilevi che, per come evidenziato da parte del ricorrente, la attività che il T. svolgeva all'interno della (OMISSIS) - in merito alla quale, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, peraltro in assenza della indicazione delle fonti di derivazione di tale riportata informazione, non risulterebbero essere emerse da parte di chi come lui si occupava dei giovani ospiti ovvero dei genitori di costoro, segnalazione di comportamenti quanto meno sospetti - era effettivamente caratterizzata dallo svolgimento di giochi di contatto che avevano una loro indubbia fisicità.
A tale rilievo, che avrebbe dovuto indurre i giudici del merito ad una più attenta indagine, che non si fermasse alla mera constatazione del fatto che fra il T. e la persona offesa del reato ipotizzato fosse stato rilevato un contatto corpore corpori, va aggiunto non solo il dato che, contraddittoriamente rispetto ad una generale svalutazione della attendibilità delle, peraltro ondivaghe dichiarazioni accusatorie della persona offesa (delle quali viene messa in luce, in ragione dei richiamati "vissuti intrapsichici" emersi in sede di perizia sulla capacità a svolgere le funzioni di testimone, la incertezza sulla genuinità e spontaneità), la Corte ha, inspiegabilmente, corroborato il suo giudizio di colpevolezza dell'imputato in forza della ritenuta percezione della natura sessuale degli atti subiti secondo l'ipotesi accusatoria da parte del minore - del quale è, come rilevato, stata, peraltro, ritenuta dagli stessi giudici del merito quanto meno incerta la attendibilità - ma anche il fatto che uno degli stessi due testi di accusa ha espressamente qualificato come "gioco" la condotta tenuta dall'imputato.
Manifestamente illogica è, al riguardo, la interpretazione data dalla Corte di appello a siffatta espressione, che, in termini apparentemente avulsi dal contesto in cui la stessa è stata pronunziata, ha avuto attribuito nella sentenza impugnata il significato, pregiudizialmente deteriore, di "gioco erotico".
Così come non giustificata è la esclusione della valenza meramente ludica del comportamento del T., ritenuta dalla Corte di merito frutto di un'ipotesi inaccettabile in quanto essa avrebbe richiesto, per come si legge nella sentenza, in termini francamente non facilmente comprensibili data la loro vaghezza, "ben altri contesti e comportamenti".
Alla luce dei rilievi sopra esposti si impone, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata, risultando assorbiti i restanti motivi di impugnazione, con rinvio alla Corte di appello di Perugia la quale dovrà, sulla base degli atti e salva ogni ritenuta opportuna ulteriore acquisizione istruttoria, verificare se, nel comportamento del prevenuto, anche sulla base di un giudizio sinteticamente fondato sulla complessiva ricostruzione della obbiettività del contesto in cui essi sono storicamente inseriti, siano o meno riscontrabili gli elementi sintomatici della direzione finalistica della sua condotta come diretta alla soddisfazione o quanto meno alla eccitazione dell'istinto sessuale, ovvero se gli stessi, pur avendo comportato un contatto fisico con la persona offesa, siano stati determinati esclusivamente da una finalità ludica del tutto scevra da ogni componente di carattere sessuale.
Alla Corte di rinvio, in ragione dell'esito del giudizio ad essa spettante, competerà anche il regolamento delle spese della presenta fase processuale in relazione alla posizione delle costituite parti civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2017