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Gattara condannata, 33 gatti confiscati (Cass. 1510/19)

14 gennaio 2019, Cassazione penale

Le condizioni ambientali di sovraffollamento in cui vengono tenuti degli animali possono integrare il reato di maltrattamento. 

La detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all'art. 727 cod.pen, costituendo reato contravvenzionale, rientra nell'ipotesi in base alla quale deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato (art. 240 comma 2 n. 2 del codice penale).

Sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III PENALE - SENTENZA 14 gennaio 2019, n.1510 - Pres. Lapalorcia – est. Di Stasi

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 21/11/2017, il Tribunale di Milano dichiarava Be. El. responsabile del reato di cui all'art. 727 cod.pen, perché deteneva presso il proprio appartamento di abitazione n. 33 gatti con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili, con la loro natura, in ragione delle condizioni di sovraffollamento degli animali e di pessime condizioni di igiene dei luoghi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Be. El., a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.

Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 727 cod.pen.

Deduce che il Tribunale aveva tratto dalle condizioni ambientali in cui erano tenuti gli animali, attraverso una sorta di automatismo argomentativo, la sussistenza di sofferenze a carico degli animali, senza accertare la sussistenza di un effettivo nocumento sofferto dagli stessi, anche nella forma del semplice patimento, né la gravità delle sofferenze.

Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione e travisamento della prova, in relazione all'affermazione di responsabilità, lamentando l'erronea e parziale valutazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, di quelle offerte dalla difesa (planimetria dell'appartamento della ricorrente, allegazioni fotografiche ritraenti gli animali in epoca precedente l'accertamento, fatture di acquisto del cibo differenziato anche per età degli animali) che comprovavano cura ed attenzione della Be. nei confronti degli animali; in merito alle condizioni di salute degli animali, poi, era stata semplicemente richiamata ma non valutata la consulenza tecnica a firma della dott.ssa Ci. Co., prodotta dalla difesa all'udienza del 7.11.2017, le cui risultanze consentivano di affermare che le patologie potevano essersi successivamente manifestate per ragioni diverse da negligenza nella cura o sovraffollamento; del pari non erano state valutate le significative dichiarazioni rese dai testi Ma. e Po., le dichiarazioni dell'imputata e la documentazione sanitaria degli animali, dimostrative della cura per gli animali.

Con il terzo motivo deduce violazione di legge e travisamento della prova in punto della disposta confisca, lamentando che non era stata valutata l'intervenuta modifica della originaria situazione di fatto dell'appartamento, che, successivamente ai fatti, era stato oggetto di intervento di risanamento.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.

Nei motivi in esame, si espongono, in sostanza, censure puramente contestative le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).

E', inoltre affermazione costante che, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, - come avvenuto nella specie- procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601; Sez.4, n.46979 del 10/11/2015, Rv.265053).

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

E', stato infatti, condivisibilmente affermato (Sez.4, n. 18167 del 2017, non mass.) che la detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all'art. 727 cod.pen, costituendo reato (sia pure contravvenzionale), rientra nell'ipotesi di cui all'art. 240 comma 2 n. 2 del codice penale (in base al quale, come è noto, deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato).

Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.