La sentenza del giudice penale che, accertando l'esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla "declaratoria iuris" di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come "potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati.
Quando si afferma che l'esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell'accertamento del "fatto- reato", il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, è al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l'indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli.
In relazione all'accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell'esistenza del nesso di causalità (oltre che il profilo dell'esistenza e quantificazione del danno), resta quindi ferma all'esito del giudicato penale la competenza del giudice civile anche con riferimento all'ipotesi del reato cosiddetto di danno.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Ordinanza 16 gennaio - 5 maggio 2020, n. 8477
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente - Dott. DI FLORIO Antonella - Consigliere - Dott. SCODITTI Enrico - rel. Consigliere - Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere - Dott. CRICENTI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 16623-2018 proposto da:
S.A., M.G., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato GS;
- ricorrenti - contro
I.A., C.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CHIANA 35 SC 3 INT 24, presso lo studio dell'avvocato GIANCARLO MAZZE', rappresentati e difesi dall'avvocato AS;
- controricorrenti -
e contro D.L.M., CE.AN.;
- intimati - avverso la sentenza n. 1395/2018 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
Svolgimento del processo
che:
C.S. ed I.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli M.G., Ce.An., D.L.M. ed S.A. chiedendo la condanna al risarcimento del danno sulla base di giudicato penale del 2004 con cui, nei confronti dei convenuti, era stata dichiarata l'estinzione per prescrizione dei reati di cui all'art. 2621 c.c., artt. 640 e 647 c.p. e disposta la condanna in favore degli attori, parti civili nel processo penale, da liquidarsi in separata sede (in base al capo di imputazione del processo penale i convenuti avevano fatto ottenere all'impresa appaltatrice dei lavori per conto della cooperativa E indebite somme di denaro sulla base di costi non rispondenti al reale andamento dei lavori medesimi). Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda condannando i convenuti in solido al pagamento della complessiva somma di Euro 71.922,28 in favore di C.S. e di Euro 85.472,82 in favore di I.A., oltre Euro 8.202,46 in favore di entrambi gli attori in solido. Avverso detta sentenza proposero appello M.G. e S.A.. Con sentenza di data 26 marzo 2018 la Corte d'appello di Napoli rigettò l'appello.
Osservò la corte territoriale che con il primo e terzo motivo di appello si revocava in discussione l'affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione, profili per i quali era intervenuto il giudicato penale, mentre, quanto ai motivi 2) e 6), trattandosi di giudicato di condanna relativo ad un reato di danno, l'esistenza del danno era implicita, sicchè non poteva formare oggetto di ulteriore accertamento in sede civile se non con riferimento al soggetto che lo avesse subito ed alla misura di esso (richiamando Cass. n. 4549 del 2010). Aggiunse che inammissibile era il quarto motivo di gravame per "erroneità manifesta del liquidato quantum", privo di specificità ai sensi dell'art. 342 c.p.c. per essersi gli appellanti limitati in modo generico a denunciare "l'erroneità manifesta" mediante documenti fiscali attestanti pagamenti non corrispondenti agli importi considerati, o comunque non pertinenti alla valutazione di calcolo compiuta dal Tribunale. Osservò, con riferimento al quinto motivo relativo alla decorrenza degli accessori di legge, che l'importo riconosciuto riguardava la restituzione delle somme versate a titolo di quota per la partecipazione societaria e le spese documentate per la consulenza professionale (pari a Lire 6.170.000 inclusi accessori di legge) e che gli importi, in quanto costituenti debito di valore, erano stati rivalutati all'attualità a decorrere dalla fine dell'anno 1992 (data di consumazione dei reati) e dal 21 novembre 1993 (data di esborso della spesa di consulenza), con applicazione degli interessi compensativi dalla data di consumazione dei reati. Precisò che la decorrenza di interessi e rivalutazione andava fissata nel momento di verificazione del danno ingiusto, corrispondente alla data degli effettuati esborsi, coincidenti con il profitto patrimoniale degli autori dell'illecito (richiamando Cass. n. 1889 del 2013).
Hanno proposto ricorso per cassazione M.G. e S.A. sulla base di sei motivi e resistono con unico controricorso C.S. e I.A.. E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.. E' stata presentata memoria.
Motivi della decisione
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1227 e 2909 c.c., artt. 651 e 652 c.p.p., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che la condanna generica al risarcimento del danno non preclude l'accertamento del nesso causale e dell'an e del quantum del danno stante l'autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale. Aggiungono che i giudici di merito hanno individuato il danno nel mancato recupero dell'intera quota sociale, conseguente alla messa in liquidazione della cooperativa per impossibilità di realizzare lo scopo sociale come da verbale del 3 ottobre 2000, ma hanno omesso di spiegare come i fatti accertati in sede penale siano in rapporto di causalità con il detto danno. Osservano ancora che l'appello non mirava a rimettere in discussione il titolo di responsabilità riconosciuto nella sentenza penale, ma solo a contestare l'efficienza causale dei fatti accertati in sede penale.
Il motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la sentenza del giudice penale che, accertando l'esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla "declaratoria iuris" di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come "potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati (Cass. 9 marzo 2018, n. 5660; 14 febbraio 2019, n. 4318).
Il giudice di merito non ha effettuato l'indagine in ordine al nesso di causalità sulla base dell'affermazione che trattandosi di giudicato di condanna relativo ad un reato di danno, l'esistenza del danno doveva ritenersi implicita nell'accertamento e non poteva formare oggetto di ulteriore accertamento in sede civile se non con riferimento al soggetto che lo avesse subito ed alla misura di esso. Ai fini di tale statuizione ha fatto riferimento a Cass. Sez. U. 25 febbraio 2010, n. 4549. Si legge in tale pronuncia effettivamente che "per l'esistenza del diritto al risarcimento del danno può non bastare la condanna penale - in quanto non tutti i reati producono un danno - senza peraltro che possano essere rimessi in discussione, nel relativo giudizio civile o amministrativo, l'accertamento della sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e la sua commissione da parte del condannato. Peraltro l'accertamento dell'esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell'accertamento del "fatto-reato" e pertanto non deve e non può formare oggetto di ulteriore accertamento, in negativo o in positivo, in sede civile se non con riferimento al soggetto o ai soggetti che lo abbiano subito ed alla misura di esso". Tale affermazione deve essere letta con riferimento alla peculiarità della concreta fattispecie, relativa ad un'ipotesi di truffa a danno di un ente regionale, e deve soprattutto essere interpretata alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, anche successiva, di cui si è dato conto sopra. Sulla base di quest'ultima giurisprudenza deve concludersi nel senso che, quando si afferma che l'esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell'accertamento del "fatto- reato", il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, è al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l'indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 c.c.).
In relazione all'accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell'esistenza del nesso di causalità (oltre che il profilo dell'esistenza e quantificazione del danno), resta quindi ferma all'esito del giudicato penale la competenza del giudice civile anche con riferimento all'ipotesi del reato cosiddetto di danno. A tale principio di diritto dovrà attenersi il giudice di merito in sede di rinvio.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 651 e 652 c.p.p., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti che con il terzo motivo di appello oltre a denunciare l'assenza del nesso di causalità avevano affermato che risultava documentalmente provato che il presunto danno era da ricondurre non ai fatti penalmente rilevanti del (OMISSIS), ma alla gestione della cooperativa per gli anni seguenti al (OMISSIS) ed a fatti quindi non imputabili alla gestione dei ricorrenti (era stata richiesta prova testimoniale, rinnovata in appello, allo scopo di dimostrare che erano stati proprio i soci a determinare la mancata ultimazione delle costruzioni, rifiutando la prosecuzione delle opere con altra impresa disposta a proseguire i lavori senza ulteriori anticipazioni in attesa della erogazione del mutuo e del rimborso delle quote versate). Aggiungono che quando al (OMISSIS) i ricorrenti si dimisero dal consiglio di amministrazione avevano fatto acquisire al patrimonio della cooperativa la proprietà del suolo, l'edificazione dei fabbricati e la concessione del mutuo. Concludono nel senso che la finalità del motivo era quella di dimostrare l'inesistenza del nesso di causalità rispetto al danno, stante l'incidenza di circostanze successive, e che la motivazione risulta incomprensibile ed apparente.
L'accoglimento del motivo precedente determina l'assorbimento del motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti, rispetto all'affermazione del giudice di appello secondo cui trattandosi di reato di danno l'esistenza del danno è implicita nel giudicato penale, che il danno risarcibile viene identificato nella perdita di parte della quota sociale connessa allo scioglimento della cooperativa per impossibilità del conseguimento dello scopo sociale ma ciò che aveva accertato il giudicato penale era l'ingiusto versamento senza il conseguimento da parte dei soci alla data del (OMISSIS) dell'abitazione, ma non l'impossibilità del raggiungimento dello scopo sociale che si verificò solo nel 2001, ossia dieci anni dopo. Aggiungono che la corte territoriale ha omesso di pronunciare sul motivo di appello relativo alle spese sostenute per la consulenza professionale con il quale si era affermato, sulla base della produzione delle ricevute e della sentenza penale di appello, che quest'ultima aveva già liquidato in favore delle parti civili spese per l'importo di Euro 16.000,00, ivi comprese le spese per consulenza professionale, sicchè tale spesa non poteva costituire componente del danno liquidato in sede civile.
Il motivo è parzialmente fondato. In relazione al motivo di appello relativo alle spese per la consulenza professionale vi è effettivamente omissione di pronuncia da parte del giudice di appello. Di tali spese vi è menzione a proposito dell'esame del motivo relativo alla decorrenza degli accessori del debito, ma non vi è esame delle ragioni di censura di appello richiamate nel motivo di censura. Per il resto l'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del motivo.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano i ricorrenti che: la circostanza della realizzazione al 31 dicembre 1992 di tre dei quattro fabbricati (e cioè trenta appartamenti) era stata ammessa dall' I.; il danno liquidato dai giudici di merito era derivato dal mancato recupero dell'intera quota sociale con la liquidazione della cooperativa per la svendita dei trenta appartamenti realizzati, avvenuta dieci anni dopo la fine della gestione della cooperativa da parte dei ricorrenti, circostanza ammessa dal C.; le ricevute e la sentenza penale comprovano che le spese per la consulenza penale rientrano nelle spese liquidate nella sentenza penale. Aggiungono che il giudice di merito ha completamente omesso di valutare le dette circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento del nesso di causalità.
L'accoglimento del primo motivo e l'accoglimento parziale del precedente motivo determinano l'assorbimento del motivo.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223 e 2909 c.c., art. 342 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti, rispetto all'affermazione del giudice di appello secondo cui l'impugnazione della liquidazione del danno avrebbe carattere generico, che i termini dell'impugnazione, come indicato analiticamente nel motivo di ricorso, individuano chiaramente le ragioni di critica della sentenza.
Il motivo è fondato. Il motivo di appello relativo al quantum liquidato è stato ritenuto dalla corte territoriale inammissibile per difetto di specificità in quanto sarebbe stata denunciata in modo generico "l'erroneità manifesta" mediante documenti fiscali attestanti pagamenti non corrispondenti agli importi considerati, o comunque non pertinenti alla valutazione di calcolo compiuta dal Tribunale. Al contrario della valutazione del giudice di merito, il motivo è assistito dal requisito della specificità. In esso viene analiticamente indicata la parte di importo che non sarebbe dovuta in favore degli attori rispetto all'importo liquidato, con indicazione della relativa produzione documentale. Su tale specifica censura rispetto al quantum liquidato dal Tribunale deve pronunciare il giudice di appello.
Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223 e 2909 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Osservano i ricorrenti, in relazione alla statuizione relativa alla decorrenza degli interessi e della rivalutazione (la decorrenza di interessi e rivalutazione andava fissata nel momento di verificazione del danno ingiusto, corrispondente alla data degli effettuati esborsi, coincidenti con il profitto patrimoniale degli autori dell'illecito), che in modo contraddittorio si afferma per un verso che l'evento di danno per la perdita della quota sociale risale al 2001, per l'altro che l'evento di danno risale al periodo (OMISSIS)-(OMISSIS) oggetto di accertamento penale e che tale contraddizione può essere risolta solo riconoscendo che i fatti accertati in sede penale avrebbero comportato lo scioglimento della cooperativa nel 2001, ma tale nesso non può essere ravvisato nell'accertamento penale che aveva ad oggetto il limitato periodo (OMISSIS)- (OMISSIS).
L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento anche di tale motivo.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, il terzo motivo parzialmente ed il quinto motivo, dichiarando per il resto assorbiti i motivi di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2020.