Per la configurabilità della circostanza aggravante del reato di guida in stato di ebbrezza di aver causato un incidente, è sufficiente che si verifichi l'urto del veicolo contro un ostacolo ovvero la sua fuoriuscita dalla sede stradale, senza che sia necessaria la constatazione di danni a persone o cose, di talchè basta qualsiasi, purchè significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni.
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante del reato di guida in stato di ebbrezza di aver causato un incidente in esame, deve accertarsi la dipendenza dell'incidente anche dalla condotta di guida del conducente (cfr. Cassazione penale, sentenza n. 37743 del 28/05/2013): "provocare" un incidente significa che esso deve essere conseguenza di una condotta inosservante di regole cautelari, siano esse quelle codificate dal Codice della strada (ossia le norme sulla circolazione stradale), siano esse quelle generali di prudenza, diligenza e perizia, tese in ogni caso a prevenire il verificarsi del sinistro medesimo.
La norma di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis non richiede l'accertamento del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta dell'agente, ma evoca unicamente il collegamento materiale tra il verificarsi dell'incidente e lo stato di alterazione dell'agente ("Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale"), valga in questa sede il principio secondo cui il maggior disvalore della condotta di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis risiede nella condizione di alterata reattività del conducente in stato di ebbrezza rispetto alla situazione di pericolo in cui egli si venga a trovare, riconducibile alla sua impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente, direttamente ricollegabile allo stato di alterazione psicofisica.
Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(ud. 24/10/2017) 07-12-2017, n. 54991
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Presidente -
Dott. MENICHETTI Carla - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F.A., (OMISSIS);
avverso la sentenza della CORTE d'APPELLO di TRIESTE in data 21/11/2016;
visti gli atti;
fatta la relazione dal Cons. Dott. CAPPELLO Gabriella;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa CARDIA Delia, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. PM del foro di Belluno per F.A., il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Trieste ha rideterminato la pena inflitta a F.A. dal Tribunale di Pordenone, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), comma 2 bis, per avere guidato un'autovettura in stato di ebbrezza (tasso alcolemico pari a 2,13 g/l nelle due prove), con l'aggravante di avere provocato un incidente stradale (in (OMISSIS) il (OMISSIS)).
2. In particolare, secondo la ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata, nell'occorso, l'auto dell'imputato aveva tamponato violentemente, come comprovato anche dai danni prodottisi, il veicolo antagonista, una FIAT Panda che si era arrestata sulla corsia di sorpasso dell'autostrada, nel tratto compreso tra lo svincolo di (OMISSIS) e quello di (OMISSIS), direzione (OMISSIS).
3. L'imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio di travisamento della prova con riferimento al dato fattuale cui è stata ricondotta la prova del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta di guida dell'imputato: essa sarebbe stata tratta dalla ritenuta inattendibilità della spiegazione data dal F. in ordine alla causazione del sinistro (che sarebbe stato conseguenza di una repentina immissione del veicolo antagonista nella corsia di sorpasso che il F. stava percorrendo), inattendibilità che i giudici di merito avrebbero dedotto dalla circostanza che l'imputato aveva errato nell'indicare la rampa dalla quale egli aveva fatto ingresso sull'autostrada (la stessa sulla quale era stato trovato il suo mezzo in uscita) e dal rilevato tasso alcolemico, clamorosamente superiore al valore teorico massimo corrispondente all'assunzione della quantità di alcol riferita dal F. (tre bicchieri di vino a 12° e un bicchiere di limoncello a 35^), inattendibilità che si sarebbe poi riflessa sulla correttezza del suo ricordo dell'accaduto e sulla ricostruzione delle condotte assunte prima del sinistro.
Sotto altro profilo, parte ricorrente rileva un travisamento probatorio anche nella circostanza che la Corte d'appello ha ricondotto l'incidente non solo al mancato rispetto della distanza di sicurezza, come contestato dagli organi accertatori, ma anche alla mancanza di riflessi pronti da parte del conducente.
Con il secondo motivo, ha dedotto violazione, inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, sempre con riferimento alla regola di giudizio per la verifica del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta di guida dell'imputato. Sul punto, la parte rileva la necessità di distinguere il semplice coinvolgimento in esso dalla causazione da parte dell'agente, non essendo stata acquisita la prova di quest'ultima, contestando la considerazione, secondo cui nel caso in esame - non poteva escludersi, anche a voler ammettere una condotta imprudente del conducente del veicolo antagonista, un autonomo contributo causale del F. nella causazione del sinistro. Ciò determinerebbe, a parere del ricorrente, un illegittimo ampliamento interpretativo dell'area della rilevanza penale della disposizione incriminatrice.
Motivi della decisione
1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte territoriale ha respinto il motivo d'appello concernente l'aggravante dell'aver causato un incidente stradale, rilevando - quanto alla dinamica del sinistro - essere emerso con grado di certezza che il F. avesse nell'occorso tamponato violentemente (come comprovato dall'entità dei danni prodottisi) il mezzo antagonista. Questo si era arrestato sulla corsia di sorpasso, laddove l'auto dell'imputato aveva proseguito la corsa, tentando di uscire dall'autostrada, ma arrestandosi a causa dei danni riportati. Dal verbale di contestazione, era pure emerso che gli organi accertatori avevano ricondotto il sinistro al mancato rispetto della distanza di sicurezza da parte del F.. Ha, poi, confermato il giudizio di inattendibilità della versione alternativa fornita dall'imputato, secondo cui sarebbe stato il conducente del veicolo antagonista ad invadere repentinamente la corsia di sorpasso, subito dopo essersi immesso in autostrada allo svincolo di (OMISSIS) (il F. aveva poi corretto l'indicazione, parlando dell'uscita di (OMISSIS)), rilevando intanto l'incongruenza del riferito, alla luce del fatto che tra i due svincoli (di (OMISSIS) e di (OMISSIS)) vi erano circa 12 chilometri e che lo scontro era avvenuto a meno di un chilometro da quello di (OMISSIS), all'uscita del quale era stata trovata l'auto in panne condotta dall'imputato, così smentito l'assunto secondo cui la FIAT Panda sarebbe entrata inaspettatamente e direttamente nella corsia di sorpasso dell'autostrada.
Inoltre, quel giudice ha stigmatizzato la circostanza che la Polstrada aveva ricostruito la dinamica rilevando che il tamponamento era stato la conseguenza del mancato rispetto, da parte del F., della distanza di sicurezza, altresì considerando che l'elevato tasso alcolemico riscontrato al predetto (ben 2,13 g/l) poteva anche averne rallentato la prontezza di riflessi. Cosicchè, anche a voler riconoscere un contributo causale alla condotta di guida del conducente del veicolo antagonista, non si poteva escludere un autonomo contributo causale della condotta di guida del F., sufficiente ad integrare l'aggravante in questione.
3. I motivi sono entrambi infondati.
3.1. Deve precisarsi, in linea generale, che - in caso di giudizio conforme di colpevolezza (quale deve considerarsi il presente, stante l'intervenuta rideterminazione della pena a correzione dell'errore di calcolo rilevato), le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (Cass. pen., Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250; Sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Rv. 252615). Funzione tipica dell'impugnazione è, infatti, quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584).
Quanto alla natura del sindacato di legittimità, poi, pare opportuno rammentare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Non va infatti dimenticato che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).
Tale precisazione si rende doverosa in relazione al dedotto vizio di travisamento della prova, con il quale parte ricorrente ha sollecitato una rivalutazione del verbale in cui erano state raccolte le dichiarazioni dell'imputato all'udienza del 26.01.2015: in caso di doppia pronuncia conforme di condanna, nell'ambito dei motivi di ricorso per cassazione, infatti, tale vizio può essere dedotto nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cfr. sez. 4 n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438; n. 5615 del 13/11/2013 ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 258432) o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr. sez. 2 n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499). Il che non è stato neppure prospettato da parte ricorrente, limitatasi a proporre una lettura alternativa della prova dichiarativa, preclusa in questa sede.
In altri termini, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. Sez. 4 n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837; n. 5615 del 13/11/2013 Ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 258432; n. 4060 del 12/12/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv. 258438).
Macroscopicità ed evidenza che, nel caso all'esame, non ricorrono, ma riguarderebbero in ogni caso il significato da attribuirsi ad alcune affermazioni estrapolate dal complesso del dato dichiarativo.
3.2. Parimenti, quanto al ritenuto nesso eziologico tra la condotta di guida tenuta dal F. nell'occorso e il sinistro che ha coinvolto, cagionando ingenti danni, il veicolo antagonista, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito dal giudice d'appello è del tutto congruo, scevro da contraddizioni e manifeste illogicità, avendo la Corte di merito valorizzato argomenti fattuali non smentiti nella loro storicità (verbale di contestazione, incongruenze del riferito del F., condizioni dei luoghi, danni ai veicoli), giudicando recessive le argomentazioni difensive, sostanzialmente formulate sulla scorta di una ricostruzione della dinamica ritenuta non credibile.
3.3. Sul punto, in linea generale, deve ribadirsi, anche in questa sede, che per la configurabilità della circostanza aggravante di aver causato un incidente, è sufficiente che si verifichi l'urto del veicolo contro un ostacolo ovvero la sua fuoriuscita dalla sede stradale, senza che sia necessaria la constatazione di danni a persone o cose, di talchè basta qualsiasi, purchè significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni (cfr. sez. 4 n. 36777 del 02/07/2015, Rv. 264419 (in fattispecie relativa alla guida in stato da alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, in cui la Corte ha sottolineato la piena sovrapponibilità della disposizione contenuta nell'art. 187 C.d.S., comma 1 bis, a quella di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis, che prevede la medesima circostanza aggravante per il reato di guida in stato di ebbrezza)).
Questa Corte ha già affermato che, ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame, deve accertarsi la dipendenza dell'incidente anche dalla condotta di guida del conducente (sez. 4, n. 37743 del 28/05/2013, Rv. 256209), ma occorre precisare anche che "provocare" un incidente significa che esso deve essere conseguenza di una condotta inosservante di regole cautelari, siano esse quelle codificate dal Codice della strada (ossia le norme sulla circolazione stradale), siano esse quelle generali di prudenza, diligenza e perizia, tese in ogni caso a prevenire il verificarsi del sinistro medesimo (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 33760 del 17/05/2017, Rv. 270612).
Ed invero, poichè la norma di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis non richiede l'accertamento del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta dell'agente, ma evoca unicamente il collegamento materiale tra il verificarsi dell'incidente e lo stato di alterazione dell'agente ("Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale"), valga in questa sede il principio secondo cui il maggior disvalore della condotta di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2 bis risiede nella condizione di alterata reattività del conducente in stato di ebbrezza rispetto alla situazione di pericolo in cui egli si venga a trovare, riconducibile alla sua impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente, direttamente ricollegabile allo stato di alterazione psicofisica.
4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017