Non sussiste il reato tributario se il mancato pagamento del debito erariale dipende da per cause indipendenti dalla volontà e quindi non imputabili all'imputato: non deve essere stato possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 aprile? 9 settembre 2014, n. 37301
Presidente Squassoni? Relatore Orilia
Ritenuto in fatto
1. La Corte d'Appello di Genova con sentenza 3.6.2013 ha confermato quella del Tribunale di Massa che aveva riconosciuto D.R.S. colpevole del reato di cui all'art. 10 ter D. L.vo n. 74/2000 (omesso versamento di IVA per l'anno di imposta 2007) e lo aveva condannato alla pena di giustizia. Ha motivato la decisione sulla base dell'accertata omissione del pagamento del tributo, ritenendo irrilevanti le giustificazioni basate sulle difficoltà economiche dell'azienda.
2. Il D.R. ricorre per cassazione - tramite il difensore - censurando il giudizio di responsabilità con due motivi.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 606 b) c.p.p. la violazione dell'art. 10 ter del D. Lvo n. 74/2000 in relazione al principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost. e 43 cp (elemento psicologico del reato). Il ricorrente, pur premettendo di non voler minimamente entrare nel merito della vicenda, richiama le dichiarazioni del teste M. , Curatore Fallimentare in ordine alla preesistenza di esposizioni debitorie della società gestita dall'imputato, dapprima con le banche e poi con i fornitori e il fisco, e da tali rilievi deduce che l'omesso versamento dell'IVA fu determinato da mancanza di disponibilità economiche: critica pertanto la Corte d'Appello laddove ha ravvisato una consapevole scelta animata da dolo, laddove invece l'imputato ha tentato di far fronte ai debiti dapprima con risorse di altre società e poi con propri mezzi. Sottolinea che la persistenza di tale unico debito erariale sta a dimostrare il soddisfacimento degli altri debiti tributari e quindi l'impossibilità oggettiva di far fronte anche a tale obbligo, non essendo plausibile per un imprenditore saldare tutti i debiti verso lo Stato tralasciandone solo uno.
2. Con un secondo motivo denunzia carenza totale, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: ricordando ancora una volta i limiti del giudizio di legittimità, il ricorrente rimprovera ai giudici di merito di avergli attribuito una responsabilità oggettiva sulla base delle dichiarazioni rese dal teste M. , Curatore fallimentare, e procede ad una diversa interpretazione delle dichiarazioni rese dal predetto circa il collegamento con altre società, e circa il volume di affari, la cui elevatezza non comporta automaticamente anche l'esistenza di elevati profitti, soprattutto laddove esiste, come nel caso di specie, una notevole esposizione debitoria.
Le due censure - che ben si prestano ad esame unitario - sono fondate.
Il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di ?IVA per cassa?, è ordinariamente svincolato dall'effettiva riscossione dei corrispettivi relativi alle prestazioni effettuate. Ha altresì precisato che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico essendo sufficiente a integrarlo la coscienza e volontà di non versare all'erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore (sez. un, 28 marzo 2013, n. 37424, rv. 255758; sez. 3, 6 marzo 2013, n. 19099, rv. 255327). La prova del dolo -analogamente a quanto affermato in relazione alla fattispecie di cui al precedente art. 10-bis - è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di punibilità, entro il termine previsto.
Non può ovviamente escludersi, in astratto, che siano possibili casi - il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito ed è, come tale, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato - nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere all'obbligazione tributaria. È tuttavia necessario che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (cfr. sez. 3 sentenza 8.1-5.4.2014 n. 1541; sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).
Nel caso di specie, la Corte d'Appello, dopo avere dato atto che le censure ricalcavano temi già esaminati dal Tribunale, ha dato rilievo determinante al fatto -incontestato - che l'imputato aveva omesso il versamento dell'IVA 2007 ed ha osservato che le dedotte difficoltà economiche della società da lui rappresentata (successivamente fallita) non potevano esimerlo da responsabilità, trattandosi di reato a dolo generico integrato dalla consapevole scelta imprenditoriale di omettere i versamenti dovuti. Ha considerato, sulla scorta delle dichiarazioni del Curatore, il volume di affari della società e i pagamenti da essa ricevuti e, quindi ha ritenuto l'esistenza di una scelta imprenditoriale di privilegiare il soddisfacimento di altri crediti rispetto a quello relativo all'IVA.
La motivazione non appare in aderenza ai principi enunciati perché l'imputato aveva espressamente dedotto l'assoluta irreperibilità di risorse economiche cercando di ripianare i debiti contratti dapprima con risorse di altre società e poi impiegando danaro di sua personale disponibilità ed aveva altresì rilevato che il debito IVA non era l'unico che la società aveva verso l'Erario, ma era l'unico rimasto insoluto: a fronte di una tale tesi difensiva, che tendeva, evidentemente, ad escludere l'intento di privilegiare altre classi di creditori piuttosto che il Fisco, il giudice di merito avrebbe dovuto spiegare perché riteneva non plausibile il tentativo di pagare tutti i debiti verso l'Erario non riuscito per una dedotta impossibilità oggettiva, non potendo fondare il suo giudizio sul solo dato del volume di affari (indicato in 12.000.000 di Euro) e sulla ricezione di pagamenti mensili per importi superiori a Euro 100.000 in relazione agli stati di avanzamento dei lavori, anche perché il debito Iva ammontava ad Euro 99.718,00.
Si rende necessario un nuovo esame della vicenda e quindi la sentenza va annullata: il giudice del rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d'Appello di Genova, completerà l'accertamento di eventuale responsabilità tenendo conto di tutti gli elementi dedotti dall'imputato e si atterrà ai principi di diritto enunciati.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova.