Indagini difensive inutilizzabili se non firmate foglio9 per foglio: è da escludere, infatti, che sia applicabile l'art. 142 c.p.p. che, in ragione della formazione del verbale in un ambito istituzionale ed ontologicamente garantito da imparzialità, limita la sanzione alla nullità del "verbale" per l'assenza di sottoscrizione del pubblico ufficiale. Ciò perchè gli artt. 391 bis e 391 ter c.p.p. regolano una situazione che è caratterizzata dall'assenza di un pubblico ufficiale e non è gestita in ambito di giustizia istituzionalizzato.
All'assenza delle pregnanti garanzie di imparzialità che offre l'ufficio di giustizia si sopperisce, allora, con l'assoluto rigore costituito dalla sanzione di inutilizzabilità; il ricorso alla censura più severa è ragionevolmente giustificato dal fatto che alla documentazione non procede il pubblico ufficiale, che tale qualità sicuramente non è ascrivibile al difensore ed al suo sostituto, nè rilevanza in tal senso assumono le persone di loro esclusiva fiducia che materialmente possono redigere il verbale.
(cfr. però Corte di Cassazione, III; sentenza 17 gennaio 2019 n. 2049 secondo la quale non c'è nessuna nullità se indagini difensive non sono firmate su tutti i fogli).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
(ud. 20/01/2011) 22-02-2011, n. 6524
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente
Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere
Dott. PRESTIPINO Antonio - rel. Consigliere
Dott. TADDEI Margherita - Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) M.C. N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 876/2010 TRIB. LIBERTA' di CATANZARO del 29/07/2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO PRESTIPINO;
sentite le conclusioni del PG, Dott. DELEHAYE E.;
Udito il difensore Avv. Zumpano Giuseppe.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con ordinanza del 3.8.2010, il Tribunale della Libertà di Catanzaro, rigettava l'istanza di riesame proposta da M.C. avverso l'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 17.7.2010, per il reato di associazione mafiosa.
Il tribunale collocava i fatti all'interno del contesto criminale del coriglianese, caratterizzato,secondo i giudici territoriali, dall'assenza di una leadership riconosciuta, e dall'esistenza di due fazioni in lotta tra di loro, facenti capo, rispettivamente, a B.M. e Mo.Pi.Sa., il primo legato al gruppo di zingari che verso la fine degli anni 90 erano riusciti a costituire una "locale" autonoma rispetto alla ndrina insediata sullo stesso territorio (i termini "locale" e "ndrina" designano particolari articolazioni organizzative della criminalità organizzata del calabrese); il secondo legato, anche per personali rapporti di familiarità, a vecchi uomini "di rispetto" come G. V. e C.A., e ad Ma.Al., figlio del più noto (OMISSIS), da tempo in carcere per plurime condanne all'ergastolo.
Le due fazioni, in particolare, si sarebbero contese il monopolio del traffico di sostanze stupefacenti, settore di attività che vedeva il Mo. in contatto con fornitori di cocaina dell'area milanese, per il tramite della famiglia Presta di Reggiano Gravina. Il tribunale ricordava che l'esistenza di un'associazione per delinquere di stampo mafioso radicatasi nel coriglianese risultava da numerose sentenze passate in cosa giudicata, la prima emessa dal Tribunale di Rossano il 27.11.1995, che aveva accertato l'affermazione sul territorio della "locale di Carigliano" composta tra gli altri da C. S. detto "(OMISSIS)", F.G.V., Ma.An., S.D., C.A., Ma.
G., R.T. e Ci.Gi..
Il gruppo si era emancipato dalla "locale" di (OMISSIS), guidata da c.g., verso la fine degli anni 80, e aveva attratto nella propria sfera di influenza criminale le ndrine di Altomonte, Francavilla, Cassano, Castrovillari, Saracena, Rossano e San Lorenzo del Vallo. Il Ca. aveva riorganizzato le ndrine conquistate ai propri progetti criminali, perseguendo i propri copi con la sistematica eliminazione fisica dei soggetti rimasti fedeli al c., fino ad essere coinvolto in vicende giudiziarie che gli erano costate pesanti condanne e una non più interrotta detenzione.
Gli era succeduto tale Ma., trovatosi però ben presto a fronteggiare l'opposizione interna del F., sfociata nella faida eliminai ricostruita dalla sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 24.2.2001.
Le tappe successive della faida, nella ricostruzione "giudiziaria" del tribunale, sono oggetto di una sentenza del Dicembre del 2005; al comando della cosca guidata dal Ma., decimata dai processi e dagli arresti, era subentrato, P.N. detto "(OMISSIS)", e il gruppo aveva perso la sua autonomia, cadendo sotto il controllo del locale di (OMISSIS), costituito da A.F. con l'autorizzazione della cosca di Ciro. Uscito dal carcere, F.V. aveva tentato di risollevare le sorti della locale Coriglianese, ma era stato ucciso.
Le indagini più recenti, infine, avevano ricostruito gli affari della cosca coriglianese, impegnata soprattutto in estorsioni in danno di proprietari terrieri attraverso l'imposizione delle guardianie, nella conquista del monopolio della vendita di video- giochi, in fatti di usura ecc..
Il Tribunale si soffermava quindi sulle fonti di prova relative all'assetto organizzativo del sodalizio, tra le quali le attività intercettative, i servizi di ocp, gli arresti, i seuestri di armi e sostanze stupefacenti e, infine, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia come R.T., Ci.Gi., Ba.Gi., Ci.An., Ca.An., C. G., A.C. e Cu.Vi..
I giudici esaminavano quindi gli essenziali aspetti organizzativi della cellula criminale in questione rilevando:
quanto alla disponibilità di armi comuni, che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dall' A. il 10.10.2007 su un viaggio in (OMISSIS) dallo stesso effettuato insieme a M.C. per l'acquisto di armi, una delle quali asseritamente corrispondente quella sequestrata su sua indicazione; riscontrate da quelle di Co.Gi., Ba.Gi. e R.T. e dal contenuto della conversazione n. 170 del 2.11.2008, intercettata nei confronti del D.I. e di tale G., riferita all'uso di una pistola a scopo intimidatorio da parte del Mo.; e della conversazione delle ore 17,47 del 5.10.2008, captata all'interno dell'autovettura in uso a C.P. tra quest'ultimo, l'omonimo zio e Ma.Al., nel corso della quale il Ma. ricordava di avere poco tempo trasportato a (OMISSIS) armi e droga.
Peraltro, la disponibilità di armi era stata clamorosamente confermata, nel tempo, dai sanguinosi agguati che avevano caratterizzato le locali faide criminali. Secondo l' A. e altri collaboratori, inoltre, la cosca disponeva di una cassa comune alimentata dai proventi delle illecite attività dei sodali e che a sua volta forniva i fondi per il pagamento di spese legali, per l'esercizio di attività usurarie, per l'acquisto di sostanze stupefacenti, per il pagamento degli "stipendi" degli associati ecc ... .
La cosca sarebbe stata particolarmente attiva anche nel settore del taglieggiamento della attività commerciali e imprenditoriali, attraverso la sistematica imposizione del "pizzo", pratica criminale che oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori risultava dal contenuto di alcune conversazioni intercettate, come quella, già ricordata, n. 170 del 2.11.2008. L'analisi della gravità indiziaria per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 procedeva, nelle valutazioni dei giudici territoriali, dalla considerazione della forma non particolarmente strutturata dell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti secondo il modello legislativo, e dei molteplici modi dell'esplicazione dell'affectio societatis.
Con riferimento allo specifico gruppo criminale oggetto di una delle imputazioni cautelari, cioè quello che sarebbe stato diretto da Mo.Pi., il tribunale ne riteneva l'esistenza sulla base di molteplici fonti di prova, tra le quali numerose intercettazioni telefoniche, sequestri di droga, arresti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ecc, ricordando tra le altre le dichiarazioni dell' A..
Prima di procedere all'analisi degli indizi a carico del ricorrente, il tribunale premetteva un'ampia digressione sui principi in materia di valutazione delle propalazioni accusatorie dei soggetti indicati dall'art. 210 c.p.p., e concludeva nel senso di una generale valutazione di attendibilità di tutti i collaboratori di giustizia autori di contributi dichiarativi nel corso delle indagini.
I giudici esaminavano quindi le specifiche indicazioni dell'inserimento del M. nell'associazione mafiosa, provenienti dai collaboratori di giustizia C.A. e Cu.Vi., e dall'imprenditore Cu.Gi..
Soprattutto l' A. aveva particolareggiatamente descritto i rapporti di natura criminale tra il ricorrente e B.M., per conto del quale il M. avrebbe "riciclato" assegni provenienti da attività usurarie, ottenendone in cambio dei finanziamenti per la propria attività imprenditoriale; in questo contesto di rapporti si sarebbe inserita la cessione di due appartamenti al B. da parte del M..
Il ricorrente si sarebbe inoltre occupato per conto di B. M., di traffici di armi e di droga; avrebbe ricevuto somme di denaro provenienti da attività estorsive, in particolare quelle ai danni di alcune imprese costrette a dissimulare il versamento del pizzo, sotto forma di "sponsorizzazioni" di una società sportiva;
avrebbe infine imposto sul mercato edile la presenza della propria impresa, come nel caso dei lavori effettuati nell'ambito della realizzazione di un complesso turistico di proprietà di Cu.
G., che glieli aveva affidati in sub-appalto su indicazione del B., che gli aveva presentato il ricorrente come un amico.
Ricorre il difensore, rilevando con il primo motivo il vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in relazione agli artt. 192 e 195 c.p.p..
Il Tribunale non avrebbe sottoposto al necessario vaglio di attendibilità le dichiarazioni dell' A., peraltro mosso alla sua scelta di collaborazione dal profondo rancore nutrito nei confronti di B.M.; avrebbe trascurato le numerose contraddizioni in cui il collaborante sarebbe incorso nei vari interrogatori in cui aveva formulato propalazioni accusatorie a carico del ricorrente, peraltro spesso del tutto generiche, come a proposito della presunta partecipazione del medesimo ricorrente alle attività usurarie del Mo.; l' A. sarebbe stato smentito riguardo all'affermazione del "regalo" di due appartamenti effettuato dal M. al Mo. come ricompensa per i continui finanziamenti ottenuti da costui per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale nel settore edile, dal momento che il Mo. per l'acquisto delle due unità immobiliari aveva fatto ricorso ad un mutuo bancario, e che, d'altra parte, di quei finanziamenti ricorrente non avrebbe avuto alcun bisogno, considerata la solidità della sua impresa; del viaggio in (OMISSIS) per l'acquisto di armi, compiuto secondo l' A., dal ricorrente e dal B., non ci sarebbe alcun riscontro, tale non potendosi considerare il rinvenimento di un pistola su indicazione dello steso collaborante, e non avendo del resto l'accusa contestato al M. la detenzione e il trasporto delle armi in questione; la vicenda delle estorsioni mascherate da sponsorizzazioni a società sportive sarebbe smentita dagli esiti delle indagini difensive, illegittimamente ritenuti inutilizzabili dal Tribunale a causa della mancata sottoscrizione di ogni foglio del relativo verbale; le dichiarazioni a riscontro del Cu.Vi. sarebbero in larga parte inutilizzabili in quanto intervenute oltre il termine di 180 giorni dalla scelta di collaborazione, in contrasto con la disposizione dell'art., nè potrebbero ritenersi utilizzabili nemmeno limitatamente alla fase delle indagini preliminari, in quanto rese contra alios, mentre nella parte utilizzabile sarebbero del tutto irrilevanti;
Con il secondo motivo, la difesa denuncia comunque il vizio di motivazione del provvedimento ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), rilevando il travisamento della prova nella valutazione comparativa delle dichiarazioni dell' A. e del Cu.Vi., che avrebbe dovuto condurre a risultati diversi in base "ai principi di diritto". Il ricorso è manifestamente infondato.
Ciò deve dirsi, anzitutto, rispetto alle questioni sulla presunta inutilizzabilità di alcuni atti di indagine, o sulla utilizzabilità degli atti delle indagini difensive.
Ed invero, quanto alla presunta inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in quanto rese oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà' di collaborare la questione è stata ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che il limite non opera nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, nè nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Corte di Cassazione SEZ. U n 01149 25/09/2008 Magistris).
In ordine ai risultati delle indagini difensive, che dovrebbero confutare le indicazioni di prova a carico del ricorrente relative alle estorsioni mascherate da sponsorizzazioni (imposte), correttamente il tribunale ne ha ritenuto l'inutilizzabilità a causa dell'inosservanza delle formalità prescritte negli artt. 391 bis e 393 ter c.p.p., in particolare per la mancata sottoscrizione in ogni foglio del verbale delle dichiarazioni testimoniali assunte dal difensore.
L'art. 391 bis c.p.p., nel disciplinare le modalità di ricezione di dichiarazioni ed assunzioni di informazioni da parte del difensore, prevede, al comma 6, l'inutilizzabilità delle dichiarazioni ricevute o delle informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni regolate ai commi precedenti. Fra tali disposizioni, il comma due prevede che il difensore può chiedere alla persona in grado di riferire circostanze utili, di rendere informazioni, da documentare secondo le modalità previste dall'art. 391 ter c.p.p. Ne consegue che, se la modalità di documentazione non è in linea con la disposizione di cui all'art. 391 ter c.p.p., che rimanda all'osservanza delle disposizioni di cui al titolo 3 del libro 2 e quindi anche all'art. 137 c.p.p., che prescrive la sottoscrizione dei verbali in ogni foglio, l'informazione assunta è radicalmente inutilizzabile.
E' da escludere, infatti, che sia applicabile l'art. 142 c.p.p. che, in ragione della formazione del verbale in un ambito istituzionale ed ontologicamente garantito da imparzialità, limita la sanzione alla nullità del "verbale" per l'assenza di sottoscrizione del pubblico ufficiale. Ciò perchè gli artt. 391 bis e 391 ter c.p.p. regolano una situazione che è caratterizzata dall'assenza di un pubblico ufficiale e non è gestita in ambito di giustizia istituzionalizzato.
All'assenza delle pregnanti garanzie di imparzialità che offre l'ufficio di giustizia si sopperisce, allora, con l'assoluto rigore costituito dalla sanzione di inutilizzabilità; il ricorso alla censura più severa è ragionevolmente giustificato dal fatto che alla documentazione non procede il pubblico ufficiale, che tale qualità sicuramente non è ascrivibile al difensore ed al suo sostituto, nè rilevanza in tal senso assumono le persone di loro esclusiva fiducia che materialmente possono redigere il verbale (su tali principi cfr. Cass. Sez 2 25.6./17.7.2009, n. 30036, richiamata nell'ordinanza impugnata).
Ma le pregiudiziali difensive sull'utilizzabilità-inutilizzabilità di atti, si ripercuotono all'evidenza sullo spettro argomentativo dell'ordinanza del riesame focalizzato in ricorso, che viene assunto alquanto riduttivamente rispetto al ben più ampio, logico e coerente percorso motivazionale del provvedimento sopra sintetizzato, com'è dato rilevare agevolmente tra le motivazioni dei giudici territoriali e le corrispondenti deduzioni difensive, che in concreto si limitano a qualche notazione marginale, come l'indicazione di un viaggio in Germania del ricorrente per acquistare armi, rispetto alla quale, secondo lo stesso difensore, le dichiarazioni del propalante non sarebbero state smentite, ma sarebbero al più rimaste prive di riscontri; ad indicazioni poco puntuali e non documentate in ricorso, sulle modalità di acquisto di due appartamenti da parte del M., all'apodittica affermazione della solidità dell'impresa del ricorrente, che avrebbe escluso la necessità del ricorso ai finanziamenti del B.; o appaiono del tutto infondate, come in ordine alla presunta genericità del contributo del ricorrente alle attività usurarie del B., tutt'altro che vaga essendo l'indicazione che il M. soleva occuparsi di "riciclare" gli assegni che il B. riceveva dalle sue vittime; o, infine, rimaste prive del supporto probatorio dedotto, come ha proposito delle inutilizzabili indagini difensive.
Peraltro i giudici del riesame non mancano di citare, a conferma delle dichiarazioni dei collaboratori sui legami criminali tra il M. e il B., le incisive dichiarazioni di un teste "puro" come il Cu..
La genericità del ricorso è massimamente accentuata nel secondo motivo, davvero "caratterizzante" in tal senso, in pratica riassumibile nell'osservazione, non ulteriormente sviluppata, secondo cui "l'esame comparativo delle dichiarazioni dei due collaboratori ( A. e Cu.Vi.)" avrebbe evidenziato, nel confronto con "i principi di diritto" "un travisamento della prova".
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011