Quando lo spazio individuale in cella collettiva risulti inferiore alla soglia dei tre metri quadrati vi è "forte presunzione" di trattamento inumano o degradante: i fattori di possibile compensazione, cumulativi, consistono nella valutazione da effettuarsi per il caso concreto della brevità, l’occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto; della sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella; dell’adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà.
Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 21 marzo – 28 maggio 2019, n. 23496
Presidente Boni – Relatore Magi
In fatto e in diritto
1. Con ordinanza emessa in data 11 luglio 2018 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo - in tema di indennizzo da detenzione inumana o degradante (art. 35 ter ord.pen.) - introdotto da S.M. e relativo, temporalmente, dall’anno 2002 alla attualità.
Nel valutare le doglianze, premessa la conferma della restrizione temporale del periodo in esame in virtù di precedenti procedure definite con rigetto della domanda, si afferma, in sintesi che:
a) in riferimento al periodo sofferto in Lanciano lo spazio minimo vitale nella camera detentiva era superiore alla soglia dei tre metri quadrati, con quattro ore al giorno di permanenza esterna oltre alla socialità;
b) anche nel carcere di Viterbo la condizione detentiva ha visto la fruizione di uno spazio individuale superiore ai 3 metri quadrati con ampia permanenza esterna (otto ore al giorno) e buona offerta trattamentale;
c) in riferimento al periodo trascorso in Larino si evidenzia che lo spazio vitale individuale era al di sotto dei 3 metri quadrati (pari a 2.91), ma era stata assicurata la fruizione di un consistente tempo di permanenza esterna, pari ad otto ore al giorno, tale da assicurare il riequilibrio, secondo - si afferma - i parametri convenzionali relativi all’art. 3 Conv. Eur..
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - S.M. , deducendo motivazione apparente per mancata considerazione delle particolari condizioni fisiche, portate all’attenzione del Magistrato di Sorveglianza.
2.1 Erroneamente, si afferma, il Tribunale ha ritenuto che tale aspetto non fosse stato introdotto in sede di prima istanza e ha finito, illegittimamente, per ignorare il tema.
La condizione del ricorrente - non deambulante in modo autonomo ed affetto da numerose patologie - era stata prospettata nel procedimento di primo grado.
Si prospetta, pertanto, la violazione della disciplina regolatrice, con particolare riferimento al periodo sofferto in Larino e caratterizzato dalla fruizione - in camera detentiva - di una porzione di spazio inferiore a 3 metri quadrati.
Non può ritenersi sussistente - ad avviso del ricorrente - alcun fattore di riequilibrio, anche in rapporto alla condizione di disabilità fisica che avrebbe imposto l’attivazione di particolari forme di assistenza.
3. Il ricorso, limitatamente al periodo trascorso nella casa di reclusione di Larino, è fondato.
3.1 Va in premessa rilevato che, effettivamente, la particolare condizione fisica del ricorrente era stata oggetto di rappresentazione - tramite memoria depositata prima della trattazione della udienza camerale - innanzi al Magistrato di Sorveglianza.
Il reclamo, pertanto, andava esaminato dal Tribunale anche in riferimento al rapporto che - senza dubbio alcuno - intercorre tra le particolari condizioni fisiche di cui il soggetto è portatore e la valutazione di adeguatezza o meno del trattamento praticato durante la detenzione.
Ciò posto, la valutazione del Tribunale non può trovare censura in rapporto ai periodi sofferti in (…) e (…), caratterizzati da condizioni complessivamente adeguate, anche tenendosi conto del deficit motorio di cui lo S. è portatore.
Diversa è la conclusione cui deve pervenirsi per il periodo trascorso in Larino, ove lo svantaggio di cui il ricorrente è portatore risulta amplificato dalla ristrettezza della camera detentiva (con spazio vitale inferiore ai 3 metri quadrati).
3.2 Come è noto, il punto da cui è necessario partire, lì dove lo spazio individuale in cella collettiva risulti inferiore alla soglia dei tre metri quadrati è quello della "forte presunzione" di trattamento inumano o degradante.
La Grande Camera Corte Edu, nella decisione del 20 ottobre 2016 - caso Mursic - ha affermato, in sintesi, che quando lo spazio individuale scende sotto i 3 m2 in una cella collettiva la ristrettezza di spazio vitale determina una "strong presumption” di violazione dell’art. 3 della Convenzione. Occorre anche ricordare che i fattori di possibile compensazione, sempre secondo tale arresto, devono sussistere "cumulativamente" e possono riguardare:
1) la brevità, l’occasionalità e la minore rilevanza della riduzione dello spazio personale minimo richiesto;
2) la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella;
3) l’adeguatezza della struttura, in assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà.
Dunque la stessa “fonte giurisprudenziale” (ossia la Corte Edu quale interprete privilegiato della Convenzione, valorizzata dal legislatore italiano nel corpo della previsione di legge di cui all’art. 35 ter) propone, nella decisione Mursic una necessaria valutazione congiunta della concorrenza dei fattori di riequilibrio, che si incentri in modo specifico sul singolo caso.
Ciò peraltro appare del tutto coerente con i precedenti dell’organo sovranazionale, posto che nei numerosi arresti dedicati all’art. 3 Conv. si è più volte affermato che la valutazione del trattamento inumano o degradante va sempre apprezzata in concreto: "..la Corte ricorda che per rientrare nell’ambito dell’art. 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per definizione; la stessa dipende dall’insieme dei dati relativi al caso, e in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.." (così GC Corte Edu nel caso Labita contro Italia del 6 aprile 2000).
L’obbligo positivo che deriva dall’art. 3 della Convenzione non è dunque traducibile in sub-precetti dotati di elevata specificità, nè i fattori di riequilibrio - in presenza di spazio minimo inferiore ai tre metri quadrati - possono essere vagliati in via astratta, semplicemente osservando che è stata posta in essere una maggiore “quantità” di permanenza esterna alla cella.
Va ricordato che, sempre secondo i contenuti della giurisdizione convenzionale, il detto obbligo "consiste nell’assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto nè ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente (caso Torreggiani ed altri contro Italia, del 2013).
3.3 Nel caso dello S. , in riferimento alla detenzione sofferta in Larino, la conclusione del “riequilibrio” risulta, pertanto, solo apparentemente motivata.
In particolare: a) non vi è valutazione della entità del periodo trascorso in una camera detentiva che offriva uno spazio vitale minimo inferiore alla soglia; b) non vi è alcuna considerazione delle particolari condizioni di salute del reclamante; c) si afferma che la sola fruizione di un numero di ore (otto) in luoghi esterni alla cella è condizione compensativa sufficiente senza alcuna considerazione circa i contenuti complessivi del trattamento.
Va pertanto disposto, in tale parte, l’annullamento della decisione impugnata con rinvio per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al periodo di detenzione sofferto presso la casa circondariale di Larino e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Sorveglianza di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.