Dato che l'individuazione è in sostanza un puro atto d'indagine finalizzato ad orientare l'investigazione, ma non ad ottenere la "prova", non può dirsi violato né il diritto di difesa dell'indagato, né il principio di parità delle parti, ben potendo il legislatore graduare l'assistenza difensiva in funzione del rilievo conferito all'atto che, si ripete, esaurisce i suoi effetti all'interno della fase in cui viene compiuto.
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 265
ANNO 1991
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 364 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1991 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Antimi Marco, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 1991, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri,
Udito nella camera di consiglio dell'8 maggio 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 77 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 364 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi prevista si applichi anche alla individuazione (art. 361 c.p.p.) cui debba partecipare la persona sottoposta alle indagini".
2. - Sostiene il giudice remittente che per non violare il diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, e non contrastare il principio della paritaria partecipazione delle parti al processo (fissato dalla direttiva n. 3 dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81), il legislatore delegato avrebbe dovuto disciplinare l'"individuazione" compiuta dal pubblico ministero, e prevista dall'art. 361 del codice di procedura penale, alla stregua degli altri atti cui partecipa il soggetto sottoposto alle indagini: prevedendo quindi il diritto di assistenza tecnica da parte del difensore analogamente a quanto disposto per l'interrogatorio o il confronto dall'art. 364 del codice di procedura penale.
Sarebbe infatti evidente - a suo avviso - "che l'individuazione operata nei confronti della persona sottoposta alle indagini da parte di teste oculare o addirittura da parte della persona offesa, coincide in tutto e per tutto, come fatto storico, ad una ricognizione, e per così dire, la esaurisce rendendo del tutto inutile la successiva assunzione formale della prova, che avrà esito scontato".
3. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.
La difesa del governo nega, in primo luogo, che la legge-delega abbia posto sullo stesso piano, quanto a diritti di assistenza difensiva, l'interrogatorio, il confronto, gli atti a "sorpresa", e l'individuazione. La distinzione emergerebbe con chiarezza dalla lettura delle direttive di cui all'art. 2 nn. 37 e 38; la prima delle quali indica gli atti "tipici" che il pubblico ministero ha facoltà di compiere, e la seconda solo quelli che, tra i primi, devono necessariamente prevedere l'assistenza del difensore. L'individuazione è espressamente menzionata fra gli atti consentiti o imposti al pubblico ministero per finalità di indagine, mentre non è indicata fra quelli ai quali il difensore deve avere diritto d'assistere.
La distinzione, correttamente ripresa dal legislatore delegato (artt. 361, 364, 365 e 366 del codice di procedura penale), prosegue l'Avvocatura, si spiega avendo riguardo al diverso regime di utilizzabilità degli atti poiché solo per i primi - e pure a diverso livello - è prevista una utilizzazione ai fini del giudizio (artt. 431, 503, quinto comma, 511 del codice di procedura penale).
L'individuazione, viceversa, è consentita soltanto per la "immediata prosecuzione delle indagini", secondo la stessa formulazione della norma, mentre alla ricognizione di persona è riservato il dibattimento o l'incidente probatorio (art. 392, primo comma, lett. g) quale mezzo di prova ampiamente "garantito" nel quale è prevista la partecipazione del difensore.
La funzione dell'atto e l'assenza di previsioni specifiche nella legge-delega chiarirebbero quindi che non sono violati né il diritto di difesa dell'indagato né la sua posizione di parità con il pubblico ministero.
L'Avvocatura infine sottolinea che seguendo l'orientamento del giudice remittente, si finirebbe per tornare a quella "istruttoria sommaria o formale" che il nuovo codice ha voluto ripudiare.
Considerato in diritto
1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 364 del codice di procedura penale ("Nomina ed assistenza del difensore") nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi prevista si applichi anche alla individuazione cui debba partecipare la persona sottoposta alle indagini.
In particolare il giudice remittente ritiene che la norma impugnata, con il prevedere il diritto di assistenza tecnica da parte del difensore solo nelle ipotesi di interrogatorio, ispezione o confronto cui debba partecipare l'indagato, e non anche per l'individuazione compiuta dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 361 del codice di procedura penale, violi il diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione e si ponga altresì in contrasto con il principio della paritaria partecipazione dell'accusa e della difesa al processo, previsto dalla direttiva n. 3 dell'art. 2 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81, con conseguente violazione dell'art. 77 della Costituzione.
2. - La questione non è fondata sotto entrambi i profili.
Nell'esaminare per prima, in ordine di antecedenza logica, la censura dedotta dal giudice remittente in ordine alla violazione dell'art. 77, primo comma, della Costituzione, emerge immediatamente che la stessa legge-delega indica nelle direttive n. 37 e n. 38 gli atti tipici che il pubblico ministero ha il potere di compiere e, tra questi, quegli ai quali il difensore ha il diritto di assistere: mentre l'individuazione è espressamente prevista tra i primi, non è invece compresa tra quelli con diritto di assistenza difensiva.
Se quindi la stessa legge-delega non ha posto sullo stesso piano, sotto tale profilo, l'interrogatorio, il confronto e l'ispezione, da un lato, e l'individuazione dall'altro, e se a detto criterio il legislatore delegato, come si è visto, si è strettamente attenuto, non è certamente ipotizzabile alcuna violazione dell'art. 77 della Costituzione; occorre rammentare, inoltre, che la direttiva n. 3 esprime un principio posto sul medesimo piano, quanto a dovere di attuazione, degli altri contenuti nelle successive direttive che, nell'art. 2 della legge-delega, disciplinano ciascuna aspetti specifici del processo penale.
3. - Sul piano sostanziale, poi, non sussiste alcuna violazione del principio di paritaria partecipazione dell'accusa e della difesa al processo proprio in ragione della funzione non probatoria dell'atto; il che evidenzia, nel medesimo tempo, anche la non fondatezza della censura relativa alla violazione del diritto di difesa.
In un sistema nel quale la prova si forma in dibattimento, o comunque davanti al giudice in sede di incidente probatorio, quale anticipazione del dibattimento, gli atti compiuti dal pubblico ministero hanno una funzione esclusivamente endoprocessuale (lo stesso art. 361 consente di procedere all'individuazione solo "quando è necessario per l'immediata prosecuzione delle indagini"); vale a dire che la destinazione naturale di tutto il materiale frutto delle indagini preliminari è nella finalizzazione delle indagini stesse, secondo quanto previsto dalla dir. n. 37 ed attuato dagli artt. 326 e 358 (cfr. in tal senso la relazione al Titolo V del codice).
In proposito è utile sottolineare che, in ogni caso, neanche la presenza della difesa incide sul valore degli atti compiuti dal pubblico ministero, rendendoli in qualche modo equivalenti, sotto il profilo probatorio, a quelli compiuti dal giudice, proprio perché la legge-delega ha chiaramente fissato il principio secondo cui la prova si forma in dibattimento.
La stessa natura dell'atto in esame, inoltre, dal procedimento ben diverso da quello previsto per la "ricognizione", rende evidente come in talune ipotesi sia del tutto impossibile realizzare l'assistenza di un difensore in incertam personam, prima cioè di avere materialmente identificato la persona che sarà poi, solo a partire da quel momento, "sottoposta alle indagini".
Se quindi l'individuazione è in sostanza un puro atto d'indagine finalizzato ad orientare l'investigazione, ma non ad ottenere la "prova", non può dirsi violato né il diritto di difesa dell'indagato, né il principio di parità delle parti, ben potendo il legislatore graduare l'assistenza difensiva in funzione del rilievo conferito all'atto che, si ripete, esaurisce i suoi effetti all'interno della fase in cui viene compiuto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 364 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 77 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta il 23 maggio 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 12 giugno 1991.