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Ineseguibile MAE in Romania per condizioni di detenzione (Cass., 23277/16)

3 giugno 2016, Cassazione penale

 Tutti gli Stati membri devono rispettare il diritto dell'Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo: non si può prescindere dalla constatazione dell'effettivo e concreto grave malfunzionamento del sistema penitenziario dello Stato membro emittente, dall'altro che proprio i principi fondanti l'Unione europea obblighino ogni Stato membro al rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, come rammenta il considerando 10 della decisione quadro, in base al quale l'attuazione del mandato d'arresto europeo può essere sospesa in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'art. 6, paragrafo 1, UE.

Prima della eventuale consegna alla Romania, viste le sentenze di condanna per l'art. 3 CEDU pronunciate il 10 giugno 2014 dalla Corte europea per i diritti umani nei confronti della Romania (Corte EDU, Bujorean c. Romania, n. 13054/12; Constantin Aurelian Burlacu c. Romania, n. 51318/12, e Mihai Laurentiu Marin c. Romania, n. 79857/12) per il sovraffollamento delle carceri e per le pessime condizioni materiali di detenzione (celle prive di igiene e di sufficiente riscaldamento, nonchè di acqua calda per la doccia), sia dal Rapporto, pubblicato dal Consiglio d'Europa il 24 settembre 2015 (doc. CPT/Inf (2015) 31), del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio (CPT), vanno richieste informazioni supplementari per verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell'interessato.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

ud. 01/06/2016, sent. 03/06/2016, n. 23277

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.O., nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/04/2016 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa CARDIA Delia, che ha concluso chiedendo annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla violazione della L. n. 69 del 2005 , all'art. 18, comma 1, lett. h);
udito il difensore, avv. Gioconda Soluri, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, insistendo nei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro disponeva la consegna di B.O. alle autorità giudiziarie romene, sulla base del mandato di arresto europeo emesso al fine della esecuzione della pena inflittagli con sentenza definitiva.
La richiesta della consegna era basata sulla condanna del B. alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per traffico di stupefacenti, inflittagli con sentenza del Tribunale di Mehedinti del 28 giugno 2012, divenuta definitiva a seguito delle sentenze della Corte di appello di Craiova e dell'alta Corte di cassazione.
La Corte di appello rilevava che, dalla sentenza di primo grado, acquisita agli atti, risultava che il B. non si era presentato in giudizio, pur essendo a conoscenza del processo, come dimostravano alcuni documenti del fascicolo processuale.
La stessa Corte escludeva inoltre la sussistenza di un pericolo attuale e concreto di sottoposizione del consegnando a pratiche inumane o a torture, a causa delle condizioni pur critiche delle carceri in Romania.
2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore della persona richiesta in consegna, articolando sei motivi di annullamento:
la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 6, commi 3, 5 e 6, art. 1, comma 3, e art. 17, comma 4, in quanto non risulterebbero acquisite dalla Corte di appello la attestazione di irrevocabilità della sentenza posta in esecuzione e le sentenze emesse nei gradi di giudizio (agli atti vi sarebbe solo quella di primo grado);
la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 2 e art. 19, comma 1, lett. a), poichè non sono state riconosciute al B. le garanzie previste per la consegna esecutiva, fondata su una condanna pronunciata in absentia;
la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), in relazione al pericolo di trattamenti inumani e degradanti che il B. potrebbe subire in relazione al trattamento carcerario, alla luce dei rapporti stilati dal Comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa sulla situazione carceraria in Romania, richiamati anche dalla recente sentenza della Corte di giustizia U.E. che ha stabilito quali accertamenti al riguardo debbano essere condotti dallo Stato di esecuzione del mandato di arresto europeo in vista della consegna verso la Romania;
la violazione dell'art. 1, paragrafi 3, 5 e 6 della decisione quadro 2002/584/JAI, dell'art. 3 CEDU, della L. n. 69 del 2005, art. 2, comma 1, per aver omesso, in base al motivo che precede, di rinviare la consegna per richiedere alle autorità rumene informazioni relative all'istituto penitenziario presso il quale dovrà essere ristretto il B.;
la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 16, comma 2, per non aver dato risposta alla richiesta di acquisizione della copia conforme delle sentenza di condanna, emessa in Romania e posta in esecuzione, con l'attestazione di irrevocabilità, nonchè delle altre sentenze emesse nei diversi gradi di giudizio;
la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. a), per non aver richiesto allo Stato romeno garanzie sulla possibilità del B. di avere un nuovo processo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
2. Il primo e il quinto motivo non hanno fondamento.
E' irrilevante ai fini della consegna la circostanza della impugnabilità della sentenza di condanna su cui è fondato il m.a.e., quando la stessa sia dotata di forza esecutiva, poichè l'art. 8, par. 1, lett. c), della decisione quadro n. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 conferisce rilievo alla sola "esecutività", non alla "irrevocabilità" della sentenza (Sez. 6, n. 2745 del 19/01/2012, Pistoia, Rv. 251787).
Pertanto, a fronte della attestazione della esecutività della sentenza posta a fondamento del mandato di arresto europeo, non andavano effettuati ulteriori accertamenti in ordine alla irrevocabilità della stessa.
Deve parimenti escludersi la rilevanza della mancata acquisizione delle sentenze emesse nei successivi gradi di giudizio, posto che le stesse avrebbero soltanto confermato la precedente condanna, come si evince dagli atti.
E' stato più volte affermato invero il condivisibile principio, secondo cui è legittima la decisione di consegna in forza di un m.a.e. esecutivo anche se non sia acquisita copia della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, qualora il mandato di arresto europeo e l'ulteriore documentazione in atti contengano gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per la decisione stessa (Sez. 6, n. 9764 del 20/02/2014, Canciu, Rv. 259116;
Sez. 6, n. 16942 del 21/04/2008,Ruocco, Rv. 239428).
3. Non meritano accoglimento neppure il secondo ed il sesto motivo di ricorso.
Il D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31 , che ha dato attuazione alla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che ha modificato la decisione quadro 2002/584/GAI, al fine di rafforzare i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo, ha modificato della L. n. 69 del 2005 , l'art. 19, comma 1, lett. a), stabilendo le condizioni perchè si possa far luogo alla consegna di un mandato di arresto europeo emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, inflitte mediante decisione pronunciata in absentia (ovvero emessa all'esito di un processo nel quale l'interessato non è comparso personalmente).
In particolare si stabilisce che è sufficiente che il certificato attesti che l'interessato, informato del processo a suo carico, è stato rappresentato nel processo conclusosi con la menzionata decisione da un difensore, nominato anche d'ufficio (art. 19, comma 1, lett. a), n. 2).
Nel caso in esame il certificato contiene tale attestazione al foglio 2 (versione originale) e la circostanza trova ulteriore conferma nella sentenza di condanna acquisita agli atti.
In ogni caso, appare dirimente che il sistema giudiziario romeno prevede ampie garanzie a favore dell'imputato giudicato in absentia, consentendo allo stesso di esercitare il diritto a un nuovo processo e, nel caso di persona consegnata sulla base di mandato di arresto europeo, facendo decorrere il termine per la relativa richiesta dal momento in cui questi riceverà in Romania, dopo la consegna, la notifica della sentenza di condanna ( art. 466 c.p.p. , L. n. 135 del 1 luglio 2010, entrata in vigore il 7 febbraio 2014).
In tal modo risulta comunque soddisfatta l'altra condizione prevista dal citato d.lgs. per la consegna di persone che non abbiano ricevuto personalmente la notifica della decisione (art. 19, comma 1, lett. a), n. 4).
4. Fondati sono invece il terzo ed il quarto motivo.
4.1. La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 5 aprile 2016, ha affrontato la questione pregiudiziale, sottopostale da uno Stato membro in relazione ad una consegna alle autorità giudiziarie romene richiesta con mandato di arresto europeo (nella specie, di tipo di tipo "esecutivo"), concernente la possibilità di introdurre un motivo di non esecuzione non previsto espressamente dal legislatore dell'Unione europea:
ovvero la presenza di "gravi indizi" sulla violazione dei diritti fondamentali dell'interessato e dei principi giuridici generali sanciti dall'art. 6 TUE da parte dello Stato di emissione in relazione alle condizioni di detenzione.
4.2. La questione pregiudiziale prendeva le mosse sia da varie sentenze di condanna per l'art. 3 CEDU pronunciate il 10 giugno 2014 dalla Corte europea per i diritti umani nei confronti della Romania (Corte EDU, Bujorean c. Romania, n. 13054/12; Constantin Aurelian Burlacu c. Romania, n. 51318/12, e Mihai Laurentiu Marin c. Romania, n. 79857/12) per il sovraffollamento delle carceri e per le pessime condizioni materiali di detenzione (celle prive di igiene e di sufficiente riscaldamento, nonchè di acqua calda per la doccia), sia dal Rapporto, pubblicato dal Consiglio d'Europa il 24 settembre 2015 (doc. CPT/Inf (2015) 31), del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio (CPT), in relazione alla situazione delle carceri in Romania, a seguito di visite effettuate tra il 5 e il 17 giugno 2014.
In particolare, quest'ultimo documento evidenziava il persistente problema del sovraffollamento nelle carceri romene (considerato l'alto numero della popolazione carceraria rispetto alla capienza massima degli istituti di polizia e penitenziari), fronteggiato dalla Romania con alcune riforme (misure alternative al carcere, riduzione delle pene carcerarie e del ricorso alla carcerazione preventiva), la cui effettività non era stata oggetto di valutazione, in quanto varate solo il primo febbraio 2014. La visita aveva avuto ad oggetto, tra l'altro, tre penitenziari ed aveva rivelato condizioni soddisfacenti nel carcere di Arad (anche se interessato da problemi di infestazioni) e di grave sovraffollamento in quelle di Oradea (che presentava anche pessime condizioni igieniche) e Tasgor.
Il Comitato aveva pertanto inoltrato alla Romania una serie di raccomandazioni, tra le quali quelle di garantire un minimo di 4 mq.
di spazio per ogni detenuto e di rivedere le condizioni sanitarie e igieniche degli stabilimenti penitenziari.
4.3. L'interpretazione fornita dalla Corte di giustizia pone in evidenza due aspetti nodali: da un lato che il meccanismo di consegna delineato dalla decisione quadro del 2002, fondato sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, che presuppone che tutti rispettino il diritto dell'Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo, non può prescindere dalla constatazione dell'effettivo e concreto grave malfunzionamento del sistema penitenziario dello Stato membro emittente, dall'altro che proprio i principi fondanti l'Unione europea obblighino ogni Stato membro al rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, come rammenta il considerando 10 della decisione quadro, in base al quale l'attuazione del mandato d'arresto europeo può essere sospesa in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'art. 6, paragrafo 1, UE. Pertanto, la Corte di giustizia ha affermato che, se lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente in relazione alla persona richiesta in consegna l'esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, contenuto nell'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e nell'art. 3 CEDU, va al contempo salvaguardata la possibilità della realizzazione della consegna stessa, consentendo "entro un tempo ragionevole" allo Stato membro di emissione di rimuovere le condizioni ostative connesse a tale rischio.
Una volta verificata l'esistenza di un rischio concreto di trattamento contrario all'art. 3 CEDU ad opera di uno Stato membro, spetta infatti a quest'ultimo provvedere a rimuoverlo.
La Corte di giustizia ha quindi delineato la procedura che gli Stati membri devono seguire allorquando l'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione disponga di elementi che attestino "un rischio concreto" di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro di emissione.
4.4. In primo luogo, detta autorità deve valutare se tale rischio sussista, basandosi su "elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati" sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione.
A tal fine, la Corte ha indicato quali fonti conoscitive qualificate le decisioni giudiziarie internazionali, in particolare le sentenze della Corte EDU, le decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonchè da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.
4.5. Una volta accertata la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente, l'autorità giudiziaria di esecuzione deve svolgere un'indagine "mirata", volta cioè a stabilire se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto ad un trattamento inumano o degradante.
In altri termini, deve essere effettuato un supplemento di istruttoria, a norma dell'art. 15, par. 2 della decisione quadro del 2002, per richiedere con urgenza all'autorità giudiziaria dello Stato membro emittente "qualsiasi informazione complementare necessaria" in ordine alle condizioni di detenzione previste per la persona di cui è stata chiesta la consegna e all'esistenza di "procedimenti e meccanismi nazionali o internazionali di controllo delle condizioni di detenzione" che consentano di valutare lo stato effettivo delle condizioni di detenzione in predetti istituti.
La Corte di giustizia, a tal riguardo, ha rammentato l'opportunità che venga fissato un termine massimo per la ricezione delle informazioni complementari, che tenga conto dei termini fissati dall'art. 17 della decisione quadro, ma che sia al contempo adeguato ai tempi necessari allo Stato di emissione per raccogliere le informazioni richieste, se necessario ricorrendo a tal fine all'assistenza dell'autorità centrale.
4.6. La stessa Corte ha quindi precisato che la consegna sarà disposta, se l'autorità giudiziaria di esecuzione escluda, sulla base delle informazioni "individualizzate" ricevute, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, rispetto alla persona oggetto del mandato d'arresto europeo.
La Corte di giustizia ha volutamente evitato di prevedere eventuali garanzie sul rispetto delle condizioni di detenzione da parte dello Stato di esecuzione, così come prospettato dal giudice del rinvio.
Nella cooperazione tra autorità giudiziarie sulla base del meccanismo del mandato di arresto europeo, fuori dalla dimensione politica tipica dell'estradizione, vengono in considerazione esclusivamente le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio.
Informazioni delle quali lo Stato di esecuzione, in conformità con i principi del mutuo riconoscimento, deve prendere atto.
Nel diverso caso in cui, sulla base delle informazioni fornite, non venga escluso il rischio concreto di trattamento inumano o degradante, la Corte di giustizia ha stabilito che l'esecuzione del mandato "deve essere rinviata, ma non può essere abbandonata" e ne va informato Eurojust.
In buona sostanza, l'autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna, fintanto non ottenga - purchè entro un termine ragionevole - informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di un siffatto rischio.
Al di là della praticabilità di un epilogo siffatto nei singoli ordinamenti, quel che la Corte di giustizia sembra voler affermare è che la decisione del giudice nazionale non deve impedire la consegna se pervengano in seguito le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio in questione.
4.7. Venendo al caso in esame, era compito della Corte di appello, alla quale la questione era stata espressamente sottoposta, di esaminare la richiesta della consegna del B., conformandosi all'interpretazione della decisione quadro del 2002 risultante dalla sentenza della Corte di giustizia ora citata, tenuto conto dell'espresso motivo di rifiuto della consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h).
Sul punto, la Corte di appello, pur dando atto che dal rapporto del CPT risultava che le carceri romene fossero sovraffollate, malsane e con scarsa luce ed aerazione, ha laconicamente affermato che tale produzione non dimostrava il pericolo attuale e concreto che il consegnando fosse esposto al rischio di pratiche inumane o torture.
Si tratta di affermazione non supportata da alcun accertamento "mirato", volto a dimostrare che non sussiste il rischio concreto che la persona richiesta in consegna sia sottoposta nello Stato di emissione ad un trattamento contrario all'art. 3 CEDU. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata affinchè la Corte di appello effettui gli opportuni accertamenti, avendo tra l'altro già constatato, sulla base delle fonti qualificate prodotte dalla difesa (le stesse sulle quali si era espressa la Corte di giustizia), la sussistenza nelle carceri rumene di un problema sistemico del trattamento penitenziario.
Ai dati conoscitivi segnalati dalla Corte di Giustizia, risalenti al 2014, devono tra l'altro aggiungersi le più recenti sentenze pronunciate dalla Corte EDU nei confronti della Romania, che oramai in forma ripetitiva, sin dalla sentenza, costituente il leading case, Iacov Stanciu c. Romania (Corte EDU, 24/07/2012, n. 35972/05), hanno constatato la violazione dell'art. 3 della Convenzione in relazione al trattamento dei detenuti (sovraffollamento, con spazio vitale in alcuni casi pari a 1,04 mq., e plurime carenze igieniche): tra le tante, la sentenza del 18 giugno 2015 (Corte EDU, Aprea ed altri c. Romania, n. 54966/09 e ss.gg), relativa ai ricorsi di 20 detenuti, e la sentenza del 4 aprile 2016 (Corte EDU, Materi ed altri c. Romania, 32435/13 e ss.gg), relativa a 18 detenuti.
Tale quadro rivela sicuramente un grave problema sistemico del trattamento penitenziario in Romania, che per altri Paesi del Consiglio d'Europa ha visto l'adozione da parte della Corte EDU della procedura della c.d. "sentenza pilota", così da consentire allo Stato interessato di approntare rimedi strutturali interni necessari ad allineare la propria legislazione e le pratiche interne alla Convenzione europea.
Dalle risposte del Governo rumeno al rapporto del CTP, pubblicate il 24 settembre 2015 dal Consiglio d'Europa (doc. CPT/Inf (2015) 3), si apprende peraltro di una serie di riforme avviate dal 2014 per fronteggiare il problema.
Con la L. n. 48 del 2014 è stato istituito il Garante a tutela della condizione carceraria (l'Avvocato del Popolo), quale autorità nazionale per la prevenzione della tortura, come prevede il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unire contro la tortura; con la L. n. 254 del 2014 è stato previsto che le condizioni di detenzione devono adeguarsi agli standard del CPT, in particolare nella ristrutturazione e costruzione di nuove strutture carcerarie, stabilendo, tra l'altro, ove la struttura carceraria venga a superare la sua capacità, la obbligatoria informativa da parte del direttore alla Direzione Nazionale per i detenuti per verificare il trasferimento delle persone altrove.
Risulta inoltre la istituzione o reperimento di nuovi posti nelle strutture penitenziarie (1.201 nel 2012 e 14021 nel 2013), mentre per il 2015 erano previste ulteriori nuove strutture (per circa 500 posti); si fa riferimento inoltre all'approvazione di una strategia globale del sistema giudiziario per il 2015-2020 per migliorare le condizioni di detenzione alla luce degli standard internazionali, aggiungendo 3.000 posti e ammodernando 4 penitenziari.
Come evidenziava il Rapporto del CPT, non è nota l'effettività di queste riforme e allo stato quindi non vi è motivo per escludere che permanga un problema diffuso delle condizioni del trattamento penitenziario, contrario agli standard europei.
4.8. Quanto alla procedura che dovrà essere seguita dalla Corte di appello, nell'adeguarsi alle indicazioni della Corte di giustizia, si possono delineare i seguenti passaggi.
La Corte di appello dovrà inoltrare all'autorità giudiziaria romena la richiesta di informazioni complementari, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16 aventi ad oggetto le seguenti informazioni: se la persona richiesta in consegna sarà detenuta presso una struttura carceraria; in caso positivo, le condizioni di detenzione che saranno riservate all'interessato, al fine di escludere in concreto il rischio di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU (ovvero il nome della struttura in cui sarà detenuto, lo spazio individuale minimo intramurario allo stesso riservato, le condizioni igieniche e di salubrità dell'alloggio; i meccanismi nazionali o internazionali per il controllo delle condizioni effettive di detenzione del consegnando). L'inoltro attraverso l'autorità centrale garantirà sia una tendenziale omogenea trattazione dei casi simili, sia il presidio delle autorità politiche, cui fa riferimento il considerando n. 10 sopra citato.
4.9. Nell'inoltrare la richiesta di informazioni complementari, la Corte di appello dovrà fissare un termine adeguato che, ai sensi dell'art. 16 cit., non potrà comunque essere superiore ai trenta giorni.
4.10. Ricevute le informazioni richieste, la Corte di appello dovrà valutare se sulla base delle stesse risulti escluso il rischio concreto di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU. Al fine di determinare lo spazio individuale intramurario conforme agli standard europei, il giudice del rinvio terrà conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito che lo stesso va individuato in uno spazio almeno pari almeno a tre metri quadrati "calpestabili" (Sez. 1, n. 5728 del 19/12/2013, dep. 2014, Berni, Rv. 257924), richiamando la giurisprudenza della Corte EDU sul punto (Corte EDU, 21/072007, Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, 50-51; 29/03/2007, Andrei Frolov c. Russia, n. 205/02, 47-49; 4/12/2012, Torreggiani c. Italia, n. 43517/09, 68).
Laddove pervengano informazioni sufficienti ad escludere per la persona richiesta in consegna il rischio di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU nei termini suddetti, la consegna sarà consentita.
Diversamente se dalle stesse non può escludersi il suddetto rischio, la Corte di appello è tenuta a rifiutare - "allo stato degli atti" in ordine alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h) - la consegna.
La decisione "allo stato degli atti" si giustifica in conformità alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia, nella prospettiva che, entro un tempo ragionevole, lo Stato di emissione possa adottare in relazione alla persona richiesta in consegna le misure necessarie per assicurare le condizioni essenziali per la consegna stessa, ovvero il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana, sanciti dalla Carta fondamentale dell'Unione europea.
Il che significa che, laddove l'autorità giudiziaria dello Stato di emissione faccia pervenire, successivamente e comunque entro un termine ragionevole, le suddette informazioni, alla luce dei parametri sopra indicati, il giudicato allo stato degli atti formatosi sul rifiuto della consegna, se rende irretrattabili le altre questioni già decise, non impedisce la pronuncia di una successiva sentenza favorevole alla consegna, in relazione ai nuovi elementi sopravvenuti sulle condizioni di futura detenzione.
5. Sulla base di quanto premesso, la sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio in ordine alla questione relativa alla sussistenza dell'ipotesi di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), secondo i principi sopra enunciati.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
Così deciso in Roma, il 1 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2016