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Informazioni generiche non bastano per consegna MAE (Cass. 44015/22)

16 novembre 2022, Cassazione penale

A fronte delle specifiche censure formulate dalla difesa e della dimostrazione, sulla base di informazioni aggiornate ed attendibili di un rischio reale di trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, la Corte di appello non può limitarsi a recepire le generiche informazioni rese dall'autorità greca motivando in modo meramente apparente su questo punto decisivo ai fini dell'accoglimento della richiesta di consegna formulata dall'autorità giudiziaria estera.
 

Corte di Cassazione
 
Sez. VI penale  Num. 44015 Anno 2022
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: D'ARCANGELO FABRIZIO
Data Udienza: 16/11/2022

 
SENTENZA

PM, nato in Germania il **/1969;
avverso la sentenza del 27 settembre 2022 emessa dalla Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano-;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D'Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Andrea Venegoni, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udite le richieste dei difensori, avvocati Nicola Canestrini e Hansjorg Stofner, che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano - ha disposto la consegna all'autorità giudiziaria greca di MP  in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dalla Corte di appello di Creta per l'esecuzione della sentenza di condanna emessa in data 8 giugno 2012 per il reato di furto di icone religiose commesso in data 12 ottobre 2004.
 
2. Gli avvocati Nicola Canestrini e Hansjorg Stofner, nell'interesse del P, ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l'annullamento.
Con unico e articolato motivo di ricorso i difensori censurano l'inosservanza o l'erronea applicazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., dell'art. 2 della legge n. 22 aprile 2005, n. 69, degli artt. 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo in relazione al rischio concreto di violazione del diritto fondamentale della persona richiesta in consegna a non subire trattamenti inumani e degradanti.
Deducono i difensori che la Corte di appello di Trento, con motivazione meramente apparente, avrebbe affermato l'insussistenza di cause ostative alla consegna con riguardo alle situazioni di sovraffollamento carcerario, considerando dettagliate le informazioni rese dall'autorità greca e la possibilità per l'estradando di ricevere adeguate cure per le patologie dalle quali è afflitto nel penitenziario al quale è destinato.
Ad avviso dei difensori, tuttavia, ove la consegna venisse eseguita, il P verrebbe esposto al rischio concreto di subire trattamenti inumani e degradanti durante il periodo di detenzione, in quanto il sistema carcerario greco non è in grado di assicurare un trattamento penitenziario rispettoso della dignità umana e dei diritti costituzionalmente e internazionalmente riconosciuti.
Gli istituti penitenziari ellenici, infatti, sarebbero caratterizzati da un patologico stato di sovraffollamento, da condizioni igieniche inadeguate e da frequenti episodi di violenza, come di recente rilevato anche dal Comitato per la prevenzione della tortura, nel report relativo alle condizioni degli istituti penitenziari ellenici del 2 settembre 2022, e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza resa nel caso Kargakis (C. Edu , 14 gennaio 2021, Kargakis c. Grecia, n. 27025/13).
Rilevano, inoltre, i difensori che, come rilevato dal Comitato per la prevenzione della tortura nel report sopra citato negli istituti di pena greci gli episodi di violenza sono frequenti e, spesso, sono proprio gruppi di detenuti a dirigere, nei fatti, interi reparti.
 
 La Corte di appello, dunque, illegittimamente avrebbe ritenuto sufficienti le invero generiche e incomplete rassicurazioni fornite dall'autorità greca sulle condizioni di detenzione, in quanto non avrebbero specificato il regime di detenzione aperto o semiaperto cui sarebbe destinato il P nel carcere di Chania, la possibilità concreta di accesso alle aree esterne alla cella, tanto più in relazione alla non breve durata della detenzione (pari a cinque anni, undici mesi e ventisette giorni di reclusione) ancora da scontare.
 
La stessa indicazione di uno spazio minimo tra i tre ed i quattro metri quadrati potrebbe rivelarsi inadeguata, come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte Edu, Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia, n. 7334/13), ove associata agli ulteriori elementi di inadeguatezza degli istituti penitenziari ellenici in ordine alla possibilità di svolgere attività fisica all'area aperta, alla presenza di luce naturale e aria nella cella, all'adeguatezza della ventilazione e della temperatura e al rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari.
 
Insufficienti e generiche sarebbero, peraltro, le rassicurazioni rese dall'autorità greca anche in ordine all'idoneità delle dotazioni del carcere di Chania a fornire cure adeguate per i problemi di salute dei quali soffre il P (diabete, sindrome da dipendenza da sostanze alcoliche, infarto, ematoma subdurale traumatico ed epilessia strutturale risalente al 2008), che, invero, sarebbero incompatibili con lo stato di detenzione.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
 
2. Con unico motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. dell'art. 2 della legge n. 22 aprile 2005, n. 69, degli artt. 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto la sentenza impugnata avrebbe motivato in modo meramente apparente in ordine all'insussistenza del rischio per la persona richiesta in consegna di subire, in caso di trasferimento nel casa di reclusione di Chania, trattamenti inumani e degradanti, sotto il profilo del sovraffollamento carcerario e delle violenze in ambito carcerario, e un pregiudizio per la propria salute.
 
3. Infondato si rivela il profilo di censura relativa alla violazione di legge in ordine al pericolo per la salute del ricorrente in caso di accoglimento della richiesta consegna.
 
 4. Deve, infatti, rilevarsi, conformemente al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, che in tema di mandato d'arresto europeo, le ragioni che inducono a ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute del consegnando non sono annoverate dall'art. 18 della legge n. 69 del 2005 tra le cause di rifiuto della consegna, ma attengono alla fase esecutiva della stessa e possono essere fatte valere mediante istanza alla Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 23, comma terzo, della medesima legge, in quanto costituiscono una condizione personale soggetta a modificazione, anche repentina, nel corso del tempo e, pertanto, non utilmente rappresentabile nelle fasi procedimentali anteriori all'esecuzione del provvedimento di consegna (ex plurimis: Sez. 6, n. 2492 del 19/01/2022, Del Vecchio, Rv. 282678 - 01; Sez. 6, n. 7489 del 15/02/2017, Yassir Farag, Rv. 269110 - 01; Sez. 6, n. 108 del 30/12/2013 (dep. 03/01/2014), Di Giuseppe, Rv. 258460 - 01).
 
Nel caso di specie, peraltro, le patologie dedotte dalla difesa del ricorrente non paiono riconducibili alla nozione di «gravi patologie di carattere cronico e potenzialmente irreversibili» per le quali la Corte costituzionale, con ordinanza n. 216 del 2021, ha disposto di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE): «se l'art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, letto alla luce degli artt. 3, 4 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea (CDFUE), debba essere interpretato nel senso che l'autorità giudiziaria di esecuzione, ove ritenga che la consegna di una persona afflitta da gravi patologie di carattere cronico e potenzialmente irreversibili possa esporla al pericolo di subire un grave pregiudizio alla sua salute, debba richiedere all'autorità giudiziaria emittente le informazioni che consentano di escludere la sussistenza di questo rischio, e sia tenuta a rifiutare la consegna allorché non ottenga assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole».
 
5. La censura relativa all'omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine al rischio di trattamenti inumani e degradanti in relazioni alle condizioni di sovraffollamento delle carceri greche è fondata.
 
5.1. La Gran Camera della Corte di Giustizia nella sentenza 5 aprile 2016 (C- 404/15, Aaranyosi, e C-659/15, Caldararu) ha affermato che l'esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai condurre ad un trattamento inumano o degradante.
 
Il divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti di cui all'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a sua volta corrispondente all'art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, rappresenta, infatti, un valore fondamentale dell'Unione europea, avente carattere assoluto, in quanto strettamente connesso al rispetto della dignità umana.
 
E', pertanto, onere dell'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, che decide in ordine alla consegna, in presenza di rischi concreti di violazione dell'art. 3 CEDU (e 4 CDFUE), valutare se sussista un concreto pericolo che tali trattamenti si verifichino a danno dei soggetti detenuti nello Stato membro emittente.
 
Tale valutazione dovrà essere condotta sulla base di «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione».
La Corte di Giustizia ha, inoltre, precisato che «tali elementi possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite».
 
5.2. Questa Corte, in adesione alle indicazioni provenienti dalla Corte U.E., ha da tempo stabilito quale sia il controllo che la Corte di appello deve effettuare allorquando sia rappresentato dalla persona richiesta in consegna, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, il serio pericolo di essere sottoposta ad un trattamento inumano e degradante nello Stato di emissione (tra le tante, Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296; Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, The, Rv. 269211)Una volta accertata l'esistenza di un generale rischio attuale di trattamento inumano da parte dello Stato membro, attraverso fonti affidabili, deve, infatti, essere verificato se, in concreto, la persona oggetto del mandato di arresto europeo potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano.
 
Va svolta, quindi, un'indagine mirata ad accertare, attraverso informazioni "individualizzate" che devono essere richieste allo Stato di emissione, quale sarà il trattamento carcerario cui concretamente il consegnando sarà sottoposto con riferimento a quegli aspetti ritenuti dalle fonti affidabili critici, in quanto costituenti situazioni di rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti.
 
Ove il tenore di dette informazioni escluda siffatto rischio, la Corte di appello deve limitarsi, in conformità al principio del mutuo riconoscimento, a prendere atto delle stesse e procedere alla consegna, senza poter pretendere garanzie di sorta sul rispetto delle condizioni di detenzione (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, in motivazione; Sez. 2, n. 3679 del 24/01/2017, The, Rv. 269211; Sez. 6, n. 52541 del 09/11/2018, Moisa, in motivazione).
 
 Qualora, invece, tale rischio non sia escluso e la Corte di appello debba rifiutare la consegna, la sentenza che decide sulla consegna deve considerarsi emessa "allo stato degli atti", così da poter essere sottoposta a nuova valutazione, laddove l'ostacolo alla consegna dovesse venir meno (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, in motivazione; Sez. 6, n. 35290, 19/07/2018, Sniadecki, Rv. 273780).
 
5.3. Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi come la Corte di appello, in violazione dell'art. 2 della legge n. 69 del 2005, non abbia escluso adeguatamente la sussistenza di un concreto rischio di violazione del diritto fondamentale della persona richiesta in consegna a non subire trattamenti inumani e degradanti in ragione delle condizioni di sovraffollamento della Casa di reclusione di Chania.
 
La Corte di appello di Trento, infatti, sulla base delle informazioni ricevute dalle autorità greche ha rilevato che, in tale casa di detenzione, «lo spazio minimo è di 3-4 mq.; ogni cella dispone di un bagno con lavandino e doccia con acqua calda, di una finestra e di un riscaldatore».
 
A fronte delle specifiche censure formulate dalla difesa e della dimostrazione, sulla base del Report del Comitato per la prevenzione della tortura del 2 settembre 2022 e della recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza resa nel caso Kargakis, di un rischio reale di trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, la Corte di appello si è limitata a recepire le generiche informazioni rese dall'autorità greca e, dunque, ha motivato in modo meramente apparente su questo punto decisivo ai fini dell'accoglimento della richiesta di consegna formulata dall'autorità giudiziaria estera.
 
5.4. Le Sezioni unite di questa Corte hanno, tuttavia, chiarito che nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano, ad esempio, i letti a castello.
Si è aggiunto che i c.d. i fattori compensativi, costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell'art. 3 della CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibilità di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle [condizioni complessive di detenzione (Sez. U, n. 6551 del 24/072020, Ministero della Giustizia, Rv. 280433).
 
Nel caso di specie la Corte di appello di Trento [sezione distaccata di Bolzano] non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, essendosi limitata ad affermare genericamente che nel carcere di Chania, sarebbe assicurato alla persona richiesta in consegna uno «spazio minimo di 3-4 mq.», senza tuttavia accertare i criteri adottati in tale computo, il numero dei detenuti per ciascuna cella, il regime di detenzione al quale lo stesso sarebbe sottoposto (ad esempio, aperto o semi-aperto), gli orari per lo svolgimento delle attività all'esterno delle celle, il periodo di detenzione da trascorrere in siffatto regime (secondo i criteri enunciati dalla Corte Edu, Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia, n. 7334/13), che, peraltro, nella specie non è di breve durata.
 
L'accoglimento di questo motivo di ricorso determina l'assorbimento delle ulteriori censure proposte dal ricorrente.
 
6. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere accolto e deve essere disposto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Trento per nuovo giudizio sul punto.
 
P.Q.M.
 
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.
Così deciso il 16/11/2022.