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Ingiusta detenzione estradizionale, quale colpa? (Cass. 2678/09)

21 gennaio 2009, Cassazione penale

In tema di riparazione per ingiusta detenzione estradizionale, la domanda di indennizzo non verte sulla validità del titolo restrittivo originario, ma sulla ammissibilità della richiesta di estradizione, in base alla quale si assume una detenzione ingiusta: non si discute quindi della legittimità dell'emissione del mandato di arresto ma, una volta caducato il provvedimento restrittivo, il ricorrente è stato sottoposto a misure cautelari in assenza di un titolo che le giustificasse, e la precedente presunta colpa, che aveva potuto dare causa al provvedimento restrittivo iniziale, diventa quindi irrilevante.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione estradizionale, nessun dubbio può esservi in ordine ad una assimilazione del decreto di archiviazione ad una delle formule di proscioglimento o assoluzione "nel merito" di cui all'art. 314 c.p.p.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 12/12/2008) 21-01-2009, n. 2678

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana - Consigliere

Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere

Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) P.M., N. IL (OMISSIS);

contro

2) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE;

avverso ORDINANZA del 16/05/2007 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. VISCONTI SERGIO;

lette le conclusioni del P.G. Dr. D'AMBROSIO Vito, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della impugnata ordinanza.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con ordinanza in data 16 maggio 2007 la Corte di Appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano - ha rigettato l'istanza proposta da P.M. di riparazione per ingiusta detenzione subita in carcere dal 21 al 25 settembre 2006, e poi agli arresti domiciliari fino al 16 gennaio 2007 a seguito di convalida dell'arresto a seguito di mandato emesso dall'Autorità giudiziaria di Monaco di Baviera in data 30 agosto 2005, e di consequenziale misura cautelare basata sulla sussistenza di un concreto pericolo di fuga.

Prima di esporre le ragioni poste a base del provvedimento suindicato è necessario riepilogare la complessa vicenda giudiziaria che ha dato origine all'istanza del P..

In data 8 febbraio 2005, l'istante veniva arrestato dalla polizia tedesca, in quanto trovato in possesso di grammi 60,52 di marijuana e di grammi 26,63 di hashish. Tre giorni dopo il P. veniva rilasciato con permesso di ritornare in (OMISSIS), ma in data 30 agosto 2005 la Procura di Monaco emetteva mandato di arresto europeo per gli stessi fatti. A seguito di richiesta del 1 dicembre 2005 del Ministro italiano della Giustizia, la Procura di Monaco dava l'assenso al perseguimento del reato in Italia "secondo il diritto nazionale", confermando tale decisione con provvedimento del 14 febbraio 2006, e il Ministro della Giustizia italiano, in data 13 giugno 2006, rilevato che l'imputato risiedeva in (OMISSIS), disponeva che si procedesse in Italia, a norma dell'art. 9 c.p..

Tale decreto veniva tempestivamente inviato alla Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento.

In data 14 luglio 2006, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano chiedeva l'archiviazione del procedimento, ritenendo l'uso personale delle sostanze stupefacenti sequestrate e il GIP provvedeva in conformità con decreto di archiviazione del 30 ottobre 2006.

In tale periodo si pongono quindi i provvedimenti di convalida dell'arresto ai fini estradizionali e dell'applicazione della misura cautelare del 25 settembre 2006, provvedimenti che la Corte di Cassazione, sezione 6, con sentenza del 19 dicembre 2006 n. 2833, annullava, senza rinvio la convalida di arresto per inosservanza del termine entro cui sentire la persona arrestata, e con rinvio la ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari perchè la ritenuta sussistenza del pericolo di fuga era stata affermata in modo del tutto assertiva.

Ne conseguiva, nel periodo intercorso tra la decisione in camera di consiglio della Suprema Corte e il depositato della motivazione (25 gennaio 2007) la scarcerazione del P., disposta in data 16 gennaio 2007, e la Corte di Appello di Trento - sezione distaccata di Bolzano -, in data 21 marzo 2007, emetteva ordinanza di non luogo a procedere.

La stessa Corte territoriale, chiamata a decidere sulla istanza di riparazione per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p., ha dapprima ritenuto che il decreto di archiviazione era provvedimento non costituente res iudicata per la possibilità di riapertura delle indagini, non risultando trasmessi tutti gli atti dall'Autorità germanica, e perchè quest'ultima poteva ancora procedere autonomamente, in base alla Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale.

Inoltre, la Corte di merito ha ritenuto ravvisarsi la colpa grave di cui all'art. 314 c.p.p., comma 1, quale causa di esclusione del diritto alla riparazione, avendo l'istante acquistato le sostanze stupefacenti in (OMISSIS), "meta di prestigio per l'approvvigionamento della droga", per poi trasferirle in (OMISSIS), e quindi in (OMISSIS).

Tale "infelice idea di attraversare mezza Europa con la sua scorta personale di droga" costituisce colpevole leggerezza, tale da legittimare il diniego del diritto alla riparazione.

P.M., a mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per Cassazione avverso la succitata ordinanza, chiedendone l'annullamento, in via principale, senza rinvio, determinando il giudice di legittimità l'entità dell'indennizzo, e, in subordine, con rinvio alla stessa Corte che ha emesso il provvedimento impugnato.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. a), per avere presieduto il Collegio lo stesso magistrato che aveva applicato le misure cautelari.

Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha assunto la mancanza di motivazione del provvedimento gravato.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la contraddittorietà della motivazione tra l'ordinanza impugnata e il provvedimento del 21.3.2007 di non luogo a procedere sulla istanza di estradizione.

Con il quarto motivo di ricorso il P. ha rilevato la palese ingiustizia della custodia cautelare finalizzata ad una estradizione che non poteva comunque essere disposta.

Con il quinto motivo di gravame il ricorrente ha eccepito la contraddittorietà della motivazione in relazione al materiale probatorio acquisito, dal quale era derivato un provvedimento di archiviazione.

Con il sesto ed ultimo motivo di impugnazione il ricorrente ha assunto la erronea applicazione dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui era stata ritenuta la sussistenza della colpa grave, quale causa ostativa del diritto alle riparazione.

In data 24.10.2007 il Ministero dell'Economia e delle Finanze, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ha depositato memoria chiedendo il rigetto del ricorso per Cassazione proposto dalla difesa del P..

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto, come costantemente ritenuto da questa Corte, l'eventuale incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità del giudizio (Cass. Sezioni unite 7.4.1996 n. 5 riv. 204464; Cass. Sezioni unite 24.11.1999 n. 23 riv. 215097; Cass. Sez. 2, 26.6.2003 n. 30448 riv. 226572; Cass. Sez. 5, 8.11.2006 n. 40651 riv. 236307).

Ad analoghe conclusioni si deve pervenire per il secondo motivo di impugnazione, in quanto, pur risultando l'impugnata ordinanza senza dubbio errata per i motivi che saranno esposti, non corrisponde al vero che la stessa non percorre alcun discorso giustificativo perchè "priva di adeguati requisiti minimi di coerenza".

La mancanza di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., 1 comma, lett. e), ovvero la motivazione "apparente", che va equiparata al primo vizio, si ravvisa nel caso di sostanziale inesistenza della motivazione, come nel caso in cui vengano trascurati gli elementi significativi ai fini della decisione e vengano trattati argomenti del tutto apodittici inidonei a dare le benchè minima risposta al thema decidendum, e quindi inaccettabili sul piano logico (Cass. Sezioni unite 28.5.2003 n. 25080, Pellegrino).

Tale vizio, configurante peraltro una violazione di legge, e cioè dell'art. 125 c.p.p., comma 3, e che comporta la nullità del provvedimento, non si ravvisa nella specie.

Sono invece fondati tutti gli altri motivi di ricorso, potendosi trattare congiuntamente il terzo, il quarto ed il quinto, tutti correlati alla situazione processuale venutasi a creare a seguito: a) della scelta di celebrare il procedimento in Italia; b) della caducazione della richiesta di estradizione, c) della richiesta ed emissione di un provvedimento di archiviazione.

Come esattamente rilevato nel ricorso, la detenzione preventiva subita dal P. è stata basata su una richiesta di estradizione, per cui, in primo luogo, è da verificare se la procedura di cui agli artt. 314 e 315 c.p.p., sia applicabile nelle custodie cautelari subite a tale titolo. Nessun dubbio vi può essere, nè d'altra parte sul punto si è espressa la Corte territoriale, implicitamente recependo la tesi dell'istante, in quanto l'attuale formulazione dell'art. 714 c.p.p., comma 2, che disciplina le misure cautelari applicate alle persone delle quali è stata chiesta l'estradizione, dispone che "si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del Titolo 1^ del libro 4^, riguardanti le misure coercitive, fatta eccezione di quelle di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p., e le disposizioni del capo 3^ del titolo 3^ del libro 3^". Essendo gli artt. 314 e 315 c.p.p. le ultime due norme comprese nel Titolo 1^ del libro 4^ del codice di rito, e non essendovi alcun motivo per ritenerne l'inapplicabilità, è evidente l'estensione di tali disposizioni ai procedimenti di estradizione passiva.

Venendo al caso di specie, come esattamente osservato dal ricorrente, un primo motivo di riconoscimento del diritto alla riparazione deriva dalla sostanziale caducazione del titolo che la legittimava, e cioè il mandato di arresto europeo, pur non espressamente revocato, dopo che il Ministro della Giustizia italiano aveva decretato che si procedesse in Italia a norma dell'art. 9 c.p., avendo ottenuto risposta positiva dalla Procura di Monaco. Non avendo poi il giudice italiano emesso alcun provvedimento restrittivo, ma anzi avendo il P.M. chiesto l'archiviazione degli atti, è evidente che non sussisteva più alcun titolo detentivo, essendo altresì cessata anche la procedura di estradizione, come poi peraltro ritenuto dalla stessa Corte di Appello, che, con l'ordinanza del 21 marzo 2007, ha dichiarato non luogo a procedere.

Trattandosi di argomenti di palese evidenza, e invero neppure posti in discussione nella ordinanza impugnata, che - pur sulla base della caducazione del titolo detentivo, ne avrebbe dovuto trarre le dovute conseguenze in relazione alla richiesta riparatoria - va comunque affrontato il primo argomento per il quale la Corte di merito ha ritenuto di negare l'indennizzo di cui all'art. 315 c.p.p..

Nella motivazione dell'ordinanza gravata si sostiene la "non definitività" del decreto di archiviazione, in quanto può essere disposta la riapertura delle indagini a norma dell'art. 414 c.p.p., ovvero può procedere autonomamente l'Autorità giudiziaria straniera.

Tale secondo argomento - oltre che certamente non ipotizzabile neppure con il criterio del "buon senso" nel caso di specie, in cui l'adesione all'esercizio della giurisdizione da parte del giudice italiano per reato commesso all'estero da proprio cittadino, si estrinseca per un fatto certamente non grave, con chiara espressione di volontà di non perseguire in Germania una detenzione di sostanze stupefacenti da trasportare in Italia, come assume la stessa Corte di Appello - è del tutto irrecepibile, stante la chiara rinuncia all'esercizio della giurisdizione in Germania espressa dalla Procura di Monaco per ben due volte, e non essendo certamente la Convenzione Europea di Assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20.4.1959, finalizzata ad un proliferare di procedimenti in diversi paesi per lo stesso fatto.

Per ciò che concerne il rilievo della definitività o meno "in Italia" del provvedimento di archiviazione, si premette che tale valutazione può attenere soltanto alla ammissibilità della domanda da parte del P., per cui solo sotto questo aspetto viene preso in considerazione, anche se la impugnata ordinanza induce ad una valutazione delle ragioni della disposta archiviazione. L'art. 315 c.p.p., comma 1, dispone, infatti, che "la domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma dell'art. 314 c.p.p., comma 3".

Ne consegue che presupposto della ammissibilità della istanza di riparazione è effettivamente la definitività del decreto di archiviazione. Tale conclusione si evince agevolmente, all'art. 314 c.p.p., comma 3, dalla parificazione del provvedimento di archiviazione alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, che disciplina tutte le ipotesi di riparazione, a base delle quali vi deve essere una "sentenza irrevocabile" (comma 1), ovvero una "decisione irrevocabile" (comma 2).

La giurisprudenza di legittimità - che peraltro potrà essere ancor più estesa in senso favorevole dopo la sentenza della Corte Costituzionale 20.6.2008 n. 219 del 2008, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3, dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui, nell'ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all'equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni - ha comunque individuato la definitività del decreto (o dell'ordinanza) di archiviazione, ai fini della riparazione per ingiusta detenzione, nel caso in cui l'archiviazione sia stata disposta per uno dei casi previsti dall'art. 314 c.p.p., comma 1, (perchè il fatto non sussiste, perchè l'imputato non lo ha commesso, perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato), stante l'esplicito richiamo del comma 3 alle ipotesi succitate (Cass. Sez. 4, 12.1.2006 n. 4492 riv. 233408; Cass. Sez. 4, 1.10.1998 n. 2692 riv. 212478).

Profetica, in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 219 del 2008, è poi la sentenza di questa Corte n. 1585 del 18.12.1993 riv. 197642, che, seppure costituendo un indirizzo minoritario, aveva ritenuto il diritto a chiedere l'indennizzo anche per l'archiviazione disposta per cause diverse dalla infondatezza della notizia di reato.

Nella specie, in ogni caso, nessun dubbio può esservi in ordine ad una assimilazione del decreto di archiviazione ad una delle formule di proscioglimento o assoluzione "nel merito" di cui all'art. 314 c.p.p., comma 1, avendo il GIP, recependo la richiesta del P.M., ritenuto l'uso personale delle sostanze stupefacenti, e non la loro destinazione al fine di spaccio, per cui al più di può configurare un illecito amministrativo a norma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, ma non certamente un fatto costituente reato.

Non ha poi rilevanza nella specie la disputa giurisprudenziale e dottrinaria se debba essere adoperata la formula "il fatto non sussiste" ovvero "il fatto non costituisce reato", trattandosi comunque di formule entrambe previste dall'art. 314 c.p.p., comma 1.

Ne consegue, pertanto, che - a parte la preliminare valutazione sulla caducazione del titolo detentivo - in ogni caso la Corte territoriale ha errato nel ritenere la "non definitività" del provvedimento di archiviazione emesso dal GIP il 30.10.2006.

Per ciò che concerne l'ultimo motivo di impugnazione, e cioè la violazione di legge in relazione alla ritenuta colpa grave quale causa di esclusione del diritto alla riparazione, come esattamente ritenuto dal P.G. di legittimità, tale argomento è del tutto estraneo al tema della decisione, che non verte sulla validità del titolo restrittivo originario, ma sulla ammissibilità della richiesta di estradizione, in base alla quale il ricorrente è stato detenuto ingiustamente.

In altri termini, non vi è alcun dubbio che il mandato di arresto poteva essere emesso in maniera del tutto legittima dall'Autorità giudiziaria di Monaco, e che su di esso ha certamente influito il possesso dell'hashish e della marijuana da parte del P., ma, una volta caducato il provvedimento restrittivo, pur senza una esplicita revoca, a seguito della opzione in favore dell'esercizio della giurisdizione italiana, i cui magistrati, a loro volta, hanno ritenuto l'infondatezza della notizia di reato, chiedendo il P.M. l'archiviazione del procedimento, e il GIP disponendola, il ricorrente è stato sottoposto a misure cautelari in assenza di un titolo che le giustificasse, e la precedente presunta colpa, che aveva potuto dare causa al provvedimento restrittivo iniziale, diventa quindi irrilevante.

La ordinanza impugnata viene quindi annullata, a norma dell'art. 623 c.p.p., lett. a), non potendosi accogliere la richiesta principale di annullamento senza rinvio a norma dell'art. 620 c.p.p., in quanto la liquidazione dell'indennizzo è compito del giudice di merito che vi provvederà secondo i criteri indicati nella sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione Caridi del 9.5.2001 n. 24287, e i cui principi sono stati recepiti da numerosissime successive decisioni (ex plurimis Cass. 10.2.2004 n. 23211; Cass. 29.4.2003 n. 28334; Cass. 20.3.2002 n. 15463; Cass. 15.1.2002 n. 4311). La stessa Corte territoriale provvederà alla liquidazione fra le parti delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, cui rimette il regolamento tra le parti delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2009