Per un innocente, avvalersi del diritto a non rispondere e utilizzare termini allusivi nelle conversazioni telefoniche costituisce colpa grave ed esclude il risarcimento per la custodia cautelare subita (nei limiti della riparazione per ingiusta detenzione).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(ud. 11/07/2017) 18-10-2017, n. 48092
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. MENICHETTI Carla - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - rel. Consigliere -
Dott. GIANNITI Pasquale - Consigliere -
Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.R., nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 22/10/2015 della CORTE APPELLO di ROMA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI SALVO EMANUELE;
lette le conclusioni del P.G. che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. P.R. ricorre per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe indicata, con la quale è stata rigettata l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione, da lui formulata a seguito di assoluzione, per non aver commesso il fatto, dai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poichè una serie di errori materiali, come quelli relativi all'indicazione della data di inizio della detenzione e della cifra richiesta come risarcimento, denota scarsa attenzione da parte del giudice a quo, che si è limitato a un "copia - incolla" di altra ordinanza concernente il fratello del ricorrente, senza valutare le peculiarità della posizione di quest'ultimo e ammettendo comunque che vi è stato un errore di valutazione del quadro indiziario. Il P. è stato coinvolto nel processo esclusivamente perchè collaborava con il fratello in una azienda di moda ma perfino l'operante ha dichiarato, in sede di deposizione testimoniale, che dal tenore delle conversazioni intercettate non si desumeva alcun ruolo di P.R. nell'ipotizzato traffico di sostanze stupefacenti. Anche il fratello D. ha chiarito la liceità dell'attività imprenditoriale e dei rapporti con S.C., accusato di essere uno dei promotori dell'organizzazione. Gli inquirenti hanno omesso ogni dovuta verifica in ordine a tali circostanze, ragion per cui non è ravvisabile alcuna colpa grave del ricorrente.
2.1. Le censure sono state ribadite e ulteriormente illustrate con memoria in data 5 luglio 2017.
3. Con requisitoria in data 18/4/2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto rigetto del ricorso.
4. Le doglianze formulate dal ricorrente sono infondate. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, che, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37005 del 27/9/2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6/6/2006, Bonifazi, Rv. 234155).
4.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato la sussistenza di profili di colpa grave, consistenti, in primo luogo, nell'essersi avvalso della facoltà di non rispondere, così rinunciando a cooperare con l'autorità giudiziaria funzionalmente a una corretta valutazione delle condotte costituenti oggetto dell'addebito, tanto che i dati che poi fondarono l'assoluzione del P., sul presupposto della plausibilità dell'interpretazione alternativa delle conversazioni captate, furono introdotti nel processo non già dal ricorrente ma dal fratello e coimputato, P.D.. Ulteriore profilo di colpa grave individuato dal giudice a quo risiede nell'uso, durante i colloqui intercettati, di termini più che allusivi e del tutto inconferenti rispetto all'oggetto della conversazione e dunque tali da essere interpretabili nell'ottica del coinvolgimento del ricorrente nella condotta illecita.
5. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo il giudice a quo preso in esame tutte le deduzioni di parte ed essendo pervenuto alle sue conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Le predette conclusioni sono, d'altronde, perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è gravemente colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza o imprudenza, una situazione tale da determinare una non voluta, ma prevedibile, ragione d'intervento dell'autorità giudiziaria, che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale (Sez. U., n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222263; Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Rv. 242034). Anche la stigmatizzazione della mancata formulazione di spiegazioni al G.i.p., da parte del P., non è suscettibile di censura, poichè si è evidenziato, in giurisprudenza, che, ai fini dell'accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave, fermo rimanendo l'insindacabile diritto al silenzio da parte della persona sottoposta alle indagini e dell'imputato, nell'ipotesi in cui questi ultimi siano in grado di fornire una logica spiegazione, al fine di elidere il valore indiziante degli elementi acquisiti nell'ambito delle indagini, non rileva, in quanto tale, il silenzio ma il mancato esercizio, quantomeno sul piano dell'allegazione di fatti favorevoli, di una facoltà difensiva, che, se non può essere da solo posto a fondamento dell'esistenza della colpa grave, vale però a indurre a ritenere l'esistenza di un comportamento omissivo, causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri elementi di colpa (Cass., Sez. 4, n. 16370 del 18/3/2003, Rv. 224774; Sez. 4, n. 14439 del 12/1/2006, Rv. 234026; Sez. 3, n. 44090 del 9/11/2011, Rv. 251325; Sez. 4., n. 7296 del 7/11/2011, Rv. 251928). E, in questa prospettiva, il giudice a quo ha posto in rilievo che gli elementi di prova versati nel processo consistevano in conversazioni captate, relativamente alle quali l'allegazione di un'interpretazione alternativa a quella accusatoria sarebbe stata fondamentale per orientare la valutazione del dato indiziario in senso favorevole all'imputato.
Correttamente, pertanto, il giudice di merito, nel caso in esame, ha apprezzato, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori a sua disposizione, appurando la riscontrabilità di comportamenti, anteriori e successivi alla perdita della libertà personale, connotati da macroscopica negligenza e imprudenza e fondando la deliberazione conclusiva non su mere supposizioni ma su fatti concreti e precisi, dai quali ha desunto, con valutazione ex ante, che la condotta tenuta dal richiedente aveva contribuito a ingenerare, nell'Autorità procedente, la falsa apparenza del ricorrere, nel suo agire, di estremi di illiceità penale, dando così luogo alla detenzione, con rapporto di causa-effetto (Sez. U., n. 32383 del 27/5/2010, D'Ambrosio; Sez. U., n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro).
6. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017